Parlare di pesca sostenibile è possibile? Il tema si è aperto al dibattito pubblico dopo il rilascio del documentario Seaspiracy, che ha acceso i riflettori su una delle questioni più urgenti in questo momento storico.
La pesca, e soprattutto la pesca intensiva e illegale, sta distruggendo i mari a una velocità inimmaginabile con conseguenze devastanti su tutto il sistema terra. I mari non sono solo l’habitat di migliaia di specie animali e vegetali, ma sono essenziali anche per la nostra sopravvivenza: assorbono circa un terzo delle emissioni di gas inquinanti create dall’uomo e circa la metà della fornitura di ossigeno del pianeta proviene dal mare, che svolge anche un ruolo fondamentale nella regolazione delle temperature globali, dei modelli meteorologici e del clima.
Il capitano Alex Cornelissen, CEO di Sea Shepherd, ha voluto condividere la sua opinione sul tema della pesca sostenibile. In una nota diffusa da Sea Shepherd Italia, si legge:
“È chiaro che l’umanità sta uccidendo tutta la vita nell’oceano, e per qualche motivo questo passa in gran parte inosservato. […] C’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel modo in cui guardiamo il mondo naturale, il modo in cui ci siamo separati dallo stesso ecosistema di cui facciamo parte. Questo vale in particolare per il modo in cui vediamo l’Oceano. Prendiamo tutto quello che vogliamo perché pensiamo che l’oceano sia una fonte infinita di proteine. Il nostro appetito e la nostra richiesta di pesce è ormai così grande che non ci fermiamo davanti a nulla per ottenere quello che vogliamo. La distruzione degli habitat e l’estinzione delle specie sembra essere accettabile in questo processo. Ma anche la pesca globale sta cominciando a vedere la fine di questa industria, sono ben consapevoli del fatto che se continuiamo al nostro attuale ritmo di estrazione, avremo svuotato il nostro oceano in meno di tre decenni. L’industria è sotto pressione per tenere il passo con la domanda, mantenendo i prezzi bassi, ma con la diminuzione delle popolazioni di pesce tutto questo è sempre più difficile. I prezzi sono tenuti artificialmente bassi attraverso sussidi globali che favoriscono la pesca industriale su larga scala. Questa poi compete illegalmente con la pesca costiera di sussistenza e artigianale, causando ulteriori problemi in regioni già a rischio a causa della scarsità di cibo. Altri operatori non esitano a utilizzare lavoro forzato non pagato per abbassare i loro costi, trattando i lavoratori come oggetti sacrificabili.”
La specie umana è stata in grado di distruggere in pochi decenni il 29% delle specie ittiche “commerciali”; uccidiamo 650 mila animali marini ogni anno tra balene, delfini e foche, massacrando 73 milioni di squali all’anno (ben 30 mila ogni ora) per la loro carne o “per errore”. Il dramma della cattura accessoria rivela dei numeri davvero preoccupanti:
- Il 60% del pescato entra nelle filiere e il 40% viene considerato “pescato accessorio”: i pesci non necessari a fini commerciali vengono restituiti al mare già morti. Sono destinate a questo trattamento tutte le specie minacciate dalle reti dei pescherecci: squali, tartarughe marine, foche, uccelli marini, delfini.
- Sulla costa francese vengono uccisi, come cattura accessoria, circa 10.000 delfini all’anno
Siamo a un punto della storia in cui dovremo fare una scelta, dice il capitano Alex Cornelissen:
Smettiamo di sostenere l’industria distruttiva e insostenibile che sta distruggendo il nostro oceano o continuiamo sulla strada attuale e troviamo il nostro oceano vuoto nel corso della nostra vita? Entrambe le scelte portano allo stesso risultato: smetteremo di mangiare pesce, ora o tra 30 anni. Solo che più aspettiamo, più la situazione diventerà irreversibile. La nostra fonte “infinita” di proteine ha raggiunto il suo limite, quindi è ora di fare le scelte necessarie per ristabilire l’equilibrio nel nostro oceano.
Stiamo vedendo i risultati delle nostre campagne per fermare la pesca INN (pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata) in Africa occidentale, con popolazioni di pesci che tornano ad aumentare ed ecosistemi che si riprendono in solo qualche anno. Ma queste aree non sono abbastanza grandi per ripopolare intere regioni. Far rispettare i regolamenti ed espandere le aree sotto protezione contro la pesca INN e la pesca industriale su larga scala sono la base delle attuali campagne di Sea Shepherd. Insieme ai nostri partner governativi stiamo facendo chiudere decine di operatori illegali ogni anno, e nel processo stiamo salvando milioni di vite. Fermare la guerra contro l’oceano è una questione di sopravvivenza. È una lotta che non possiamo permetterci di perdere. Una lotta che si intensificherà nei prossimi anni quando le popolazioni di pesci continueranno a diminuire. Ma anche una lotta che, con il vostro sostegno, intendiamo vincere.
Consumo consapevole e le alternative vegetali
Un altro aspetto fondante riguarda la questione etica, il nostro rapporto con le specie marine e soprattutto la scarsa empatia che moltissime persone provano nei confronti delle specie acquatiche. Una situazione che è peggiorata dal modo in cui l’industria del pesce parla dell’attività di pesca e delle specie coinvolte, che continuano a essere considerate oggetti:
- Le specie di pesci vengono chiamate “stock”
- L’estrazione di forme di vita viene descritta come “raccolta”
- Le quantità sono misurate in peso invece che in singoli organismi
- Tutte le specie vengono chiamate semplicemente “pesce”
- E soprattutto, il mito che i pesci non sentono dolore
Ovviamente, questo è un linguaggio scelto con cura in modo che i potenziali consumatori non mettano in dubbio il modo in cui estraiamo il pesce e altre creature dal nostro oceano.

Qualcosa, però, sta cambiando. Nell’ultimo periodo si parla sempre più spesso di pesce vegetale e delle sue potenzialità sul mercato globale. Siamo di fronte a un trend in forte espansione, che vede piccole start up, ma anche grandi multinazionali, impegnate nella creazione di alternative vegetali ai prodotti ittici. Il motivo è legato sia al crescente interesse per l’alimentazione vegetariana e vegana – che ovviamente escludono il consumo di pesce – ma anche alla consapevolezza da parte dei consumatori dell’impatto ambientale che la pesca ha sugli ecosistemi marini, e della necessità di ridurre il consumo dei prodotti ittici.
Anche se alcune grandi aziende hanno scelto per ora di concentrarsi sulla produzione di alternative al tonno e al salmone – perché si tratta delle specie attualmente più consumate – non mancano aziende che invece puntino alla produzione di gamberetti, caviale, capesante, calamari, granchi e filetti di pesce totalmente cruelty-free. Gli ingredienti più comuni in questi prodotti sono soia, alghe, lievito, legumi, vari oli vegetali e amidi. Anche se questo mercato sta crescendo più lentamente rispetto a quello della carne vegetale – per via della maggiore difficoltà di replicare gusto e consistenza dei prodotti ittici – gli esperti non hanno dubbi: il “pesce” cruelty-free raggiungerà presto livelli di popolarità vicini a quelli della fake meat.
Per approfondire: Pesce vegetale: trend in crescita, sarà la nuova tendenza nel mercato plant-based

Scegli i prodotti certificati VEGANOK e sostieni così la libera informazione!