La sensibilità dei consumatori sta cambiando e lo dimostra il fatto che sempre più aziende che producono alimenti di origine animale puntano in etichetta sul concetto di “benessere animale“. Un claim sempre più presente che è ormai una vera e propria strategia di marketing, che risponde alla lenta ma costante presa di coscienza da parte dei consumatori rispetto alla provenienza e ai metodi di produzione di carne e prodotti animali in generale. Eppure, parlare di benessere animale porta con sé una serie di riflessioni di natura etica che, a nostro avviso, sono molto lontane dai claim in etichetta e che difficilmente si conciliano con il concetto di allevamento intensivo.
Benessere animale: la normativa
Per prima cosa bisogna sottolineare che, secondo le norme vigenti, il benessere animale è strettamente correlato alla sicurezza alimentare: come riporta l’Efsa (European Food Authority) “Fonti di stress e condizioni di scarso benessere possono avere come conseguenza negli animali una maggiore predisposizione alle malattie trasmissibili, che può rappresentare un rischio per i consumatori, ad esempio tramite le comuni tossinfezioni alimentari causate dai batteri Salmonella, Campilobacter ed E.Coli. Le buone prassi per il benessere degli animali non solo riducono inutili sofferenze, ma contribuiscono anche a rendere gli animali più sani”.
Sono stati elaborati a livello europeo criteri scientifici per “misurare” il grado di benessere animale all’interno degli allevamenti, nell’ambito della Strategia per il benessere degli animali 2012-15 che riconosce gli animali come esseri senzienti e, di conseguenza, aventi diritto a “condizioni di vita accettabili”. In particolare, l’Efsa ha pubblicato due pareri scientifici sull’impiego di misurazioni compiute direttamente sull’animale per valutarne il benessere.
Tra i fattori che influiscono sul benessere di un animale ci sono l’ambiente fisico e le risorse a sua disposizione come la disponibilità di spazio, il materiale delle lettiere, e le pratiche di gestione a cui l’animale è sottoposto, come le strategie di alimentazione e i piani di trasporto. Ogni animale risponderà a questi fattori in modo diverso a seconda delle proprie caratteristiche (età, sesso, razza); tali reazioni vengono valutate utilizzando misurazione compiute direttamente sull’animale. Le misurazioni sull’animale possono essere individuate sia mediante l’osservazione o l’ispezione dell’animale – misure dirette come il comportamento, le condizioni del corpo, la presenza o meno di lesioni – ma possono anche includere rilevazioni ottenute con metodi automatici (misure indirette come registrare il consumo di acqua). Le misure basate sull’osservazione diretta dell’animale possono quindi essere di ausilio ai politici che devono assumere decisioni su quali siano le condizioni accettabili per gli animali d’allevamento e possono essere utilizzate in supporto ai programmi di monitoraggio e di controllo attuati a livello di azienda, per garantire standard di salute e benessere degli animali e per contribuire alla lotta contro le malattie.
Il quadro normativo europeo sul benessere animale è considerato tra i più severi e completi al mondo. La direttiva 98/58/CE del Consiglio definisce norme minime per la protezione di tutti gli animali negli allevamenti, mentre altre norme UE definiscono gli standard di benessere degli animali da allevamento durante il trasporto e al momento dello stordimento e della macellazione. Direttive specifiche disciplinano la protezione di singole categorie di animali, come ad esempio vitelli, suini, galline ovaiole e polli allevati per la produzione di carne.
La realtà degli allevamenti intensivi
Ormai da anni numerose associazioni animaliste documentano la situazione all’interno degli allevamenti intensivi, con immagini che si discostano sicuramente dal concetto di “benessere” per come lo intenderebbe chiunque. L’ultima in ordine di tempo è frutto del lavoro dell’associazione Essere Animali, che per un mese e mezzo ha documentato sotto copertura la situazione all’interno di un allevamento di suini che rifornisce il marchio Fratelli Beretta. Le immagini e i video non sono diversi da quelli documentati in altre occasioni e mostrano estrema violenza nei confronti degli animali – anche quelli malati – da parte degli operatori, ma anche pessime condizioni igienico-sanitarie.
Non solo si vede un operaio che strappa i denti con una tenaglia a un maiale “colpevole” di aver morso la coda ad altri individui, ma si rileva anche la sistematica abitudine a picchiare gli animali con calci e pugni, a colpirli con oggetti contundenti, ad afferrarli per le orecchie, sollevarli da terra e poi buttarli giù da un trattore. Anche le procedure per gli abbattimenti di emergenza degli animali malati risultano fuori legge, dal momento che i suini vengono soltanto storditi con una pistola a proiettile captivo, senza recidere la giugulare e quindi prolungando le loro sofferenze. Anche dal punto di vista igienico, si riscontrano gravi mancanze: il mangime sotto forma di brodaglia si mescola con le feci perché le mangiatoie hanno sponde troppo basse che permettono agli animali di entrarci. Un’inchiesta che ha trovato spazio anche in tv, trasmessa in un servizio del Tg1 e per questo sottoposta al giudizio di milioni di consumatori.
Allo stesso modo, più volte i media si sono soffermati sull’argomento, segno evidente del fatto che si tratti di una questione ormai sempre più nevralgica anche per il consumatore medio. Il più delle volte quella che viene illustrata è una visione “mainstream” del problema, che però non risulta condivisibile da chi ha scelto invece la strada della tutela degli animali al di là del concetto di benessere negli allevamenti. Il benessere animale emerge come necessità nel momento in cui è utile a chi produce: gli animali “felici” stanno bene, e per questo producono di più e meglio. Rispettare gli animali è “conveniente dal punto di vista commerciale” e non ha quasi mai niente a che vedere con una questione etica. Ne abbiamo parlato anche con Simone Montuschi, presidente e responsabile dei rapporti con i media dell’associazione Essere Animali, che ha dichiarato:
Anche se le leggi vengono rispettate siamo di fronte comunque a standard bassissimi, sia dal punto di vista etico che per la salute umana. Oggi come oggi negli allevamenti sono rinchiusi animali selezionati geneticamente per fare fronte alle richieste di mercato. Inutile dire che questa selezione genetica è perfettamente legale e che comporta grandi sofferenze agli animali. Dal punto di vista sanitario, invece, non sono gli animalisti ma la comunità scientifica a sottolineare come siano soprattutto gli allevamenti avicoli a rappresentare un grande rischio per la salute pubblica, dal momento che facilitano in maniera allarmante la diffusione di virus che possono colpire anche l’uomo (pensiamo, per esempio, all’influenza aviaria di qualche anno fa).
Per approfondire: “Benessere animale” negli allevamenti intensivi: è davvero possibile? Risponde Simone Montuschi, presidente di Essere Animali
Benessere animale: il nostro punto di vista
Il nocciolo della questione non è quanto grandi siano le gabbie in cui vengono rinchiuse le galline ovaiole o quanto sia “umano” il metodo di macellazione scelto per togliere la vita a suini o vitelli: il problema sta nel comprendere che il concetto di allevamento (intensivo e non) non può coincidere con quello di benessere animale. La privazione della libertà e lo sfruttamento – anche laddove non ci siano situazioni di illegalità – sono alla base del sistema di allevamento e questo è già di per sé sufficiente per far venir meno il concetto di “benessere”. Nessuna legge interviene per mettere in discussione lo status quo che vige all’interno di questa industria: miliardi di esseri senzienti continuano a essere considerati “macchine da produzione” al servizio dell’uomo, quello che si cerca di modificare è piuttosto la percezione che il consumatore ha di questo sfruttamento.
Abbiamo chiesto un parere a chi si occupa in prima linea di diritti animali.
Associare il concetto di “benessere” al sistema degli allevamenti è aberrante. Dal nostro punto di vista, qualsiasi attività che implichi lo sfruttamento e l’uccisione di un essere senziente deve essere abolita, tanto più se consideriamo che nessun alimento di origine animale è necessario per l’uomo. L’industria dell’allevamento è cresciuta molto in pochi decenni, riducendo gli animali non umani in una condizione di schiavitù senza precedenti, facendo credere alle persone che tutto questo sia normale, naturale e necessario. Viviamo in una società che ha scelto di voltarsi dall’altra parte e ignorare quello che accade ogni giorno, ogni ora e ogni minuto a più di 70 miliardi di animali nel mondo; noi di VEGANOK lavoriamo da oltre 20 anni per informare e accrescere la consapevolezza delle persone – e quindi dei consumatori – sul sistema industriale che sfrutta e uccide esseri senzienti solo per comodità e profitto. Scegliere di adottare uno stile di vita vegan è giusto e necessario e siamo convinti che sempre più persone, anche grazie al nostro lavoro e a quello delle associazioni animaliste, capiranno che il concetto di “benessere animale” è quanto di più lontano possa accadere in un allevamento.
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