Già da maggio, quest’anno, abbiamo iniziato a fare i conti con temperature anomale: un’estate arrivata con largo anticipo, che adesso stiamo vivendo in tutto il suo caldo asfissiante. Ormai da diversi anni stiamo assistendo a inverni miti ed estati torride (probabilmente tutti ricordiamo le temperature roventi del 2003), e gli esperti non hanno dubbi: la situazione non può che peggiorare. Ma sapevi che tutto questo è legato in gran parte anche al nostro sistema alimentare?
Un sistema alimentare ancora troppo incentrato su alimenti di origine animale, la cui produzione è strettamente legata all’innalzamento delle temperature.
Cambiamenti climatici e allevamenti: i dati FAO
Già nel 2017, la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), riportava dei dati allarmanti sull’impatto che gli allevamenti intensivi hanno sull’ambiente. Quello che emerge è che, ogni anno, il settore zootecnico consuma all’incirca 6 miliardi di tonnellate di materie prime per mangimi destinati agli animali in allevamento, di cui un terzo della produzione di cereali mondiale. Una materia prima che, in un sistema alimentare più efficiente e sostenibile, sarebbe certamente destinata al consumo umano.
Parlando di emissioni di gas inquinanti, il report afferma che “i bovini sono il principale contributore alle emissioni del settore, con circa 5 gigatonnellate di CO 2 -eq, che rappresentano circa il 62% delle emissioni del settore. Suini, pollame, bufali e piccoli ruminanti hanno emissioni inferiori, tra il 7 e l’11% delle emissioni totali del settore”.
Carne e latte bovini i più inquinanti
Un altro dato che emerge è che carne e latte bovini sono i prodotti animali più inquinanti, con rispettivamente a 3,0 e 1,6 gigatonnellate di CO 2 -eq. Seguono carne di suino con 0,82 gigatonnellate di CO 2 -eq, carne di pollo e uova (0,79 gigatonnellate di CO 2 eq), carne e latte di bufala (0,7 gigatonnellate di CO 2 eq) e carne e latte di piccoli ruminanti (0,5 gigatonnellate di CO 2 -eq). Il resto delle emissioni è legato ad altri prodotti avicoli e non commestibili.
Crisi climatica: quello che ci aspetta (entro i prossimi 5 anni)
Più di recente, uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista PLOS Climate – ha evidenziato che eliminare gli allevamenti intensivi permetterebbe di abbattere del 68% le emissioni di gas inquinanti. Lo studio prospetta uno scenario in cui la diminuzione delle emissioni di metano e degli ossidi di azoto derivanti dagli allevamenti, insieme alla conversione di 800 miliardi di tonnellate di anidride carbonica legata al ripristino della vegetazione, permetterebbe di evitare la catastrofe climatica.
Una catastrofe che, purtroppo, sembra più vicina di quanto ci aspettassimo: secondo un report recentissimo, è sempre più probabile che la temperatura media globale aumenti di 1,5° entro il 2026, il che ci porterebbe a disattendere gli accordi di Parigi del 2015 sul clima – che prevedono di limitare il riscaldamento medio globale ben al di sotto dei 2ºC rispetto al periodo preindustriale, mantenendolo a 1,5ºC. Anzi: esiste quasi il 50% di possibilità che ciò accada entro i prossimi 5 anni.
Ormai da anni viviamo sulla nostra pelle, specialmente in estate, le conseguenze di questa situazione allarmante: le temperature si alzano e le conseguenze possono essere catastrofiche, tra uragani, innalzamento dei livelli delle acque e fenomeni atmosferici anomali. La soluzione per mitigare tutto questo, prima che sia troppo tardi, è adottare un’alimentazione plant-based.
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