Ennesimo orrore in un allevamento intensivo, dove sono morti 14 mila tacchini a causa di un incendio: la strage è avvenuta a Farnese, in provincia di Viterbo, dove nella mattinata di ieri è scoppiato un immenso rogo all’interno di capannone di circa 2mila metri quadri, dove erano stipati migliaia e migliaia di animali allevati per la loro carne. Le cause dell’incendio non sono ancora state chiarite, ma quello che è certo è che nessuno degli animali coinvolti è sopravvissuto.
Un incidente, certo, ma anche l’ennesima prova dell’aberrazione degli allevamenti intensivi, enormi capannoni stipati di individui senzienti che, di prassi, vivono una breve vita di stenti che li condurrà al macello; nel caso specifico, una struttura di lamiera che si è trasformata in una vera e propria trappola per 14mila animali, letteralmente bruciati vivi e impossibilitati a fuggire.
Incendio allevamento di tacchini: quando a mancare è l’empatia
A rendere questa terribile vicenda ancora peggiore, ci sono i commenti degli utenti sui social: se non mancano coloro che sono in grado di vedere l’orrore di questa tragedia (e, per fortuna, sono anche la maggioranza), c’è chi coglie l’occasione per fare battute fuori luogo, dimostrando una mancanza di empatia sconcertante.
Sotto il post della notizia diffusa su Instagram da Il Messaggero, per esempio, si raccolgono persone divertite, pronte – eppure sempre trincerate dietro allo schermo di uno smartphone – a scrivere atrocità come “chissà che profumo di tacchino arrosto” oppure “la grigliata del secolo“, o ancora “il motto è sempre quello, vegano stammi lontano!” (che poi, verrebbe da chiedersi cosa c’entri in questo caso).
È evidente che abbiamo un problema nel nostro rapporto con gli animali non umani e questi commenti ne sono una prova lampante: non siamo in grado di vedere in questi 14 mila animali degli individui a cui è capitata una morte atroce, tra sofferenze indicibili, senza la minima possibilità di salvezza. Non sappiamo immedesimarci nel dolore, nella paura e nella sofferenza che sicuramente hanno provato, e continuiamo a vederli come oggetti inanimati allevati per “diventare carne”.
Al di là della stortura degli allevamenti intensivi – contro i quali continueremo a schierarci senza mezzi termini – la stortura è anche nel nostro pensiero, nella nostra mancanza di empatia e nella nostra convinzione infondata di essere “superiori” agli altri animali, nonché nell’idea che abbiamo il malsano diritto di divertirci davanti a tragedie immani come questa.
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