Nel fiume Ticino è allarme cadmio, cromo, ammoniaca, azoto.
In dosi fuori limite. E altri inquinanti nei bacini idrici in provincia di Milano e Pavia. Scoperti dal Corpo forestale.
Nel 1997 i Mondiali di Pesca all’oro hanno fatto tappa nel Ticino.
Gli organizzatori sono andati a colpo sicuro:
le preziose pagliuzze scendono dalle Alpi dalla notte dei tempi, e le gesta dei cercatori (migliaia di schiavi assoldati dall’Impero romano, in verità) le ha già raccontate Plinio il Vecchio.
Oggi una nuova corsa è inimmaginabile:
si calcola che il fiume trasporti ogni giorno micro-pepite per un valore oscillante tra i 5 mila e i 10 mila euro, poca cosa.
Ma di sicuro, se si organizzasse una nuova tappa del campionato, oggi nelle padelle non finirebbe il nobile metallo giallo, ma perniciosissimi (e invisibili) metalli pesanti.
Che, in aggiunta a decine di altre sostanze tossiche, formano un menù killer per la flora e la fauna dell’ecosistema.
Cadmio, azoto ammoniacale e cromo esavalente sono solo alcuni degli inquinanti ritrovati in quantità superiori ai limiti dai tecnici del Corpo forestale dello Stato, che hanno messo sotto osservazione la parte di fiume vicino Morimondo. Un comune ridente, al di là del nome, e famoso per i suoi prodotti biologici: siamo all’interno del Parco della Valle del Ticino, annoverata dall’Unesco tra i patrimoni dell’umanità.
“Mancanza di depuratori, scarichi urbani, agricoli e industriali hanno messo in serio pericolo la salute delle acque. E chi si fa il bagno nel fiume lo fa a suo rischio e pericolo”, dice Elisabetta Morgante, vice-questore aggiunto della polizia scientifica ambientale. Non solo ignari canoisti e pescatori e altri habitué del Ticino, ma anche chi va nelle toilette di alcune fabbriche di Abbiategrasso, senza saperlo, mette a rischio la propria incolumità. A pochi chilometri da Milano, infatti, gli agenti del Corpo hanno scoperto che l’acqua che esce dai rubinetti di alcune fabbriche di un grosso insediamento industriale (circa 20 fabbricati in periferia) è avvelenata. Dipendenti, operai e dirigenti si lavano con il cadmio, il nichel e il piombo, metalli trovati sia nelle condutture dei bagni sia nelle fognature del quartiere. Anche in provincia di Pavia, ad Albuzzano, le indagini del laboratorio mobile hanno scoperto situazioni al limite. Le acque nere di un nuovo complesso residenziale del paese finiscono dritte dritte nei canali di irrigazione dei campi. A parte il tanfo, fastidioso ma innocuo, l’acqua corretta a fenolo e nichel penetra nel terreno dove si coltivano foraggio e cereali. Mais e grano che si trasformano in pane e pasta.
Chi crede che la Lombardia, la zona più ricca e sviluppata d’Italia, sia immune dagli effetti dell’inquinamento selvaggio e dell’antropizzazione sbaglia di grosso. I fiumi della regione sono molto sporchi: secondo gli ultimi dati resi noti dell’Agenzia di protezione dell’ambiente il 32 per cento dei corsi d’acqua è ‘scarso’ o ‘pessimo’, e le falde primarie, quelle più in superficie, sono praticamente compromesse. Come la Lombardia, anche il resto della Pianura Padana conserva nel sottosuolo nitrati, metalli e pesticidi in quantità massicce. “Si pensa agli effetti della diossina a Napoli e alle falde acquifere del Sud, ma anche qui abbiamo seri problemi”, spiega Damiano Di Simine, presidente regionale di Legambiente: “Dieci milioni di abitanti, sette milioni tra suini e bovini, insediamenti zootecnici e industriali hanno un impatto pesante. Se il Seveso e l’Olona non viaggiano dentro zone agricole, l’inquinatissimo Lambro viene usato tuttora per irrigare i campi. Una bomba biologica”. Nel Bresciano le industrie di fucili e chiodi della Val Trompia scaricano nel fiume Mella, che bagna filari di ortaggi e frumento. Un corso che ha sparpagliato la diossina prodotta dalla Caffaro di Brescia per mezza provincia.
La Lombardia è in ottima compagnia. I dati Apat disegnano un quadro a tinte fosche di tutte le acque tricolori. Quella potabile è in genere di ottima qualità, ma le riserve blu del sottosuolo e i corsi in superficie sono, in parte, contaminati. Con un trend decisamente negativo: rispetto al 2003, l’acqua delle falde inquinata per mano dell’uomo passa dal 21,5 al 28 per cento, mentre il liquido di classe 1 e 2, il più pregiato, diminuisce di tre punti.
Ticino al cadmio Morimondo è in provincia di Milano ed è nelle acque in cui si specchia il paesino (1.131 anime secondo l’ultimo censimento Istat) che la Forestale ha fatto le prime analisi. La diagnosi è sconfortante: quello che molti considerano uno dei fiumi più puliti d’Italia è gravemente ammalato. “Abbiamo trovato presenza massiccia di schiuma, dovuta a presenza di tensioattivi”, spiega Elisabeta Morgante, “ma soprattutto valori alti di cadmio, fenoli, azoto ammoniacale, piombo. Sostanze rilevate sia vicino lo scarico sia nell’ansa.
Un fatto gravissimo per un’area di elevato pregio naturalistico. Bisogna che le autorità gestiscano gli scarichi in modo adeguato. Sono troppi i comuni della zona senza depuratore o con sistemi non funzionanti, e troppe le aziende di zootecnia e del secondario che buttano tutto in canali collegati al Ticino”. L’inquinamento-choc è provocato anche dallo sfruttamento serrato da parte dell’agricoltura: il fiume, saccheggiato durante sei mesi l’anno, a bassa portata perde la capacità di autodepurazione.
I campanelli d’allarme ci sono tutti, compresa l’assenza dei microrganismi che vivono solo in acque pulite: la minaccia all’ecosistema è reale. “Non solo. Ricordo che qui si coltivano riso e prodotti biologici, cibo che finisce sulle nostre tavole”, chiosa la scienziata. Che fa un breve, terrificante elenco degli effetti dei metalli pesanti sulla salute e l’ambiente. “Il cadmio è un metallo raro, e insieme al mercurio è il più pericoloso. È tossico per l’uomo anche a concentrazioni minime, e tende ad accumularsi negli esseri e negli ecosistemi. L’assorbimento avviene attraverso gli alimenti, come fegato, funghi, crostacei, polvere di cacao, alghe. I fenoli hanno effetti pericolosi se ingeriti o messi a contato con gli occhi, il piombo viene trattenuto nel sistema nervoso centrale e nelle ossa”. Anche il cromo esavalente, usato per la concia delle pelli o la produzione di vernici, può provocare reazioni allergiche, problemi di stomaco e respiratori, persino alterazione del materiale genetico e cancro ai polmoni. “Solo una piccola parte di questa sostanza si dissolve in acqua: l’acidificazione del terreno può facilitare l’assorbimento del cromo da parte dei raccolti”.
Nichel ad Abbiategrasso La vicenda di Abbiategrasso, paesone a 20 chilometri dal capoluogo, ha dell’incredibile. La Forestale ha trovato nichel, piombo e cadmio direttamente nell’acqua che usciva dai rubinetti di un intero supercondominio industriale alla periferia della città. Un distretto in cui sono localizzate varie ditte: dalle carrozzerie per auto ad aziende di materie plastiche, dalla verniciatura di accessori da bagno alla produzione di sacchetti e borse in polietilene, fino alla costruzione di motori elettrici e alla lavorazione del cemento. Circa 20 insediamenti in cui lavorano centinaia di persone. La gestione della lottizzazione, dice la Forestale, non è mai passata al Comune, e la zona non è servita da un acquedotto: le aziende scaricano i liquidi in una fognatura privata, e l’acqua che alimenta il quartiere proviene da un pozzo. Tutto gestito da una società che, dopo le indagini, è finita nel mirino della Procura di Milano.
Dopo l’intervento della Forestale l’amministrazione ha firmato un’ordinanza urgente, che ha vietato alle aziende di aprire i rubinetti venefici. “La problematica degli scarichi e della gestione della risorsa idrica in Italia anche nei contesti apparentemente più sviluppati è risultata quanto mai irrisolta e confusa: in provincia di Milano le analisi portano ad ipotizzare un rischio concreto di contaminazione diffusa”, chiosano dal Corpo. L’acqua destinata ai bagni delle aziende, usata per fini igenici, ma che chiunque poteva bere, era di fatto non potabile, così sporca da poter determinare “danni ambientali anche a lungo termine e forme di tossicità acuta e cronica”.
Pavia a cielo aperto Il mirino dei biologi della Forestale si è infine fermato su Albuzzano, in provincia di Pavia. Il regno dei cereali e del riso: i chicchi della zona finiscono nei piatti di tutti gli italiani, e si stagliano in bella evidenza persino nello stemma del Comune. Ebbene, nella ricca Padania può accadere che un insediamento residenziale nuovo di zecca scarichi le sue acque nere direttamente nel reticolo idrico superficiale. Fuor di tecnicismi, lo scolo dei bagni di una ventina di villette finisce nei canali a cielo aperto usati per l’irrigazione dei campi coltivati. “Abbiamo visto a occhio nudo chiazze oleose e idrocarburanti, oltre a sentire un puzzo nauseante”, ragiona Alberto Guzzi, comandante provinciale del Corpo: “L’inquinamento, paradossalmente, in questo caso potrebbe essere legalizzato: non è raro che la Provincia autorizzi temporaneamente il convoglio degli scarichi nelle acque superficiali. Basti pensare che fino a pochi anni fa intere zone di Milano est usavano il Lambro come fognatura”. Dai risultati dei campioni prelevati risultano anche valori alti di fenoli, presenza di piombo e nichel, formazione di solidi sospesi a rischio tossicità. A dimostrazione che i veleni non sono un’esclusiva della Campania e delle sue discariche, ma galleggiano anche nelle acque poco trasparenti dell’Italia del Nord
Emiliano Fittipaldi
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