Benessere animale negli allevamenti: una “favola” senza fondamento

Il benessere animale negli allevamenti esiste davvero? Le immagini che provengono da quei luoghi ci mostrano una realtà ben diversa da quella dipinta dal marketing: il benessere è un'altra cosa e con queste strutture non ha niente a che fare.

È sotto gli occhi di tutti: il marketing ci parla di benessere animale negli allevamenti, di galline che razzolano libere all’aperto, mucche che brucano su grandi distese d’erba e maiali che rotolano nel fango. Ed eccola lì, la scritta “benessere animale” che campeggia sempre più spesso sulle etichette di carne, affettati, uova e latte vaccino.

L’obiettivo è chiaro: il racconto deve essere quanto più possibile lontano dalla realtà degli allevamenti intensivi, perché sempre più consumatori si interrogano sull’origine degli alimenti e, soprattutto, sui metodi di produzione. Le aziende corrono ai ripari servendosi di una narrazione fatta di animali felici, immagini bucoliche e una produzione “gentile”. Un tentativo, almeno sulla carta, di tornare alle origini, agli animali in libertà o allevati in contesti privati ed estensivi, che ha un solo scopo: mascherare le storture che abbiamo messo in atto negli ultimi settant’anni.

Certo, una normativa sul benessere animale esiste: ma in cosa consiste esattamente? Innanzitutto, non si tratta di un insieme di regole che certifichino condizioni di vita davvero accettabili per gli animali in allevamento, ma di norme da rispettare affinché siano garantite la sicurezza alimentare e il profitto di un’industria crudele e insostenibile. Con la normativa sul benessere animale, infatti, si intende garantire uno standard minimo di condizioni di vita degli individui in allevamento. Un’addizione, se vogliamo, alle 5 Libertà codificate dallo zoologo Roger Brambell negli anni 60, ovvero:

  • Libertà dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione
  • Libertà di avere un ambiente fisico adeguato
  • Libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie
  • Libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche normali
  • Libertà dalla paura e dal disagio

Benessere animale allevamenti

Ma facciamo qualche esempio: la legge stabilisce che le galline ovaiole vivano in 13 in 1 mq, ognuna quindi ha a disposizione 750 cmq, poco più di un foglio formato A4. Ai polli “allevati a terra” non va meglio: all’interno di enormi capannoni, vivono circa in 20 per ogni mq. Le scrofe destinate alla riproduzione, per una parte della gestazione (che viene indotta artificialmente a ciclo continuo) vivono in gabbie di ferro larghe 60 cm, alte 65 cm e lunghe 2 m: non hanno a disposizione nemmeno lo spazio per alzarsi o girarsi su se stesse

Serve dire altro, o basta questo per capire che il benessere animale, a prescindere da qualsiasi normativa, non esiste negli allevamenti? O che quella degli animali coinvolti non potrà mai essere una vita degna e autodeterminata? Possiamo raccontarci in ogni modo che una gabbia è migliore se si allarga o restringe di qualche centimetro, ma sempre una gabbia rimane. Non è tanto “come” si trattano gli animali in allevamento, è il concetto stesso di allevamento che non può accompagnarsi a parole come benessere

Nessuna legge, al momento, interviene davvero per cambiare le cose o ridurre al minimo l’orrore che avviene in allevamento: a molt* in fondo sembra andar bene così. Continuiamo a berci la favola per cui la bistecca che troviamo confezionata al supermercato – prodotta da un’azienda che specifica di tenere al benessere animale – sia prodotta accarezzando e accudendo un vitello felice, che bruca su prati sconfinati.


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