Una voce autorevole in merito alle costruzioni in balle di paglia. Edifici realizzati in Italia e una ricerca continua verso metodi sostenibili di costruire e immaginare lo spazio. È stato ospite presso la trasmissione Geo&geo in onda su Rai3 per parlare delle potenzialità delle case in paglia. L’intervento e’ disponibile a questo link: www.youtube.com/watch?v=K5G7fXaoIfM.
Noi gli abbiamo rivolto alcune domande.
Sei il primo architetto accreditato VEGANOK: qual è il percorso professionale e personale che ti ha portato a trovare un anello di connessione tra scelta etica vegan e architettura?
In questi ultimi anni ho maturato una serie di scelte consapevoli basate su una presa di coscienza della situazione ambientale e sociale nel mondo. Questo percorso mi ha portato a fondare lo studio Archética che si occupa di progettazione sostenibile il cui scopo è di perseguire, per quanto possibile, scelte etiche in ogni fase di progettazione e realizzazione. Il percorso finora svolto assieme ai miei colleghi dello studio, ha portato alla progettazione di edifici fatti di legno, sughero, canapa, paglia. Materiali vegetali rigenerabili che, abbinati a terra cruda e calce naturale, permettono di realizzare edifici sani, efficienti e con un comfort interno ottimale per chi li abita. Questa mia sensibilità verso l’ambiente ed il rispetto per le persone e gli animali non poteva per coerenza non portarmi anche al veganismo. Per me la scelta di diventare vegano è stata in primis per un motivo etico: non volevo più contribuire alla violenza sugli animali. In ambito di bio edilizia, è anche una questione di coerenza legata all’impatto ambientale: reputo poco coerente studiare come rendere efficiente un edificio e poi dall’altra parte consumare carne, la cui produzione è la maggior causa di inquinamento e emissione di gas serra nel mondo. Quindi il mio stile di vita vegan si riflette sulla mia vita professionale: ciò significa che, oltre ad utilizzare materiali vegetali, non ho intenzione di prevedere nei miei progetti materiali o sostanze di origine animale.
Il tuo motto è “Coltivare architettura sostenibile”: cosa significa?
Coltivare è una parola che amo. Per me significa tante cose: è l’unico sistema da cui proviene il cibo che mangio; è un hobby che mi porta a contatto con la terra; è il sistema da cui traggo gran parte dei materiali edili con cui progetto; rappresenta il prendersi cura attraverso il proprio lavoro di una cultura del rispetto. È per questo che mi piace usare questo motto, perché quello che stiamo cercando di fare nel nostro studio è di contribuire a cambiare la cultura del costruire, cambiarla in una maniera più sostenibile ed etica utilizzando concetti di progettazione intelligenti e materiali che sono sottoprodotti della coltivazione, creando nuove filiere ed economie circolari tra agricoltura ed edilizia. Citando Vandana Shiva: “Dal nuovo patto con il suolo scaturirà un nuovo equilibrio fra città e campagna”. Un paradigma nuovo che rappresenta un futuro migliore e che mettiamo a disposizione per chi necessita di costruire un edificio e vuole investire in sostenibilità ed innovazione.
La Cina ha aperto gli «hotel per maiali», allevamenti intensivi alti 13 piani: la progettazione a livello architettonico è stata decisiva per decretare la fattibilità del progetto e avviarlo. In questo caso l’architettura è stata uno strumento che ha consentito di aumentare la produttività di quella realtà a danno degli animali vittime del sistema economico. Cosa ne pensi?
Ho letto di quella notizia ed ovviamente è stata per me occasione di riflessione. Tralasciando le considerazioni sui danni e pericoli che un intervento urbanistico del genere porterà sia dal punto di vista ambientale, sanitario e sociale, vorrei soffermarmi a riflettere di come il settore degli allevamenti di animali sembra stia cambiando nel modo di produrre ma anche di comunicare. L’architettura infatti è un equilibrio tra funzionalità e comunicazione: è culturalmente importante e fondamentale che sia così. Nei regimi dittatoriali e oppressivi però l’architettura viene usata praticamente a solo scopo propagandistico. C’è uno forte nesso tra il modo di costruire un mattatoio e quello che si vuole (o non vuole) comunicare. Questo ci offre una chiave di lettura della società odierna: finora gli allevamenti intensivi sono sempre stati capannoni, scatole senza finestre che creano una barriera percettiva tra il mondo esterno e quello che avviene realmente dentro, luoghi invisibili dove inevitabilmente c’è una oggettivazione dell’animale che diventa solamente un elemento base della catena di montaggio.
Lo scopo dell’edificio riflette delle caratteristiche strutturali?
L’edificio è basso rispetto alle sue proporzioni, anonimo e quasi mimetico all’interno di un complesso agricolo. Non vediamo gli animali che mangiamo; gli animali non esistono, esiste solo carne. Questa falsificazione della realtà è un pilastro centrale del carnismo. Quello che ho notato è forse un cambiamento di paradigma. La motivazione per cui si stanno costruendo allevamenti intensivi di animali non umani di 13 piani, edifici che per definizione sono di concentramento, è chiara: maggiore produzione e minor consumo di suolo, niente di sorprendente: magari ci racconteranno che sono più sostenibili. Quello che ha colpito la mia attenzione però è il modo di risolvere “architettonicamente” l’aspetto formale e quindi comunicativo dell’edificio. Queste strutture che si sviluppano in altezza, per loro natura, non possono più nascondersi alla vista della gente e assomigliano sempre più a complessi residenziali per animali umani. Ed ecco qua che allora nelle facciate si realizzano finestre finte, che non sarebbero funzionali al processo di contenimento degli animali e delle potenziali malattie, ma che sono utili a comunicare ancora una volta una falsificazione della realtà.
Non sono piu’ strutture defilate, invisibili quindi… vengono definite Hotel. Il linguaggio che definisce questo tipo di architettura apre le porte alla propaganda di un sistema che appoggia e incoraggia il consumo di carne a tutti i costi. Giusto?
S¡, sparisce l’invisibilità e si parla di Hotel per maiali. Questo è il passaggio fondamentale! È qui che ci dobbiamo rendere conto di quanto il carnismo sia attivo per poterlo smascherare. Ci dobbiamo rendere conto che le principali testate giornalistiche che hanno passato la notizia hanno definito, senza reale consapevolezza, delle strutture di concentramento multipiano per animali, macchine ottimizzate per il contenimento, sviluppo e morte di quest’ultimi ovvero sistemi che mettono in pericolo oltretutto anche la salute umana e dell’ambiente, Hotel. Gli Hotel sono luoghi che associamo al piacere, alla vacanza, al divertimento, al lusso. Così la società, che inizia a rendersi conto che esistono degli animali da macello, si convince che questi “fortunati” animali in realtà passano la loro vita in una Spa. E noi ci puliamo la coscienza. Ed infatti, a proposito di comunicazione, sempre più spesso vediamo in TV strategie di marketing di aziende produttrici di carne in cui si preoccupano di farci sapere come le loro mucche vivono in vere e proprie stalle di lusso dove anche il massaggiatore è compreso. Tutto questo è un meccanismo di autodifesa del carnismo ed in questo caso l’architettura essendo contenitore e veicolo comunicativo ne è complice.
Una responsabilità molto importante per l’architettura quindi.
Senz’altro. È impensabile infatti che un vegano possa ideare e progettare strumenti di morte per animali. Ho riflettuto molto su questo concetto anche perché in passato mi si era presentata la possibilità di essere incaricato di progettare delle stalle. Non appena me ne sono reso conto ho capito che, anche se questo andava contro i miei interessi economici e del mio studio di progettazione, non avrei mai potuto prendere quel tipo di incarico. Immaginare degli animali che vanno incontro alla morte tra mille sofferenze, rinchiusi in un edificio progettato da me, mi porta con il pensiero a chi in passato ha progettato i lager per gli umani. Potrei non perdonarmelo mai. Quella possibilità di lavoro poi non si è concretizzata e mi sono risparmiato il disagio di dover spiegare le mie ragioni al cliente. Per fortuna ci sono sempre più persone consapevoli e protagoniste del cambiamento e sempre più spesso ci viene richiesto di progettare edifici che vale la pena realizzare.

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