Approvata la riforma PAC dal Parlamento Europeo, battuta di arresto per le politiche “green”

Di fatto, l'Europa ha votato per il mantenimento dello status quo, continuando a favorire gli allevamenti e l'agricoltura intensivi. Una decisione che non trova il consenso da parte di associazioni ambientaliste e animaliste e che rischia di rappresentare un vero e proprio passo indietro rispetto alle politiche "green" pensate per il futuro dell'Europa.

Questa settimana, oltre ad aver votato riguardo alla denominazione dei prodotti vegetali, il Parlamento Europeo è stato chiamato anche a decidere sulla riforma della Politica Agricola Comune (PAC). Poche ore fa è stata decisa la gestione dei prossimi 7 anni di ingenti sussidi diretti che rappresentano il 34,5% del bilancio UE di quest’anno. Dopo quattro giorni di lavoro, il Parlamento ha approvato con larga maggioranza – e con la quasi totalità dei consensi da parte della delegazione italiana – la riforma che partirà dal 2022 e che dovrà essere approvata anche dal Consiglio e dalla Commissione europei. Di fatto, nulla è cambiato rispetto a prima e molti parlano di un compromesso al ribasso.

Questo perché ciò che è stato approvato è considerato come una battuta di arresto del Green Deal europeo: sono state respinte le proposte della Commissione Ambiente, che chiedevano un taglio netto dei finanziamenti agli allevamenti intensivi e il sostegno economico alle politiche ambientali sostenibili. Il Parlamento ha però bocciato la proposta, votando a favore di un maxi-emendamento che mette fine alla politica a tutela dell’ambiente. Solo il 20% dei sussidi disponibili – che ammontano a circa 400 miliardi di euro – saranno destinati a incentivare le pratiche “green”, con uno sforzo considerato da scienziati e ambientalisti insufficiente per proteggerci dal cambiamento climatico. “Esprimiamo rammarico per il respingimento delle proposte della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo di tagliare, nell’ambito della revisione della PAC, i sussidi agli allevamenti e delusione per l’adozione di un accordo che non cambia la situazione attuale di ampi finanziamenti alle lobby dell’agribusiness” dichiara a questo proposito LAV.

La decisione di oggi deriva dall’alleanza tra Partito popolare europeo, Socialisti & Democratici, Renew Europe e va contro la politica ambientalista decisa per l’Europa, che prevede la promozione di un’agricoltura biologica e di piccola scala, la riduzione dell’utilizzo di pesticidi nei campi e di antibiotici negli allevamenti. Con questo voto, il Parlamento ha scelto di favorire il sistema attuale, continuando a sostenere gli allevamenti intensivi e le monocolture. Una decisione che sta facendo discutere le associazioni ambientaliste e animaliste, che guardavano alla giornata di oggi come a un rinnovamento delle politiche europee in un’ottica “green”. Anche l’attivista per l’ambiente Greta Thumberg, famosa a livello internazionale per i suoi “Fridays for future”, ha espresso rammarico per la poca considerazione data in questo frangente ai temi del cambiamento climatico e della biodiversità.

Il ruolo degli allevamenti intensivi

La decisione di continuare a sostenere gli allevamenti intensivi non può che essere considerata una battuta di arresto del Green Deal, che ha lo scopo di promuovere in Europa una produzione alimentare sostenibile. Il problema è che il sistema degli allevamenti intensivi fa a pugni con il concetto di sostenibilità, e ormai è un dato di fatto. Proprio di recente un nuovo studio, l’ultimo di una lunga serie, ha confermato questa affermazione: parlando dell’Italia, l’Università della Tuscia ha diffuso dati che mostrano chiaramente come gli allevamenti – ed è un dato sottostimato – consumano da soli il 39% delle risorse naturali a disposizione sul territorio agricolo italiano.

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L’unica alternativa è una decisa svolta plant-based al settore alimentare, in termini di consumo e di produzione. Oggi, infatti, il 50% dei cereali e il 90% della soia prodotti a livello globale servono a nutrire gli animali degli allevamenti intensivi. Per produrre un kg di carne di manzo sono necessari 15.500 litri di acqua; con lo stesso quantitativo potrebbero essere prodotti 4,5 kg di riso, quasi 12 kg di grano, 86 kg di pomodori, 52 litri di latte di soia. Un ettaro di terra, se utilizzato nella filiera produttiva di uova, latte e carne è in grado di sfamare dalle  5 alle 10 persone contro le 20-30 che mangerebbero con la stessa estensione di terreno coltivata con verdura, frutta, cereali o grassi vegetali. (Fonte: Lav)

Va da sé come il sostegno a questo tipo di produzione sia in contrasto con la necessità di raggiungere al più presto sostenibilità e neutralità dal punto di vista dello spreco delle risorse. L’Europa ha perso l’occasione di dare un esempio concreto rispetto a questo tema quanto mai importante e come Osservatorio esprimiamo il nostro disappunto per la scelta di una linea di condotta in netto contrasto con le evidenze scientifiche più recenti.


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