angello pasqua

Salviamo gli agnelli a Pasqua, ma tutti gli altri animali?

Perché le persone accettano di rinunciare alla carne di un animale che “fa tenerezza” - come il coniglio, il cavallo o l’agnello - ma rimangono insensibili di fronte alla sofferenza di altre specie?

Partiamo da un da un dato di fatto: negli ultimi anni, la sensibilità delle persone è cambiata. Complice il lavoro delle associazioni animaliste, la disponibilità di docu-film sulla scelta vegan e, in generale, la consapevolezza della necessità di una rottura con il passato, sempre più persone si interessano alla questione etica legata ai propri consumi alimentari. Un passo avanti importante, ma non privo di contraddizioni: perché rinunciamo alla carne di un animale che ci fa tenerezza – come coniglio, cavallo o agnello – mentre rimaniamo insensibili alla sofferenza di tutti gli altri?

Nel periodo di Pasqua, un numero crescente di persone afferma di non consumare (più) carne di agnello, mettendo da parte la tradizione con un pensiero alle tematiche ambientali ed etiche. Una tendenza che si registra già da qualche anno: i dati Istat parlano di una diminuzione del 50% dei consumi di carne di agnello dal 2010 al 2016, mentre dal 2016 a oggi si è assistito a un calo più lento, ma costante. Nel 2021, per le celebrazioni della Pasqua, la richiesta di carne di agnello è diminuita del 35%, e le previsioni lasciano pensare che la tendenza non cambierà.

agnello

Pasqua e carne di agnello: un’aberrazione

Forse perché gli agnelli sono percepiti immediatamente come cuccioli indifesi, la sensibilità nei confronti della loro macellazione è sempre molto elevata. La loro brevissima vita ricalca quella di tutti gli animali negli allevamenti intensivi: gli agnelli vengono separati dalle madri quando hanno circa un mese di vita, e macellati poco dopo, quando la loro carne è ancora tenera. Come documentato ampiamente dalle associazioni animaliste, il momento della macellazione – come per tutti gli animali – è assolutamente brutale: “Nelle nostre numerose indagini, abbiamo documentato molti agnelli macellati senza uno stordimento adeguato: ciò vuol dire che subiscono il taglio della gola quando sono ancora coscienti“, spiegano i portavoce di Essere Animali.

animali allevamento

Una situazione che, in realtà, si adatta a tutti le creature negli allevamenti: generalmente tutti gli animali destinati al macello sono cuccioli, uccisi spesso a pochi mesi di vita. Un comportamento dettato dalla necessità di rispondere alla domanda di carne e derivati, in una vera e propria catena di montaggio i cui ingranaggi funzionano solo a ritmi velocissimi. Per esempio, la vita media dei bovini in queste strutture è di 6-24 mesi, contro un’aspettativa di vita di 20 anni in natura. Allo stesso modo, i maiali vengono macellati a 6-11 mesi di vita, mentre in natura vivrebbero circa 15 anni. I vivono solo 90 giorni in allevamento, contro gli 8-10 anni in natura.

In nome della tradizione

Sempre più persone vivono con disagio il consumo di carne di agnello, e preferiscono rompere la tradizione che vuole il suo consumo a Pasqua, in favore di alternative (spesso plant-based). Se di per sé si tratta certamente di un’ottima notizia, siamo ancora lontanissimi da una scelta ampiamente diffusa e una fetta importante di consumatori continua a portare avanti il suo consumo, proprio in nome della tradizione.

Beninteso: le tradizioni definiscono una cultura, la rendono riconoscibile nel mondo e da sempre rappresentano il mezzo per conservare la memoria di una comunità. La loro importanza è innegabile, com’è innegabile che ancora oggi si giustifichino, “in nome della tradizione”, usanze anacronistiche e aberranti – dannose per l’uomo, gli animali e l’ambiente.

Specismo, carnismo e necessità di cambiamento

Occorre poi concentrarsi su un altro punto: ancora troppe persone basano la propria visione del mondo su un pensiero profondamente specista. L’idea è che l’uomo, in quanto essere superiore per valore e status rispetto agli altri animali, goda di maggiori diritti. Su questa convinzione distorta fondiamo la nostra vita e il nostro sentire, e per questo ci arroghiamo diritti che non ci spettano: primo tra tutti, quello di considerare gli animali come “oggetti” la cui unica funzione è quella di soddisfare le nostre necessità.

Sul funzionamento malato di questo pensiero, la psicologa americana Melanie Joy ha elaborato una teoria molto interessante, che ci vuole tutti vittime di quello che lei stessa definisce carnismo: un sistema di credenze (di fatto, un’ideologia) che ci fa credere che mangiare carne sia normale, naturale e necessario oltre ogni ragionevole dubbio. Nessuno mette in discussione lo status quo, perché portiamo avanti queste tradizioni senza essere realmente consapevoli di farlo. 

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Lo sfruttamento degli animali è una pratica così radicata nella nostra società, che spesso passa inosservata, facendo da sfondo praticamente a ognuna delle nostre attività quotidiane. Eppure, in una società civile, gli animali non umani dovrebbero godere di una serie di diritti inalienabili che non facciano distinzione tra “animali di serie A” e “animali di serie B”, garantendo a tutti pari dignità e rispetto.

Il nostro compito, nel 2024, è fare la connessione e creare un futuro migliore per noi, gli animali e il Pianeta. Scegliere di non mangiare carne di agnello a Pasqua può essere il primo passo per abbracciare completamente uno stile di vita vegan: sta a noi decidere quali tradizioni rappresentano la nostra identità, e quali invece sono il retaggio di un passato da dimenticare.

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