L’impatto devastante della produzione di carne e derivati animali è ormai cosa tristemente nota, eppure i consumatori non lo sanno: sembra incredibile, ma questo è quanto emerso da un sondaggio globale commissionato dalla ONG che si occupa di alimentazione sostenibile Madre Brava, i cui risultati sono tanto assurdi quanto allarmanti. I cittadini di Brasile, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, che sono poi i Paesi in cui si consuma più carne al mondo, non considerano la sua produzione come un fattore chiave del cambiamento climatico.
Questo a dispetto degli ormai numerosissimi studi scientifici che collegano inequivocabilmente gli allevamenti intensivi al surriscaldamento globale legato alle emissioni: basti pensare che, secondo i dati ufficiali, almeno il 14,5% di tutte quelle di origine antropica rilasciate ogni anno nell’atmosfera sono da collegare al bestiame, con stime ancora più recenti che alzano pericolosamente l’asticella, facendola oscillare tra un 16,5% e un 28%. In più, entrando nello specifico, si stima che le emissioni legate alla digestione dei bovini rappresentino da sole il 32% di tutto il metano antropogenico, quasi alla pari con le emissioni di metano legate all’uso complessivo dei combustibili fossili.
Eppure, soprattutto nei Paesi sopra citati, le persone sono ancora convinte che la causa principale del riscaldamento globale siano i mezzi di trasporto, automobili e aerei in testa. Una problematica sicuramente esistente, ma di certo infinitesimale, se si pensa che le emissioni imputabili ai mezzi aerei sono solo il 3% del totale. Inoltre, in questi calcoli di percentuali spesso non si tiene conto di un fattore importantissimo, che esula dalle emissioni in sé: gli allevamenti intensivi occupano attualmente il 77% dei terreni agricoli mondiali, ma producono solo il 18% di tutte le calorie e il 37% di tutte le proteine consumate a livello globale. L’agricoltura animale e lo spazio che richiede è il principale motore della deforestazione, a sua volta strettamente legata all’innalzamento delle temperature.
Allevamenti intensivi e climate change: una questione volutamente ignorata?
Il dato realmente preoccupante riguarda il livello di ignoranza su questi argomenti: ben il 90% degli intervistati ha dichiarato di sapere poco o nulla sulla produzione industriale di carne e sul suo impatto sull’ambiente e, nonostante la grande apertura al vegan, il Regno Unito è risultato incredibilmente il Paese in cui la conoscenza su questi argomenti è meno diffusa in assoluto, seguito a ruota da Stati Uniti e Francia. Solo a seguito di una definizione chiara di “carne industriale” i partecipanti hanno fornito risposte differenti, ribaltando i dati e dicendosi preoccupati per il suo impatto su clima, animali e persone.
Ma com’è possibile tutto questo? Le ragioni sono molteplici e riguardano diversi fattori concomitanti: da un lato, nonostante l’impatto che gli allevamenti intensivi hanno sul Pianeta, i media ne parlano poco e male. Si stima che si abbia una copertura mediatica di appena lo 0.5% tanto che, per fare un esempio, meno di 450 articoli su quasi 92.000 pubblicati in lingua inglese tra gennaio 2020 e giugno 2022 e riguardanti i cambiamenti climatici, parlavano dell’impatto devastante della produzione di carne e derivati animali.
D’altra parte, è anche vero che molto spesso questa ignoranza “di comodo” consente ai più di portare avanti le proprie abitudini, fingendo di non sapere: quasi tutti viviamo ormai costantemente connessi, abbiamo accesso alle fonti di informazione più disparate e sono sempre di più le realtà – come la nostra – che si occupano quotidianamente di fare luce su questo gravissimo problema. Nonostante questo, la stragrande maggioranza delle persone vive ancora come se il climate change non le riguardasse, come se la salute del Pianeta che ci ospita – tutti – non fosse anche una responsabilità individuale e fosse possibile delegare sempre e tutto ad altri.
Nel 2023, la scusa del “non sapere” non è più giustificabile e non possiamo più permetterci di girarci dall’altra parte, perché in gioco c’è la sopravvivenza dell’intero Pianeta.
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