Aria di Campagna

Promiseland -

Lidya ritornò bagnata dalla pioggia. Mi trovavo nel mio studio grafico, aperto da poco nella mia casa di campagna. Era lì che dipingevo, disegnavo, costruivo farfalle, uomini, gente spezzata dalla fame e dalla stupidità. E lei bagnata mi guardava, mentre con china, spray, smalti, acrilici, sferzavo tele, cartoni , fogli bristol. Stavamo ore ,in silenzio, […]

Lidya ritornò bagnata dalla pioggia.
Mi trovavo nel mio studio grafico, aperto da poco nella mia casa di campagna.
Era lì che dipingevo, disegnavo, costruivo farfalle, uomini, gente spezzata dalla fame e dalla stupidità.
E lei bagnata mi guardava, mentre con china, spray, smalti, acrilici, sferzavo tele, cartoni , fogli bristol.
Stavamo ore ,in silenzio, mentre la mia mente andava oltre la tela, oltre il mio studio, oltre le mura che ci circondavano.
Attorno a me sognavo prati , cieli puliti, oceani , che solcavo con barche grandissime piene di gente felice, di bambini che giocavano.
Erano sogni. Solo sogni.

Ma il mio vero sogno era lì davanti a me. Lidya.
Quando pioveva tutto diventava più bello.

La pioggia faceva da colonna sonora ai nostri sguardi e pensieri.
Spegnevo subito lo stereo. Era l’unica volta che non mettevo la mia musica preferita sul vecchio giradischi arrugginito con le casse rotte.
La pioggia scrosciante batteva sui vetri dello studio ininterrotta­mente.
Il mare era a poche centinaia di metri, e tutta la potenza della natura, del fiume vicino, degli alberi piegati dal vento, era lì davanti a me, ai miei piedi, inginocchiata a me.
Non riuscivo più a disegnare. Stavo li stravolto dalla natura, da que­sto enorme mistero che mi avvolgeva senza che io potessi minimamente dire e fare qualcosa.
Ero lì annichilito, un misero essere, un microbo, un nulla di fronte a tutto.
E non riuscivo a sentire musica, a parlare.

La natura è umile, si pone davanti a te senza violenza.
E’ po­tente, e lo dimostra ,ma è lì senza fraintendimenti.
E’ acqua, è vento è freddo, è caldo. E’ semplice ti si mostra davanti, non ti viene alle spalle, non ti mente.
E lì e ti dà il tempo di proteggerti.
Ti mostra le nuvole nere per farti capire che di li a poco butterà acqua, e al­lora ti da il tempo di ripararti, di prendere un ombrello, di non usci­re da casa…ti mostra un cielo limpido senza nessuna nuvola per farti capire che oggi ti porterà il caldo, e allora hai tutto il tempo per uscire più leggero, per organizzare il tuo sport preferito o, per farti una passeggiata, per stendere i tuoi panni lavati.

Stavamo li di fronte al finestrone abbracciati, a guardare, come si guarda un televisore acceso o spento.

I nostri occhi andavano in profondità, ci sentivamo un tutt‘uno con ciò che ci era attorno.
Non due persone e la natura, non due persone e il maltempo, la pioggia, il mare, ma tutto insieme, pioggia corpi, mani, piedi, cuori, teste, acqua, fiume, foglie, dita, occhi radici.
E’ li che facemmo l’amore per la prima volta.
Non ce ne accorgemmo nemmeno.
Lei con i suoi acerbi quattordici anni io con i mei maturi 21. Lei non andava a scuola per raggiungere il mio studio, e rimaneva a osservare i miei gesti senza dire mai una parola.
I suoi lunghi capelli attorniavano il suo splendido viso da bambina. Portava sempre una minigonna e quel giorno tutta bagnata riusciva a muoversi con maggiore semplicita’ e naturalezza sul grande letto di fronte al mio tavolo da non rendersi conto di far apparire come lampi sul nero mare le sue candide mutandine bianche.

La presi dalla vita e la tirai fuori dal letto. Lei mi guardò negli occhi capendo cosa le stava per succedere per la prima volta, e sorrise.
Ci trovammo a terra, fra la polvere e i cartoni, con pennelli che ci cadevano addosso, con colori che spruzzavano, bottigliette di china che si rovesciavano sul tavolo, l’acqua dei bicchieri che si me­scolava con chine gialle, verdi, rosse. In un baleno fummo nudi per la prima volta. E per la prima volta le entrai dentro con delicatezza ma anche con paura di poterle far male.
Lei con naturalezza si aprì e mi avviluppò in baci e carezze fino ad un urlo liberatorio dalla sua fresca verginità.
Alla fine trovavamo sui tavoli pitture e grafiche a noi sconosciute, a strati, scoprivamo macchie sconosciute sulle tele, graffi sui cartoni che dimostravano soltanto l’impeto del momento.
Il maltempo ci faceva questo effetto dirompente, aperto, volut­tuoso.
Quando aprivamo gli occhi, il maltempo sembrava finire con noi. Sentivamo allora gli uccellini spaventati dai tuoni che uscivano timidamente dai loro rifugi, il fiume che inorgoglito trasportava a mare i pezzi di alberi vecchi ,cumuli di foglie, rami spezzati, le imposte con i vetri rotti che battevano i loro ultimi colpi.

I nostri corpi si svegliavano con loro. I nostri corpi avvolti, si staccavano piano piano, come da una gigantesca colla che ci aveva avvinghiati, ci svegliavamo con l’orologio della natura, con tutto ciò che ci stava avvolto attorno.
Non sentivamo una sensazione particolare, direttamente legata al sesso, ma una sensazione totale, un benessere non percettibile, nè localizzabi­le ma un completo avvolgimento di tutto. L’amore completo tra noi e la natura.

Quando ricominciavamo era sempre la prima volta.

(dedicato alla donna che amo)
Francesco Cirillo

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