Dopo il Covid-19, in queste ore l’India deve affrontare un’altra grave emergenza sanitaria: almeno nove stati hanno confermato la massiccia diffusione del virus dell’influenza aviaria, che ha colpito moltissimi allevamenti avicoli nel Paese. Da qui, la decisione delle autorità sanitarie di chiudere mercati e zoo: Delhi ha ordinato la chiusura di Ghazipur, il suo più grande mercato all’ingrosso di pollame, dopo il ritrovamento di migliaia di uccelli morti per le strade della città; chiusi anche zoo e riserve naturali della capitale, nel tentativo di fermare la diffusione del virus. In Uttar Pradesh, stato che confina con Delhi, ha chiuso i battenti lo zoo di Kanpur, mentre in Maharashtra, lo stato che ha per capitale Mumbai, hanno sospeso la propria attività otto allevamenti di pollame, con l’uccisione di oltre 8 mila animali a scopo precauzionale.
Sospesa anche la vendita di carne di pollo in diverse zone, mentre in Kerala – Stato dell’India meridionale dove la settimana scorsa si sono verificati i primi casi di avaria – è stato portato a termine l‘abbattimento di oltre 50.000 anatre di allevamento. Una vera e propria carneficina, che potrebbe continuare nei prossimi giorni se l’emergenza non si fermasse.
L’allarme in Europa
Uno scenario estremamente simile a quello che in questi giorni sta interessando anche la Francia, dove sono state abbattute 350 mila anatre a scopo preventivo a fronte di quella che i media locali hanno definito come “un’epidemia galoppante”. Ma c’è di più, perché a quanto pare il virus avrebbe raggiunto in queste ore anche la Svizzera: le autorità sanitarie temono che il virus possa contagiare gli animali sul territorio elvetico, dopo il ritrovamento di un cigno morto e infetto al confine con la Germania.
Un allarme che, in realtà, è stato lanciato ormai da diverso tempo: a partire dalla fine di ottobre si è riscontrato un aumento considerevole dei casi di aviaria rilevati in uccelli acquatici dell’Europa settentrionale e, successivamente, in alcune aziende avicole. Per il momento non sono stati segnalati casi di contagio in Italia, ma l’allerta rimane alta, mentre in tutto il mondo si combatte per arginare l’emergenza legata al Coronavirus.
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Come già sottolineato nei mesi scorsi, il virus in questione non sarebbe pericoloso per l’uomo, ma secondo le autorità sanitarie è fondamentale prevenire un’altra pandemia, e il solo modo per farlo è una gestione scrupolosa degli animali negli allevamenti, nonché il loro abbattimento in caso di sospetto contagio. Una vera e propria mattanza, che ricorda da vicino quella che in questi mesi ha riguardato gli allevamenti di visoni, uccisi a milioni in Europa – e non solo – dopo che numerosi allevamenti sono risultati focolai di Coronavirus.
Emergenza sanitaria e allevamenti: è ora di fare la connessione
Crisi climatica e allarme sanitario sono due facce della stessa medaglia, e hanno a che fare in maniera inequivocabile con la richiesta di proteine animali e con gli allevamenti intensivi. Da una parte gli esperti ribadiscono che mangiare meno carne è l’unica soluzione per fermare la crisi climatica; dall’altra, evidenziano a più riprese come consumo di carne e deforestazione saranno la causa delle prossime pandemie. Una situazione che ormai sembra senza controllo e che ci vede come gli unici responsabili del declino del pianeta.
Le sars, l’influenza aviaria, l’influenza suina, l’ebola, o il Covid-19 sono delle zoonosi, derivanti quindi da un contatto animale-uomo. Oggi, tre su quattro delle malattie infettive nuove o emergenti provengono da animali, principalmente dal commercio di animali selvatici e dall’allevamento industriale. Complessivamente, ben 56 malattie zoonotiche sono responsabili di circa 2,5 miliardi di casi di malattie umane e 2,7 milioni di morti all’anno. Le condizioni in cui gli animali sono tenuti negli stabilimenti e nei mercati della fauna selvatica (wet markets) forniscono un ambiente fertile per la trasmissione di virus tra diverse specie e esseri umani.
Non stupisce, quindi, che in questo periodo si stia assistendo a una vera e propria presa di coscienza da parte dei consumatori rispetto alla potenziale pericolosità del consumo di carne; aumenta quindi la richiesta di proteine di origine vegetale insieme alla necessità di seguire stili di vita più sani. Uno shift dei consumi che nei mesi scorsi ha portato a un crollo della richiesta di carne a livello globale, e che rappresenta l’unica strada possibile: se vogliamo essere in grado di affrontare e soprattutto di prevenire queste emergenze sanitarie, dobbiamo in primo luogo cambiare le nostre abitudini alimentari.
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