Mentre la crisi climatica si aggrava, con terribili conseguenze per il Pianeta, la finestra temporale per agire è sempre più stretta: questo è ciò che emerge dal report 2022 pubblicato dall’IPPC, il Panel scientifico ONU sul Cambiamento Climatico. Un allarme che si rinnova e che ricorda che i cambiamenti climatici si legano inevitabilmente a un utilizzo insostenibile delle risorse, alla distruzione degli habitat e a una urbanizzazione senza controllo.
Quello che emerge è che le azioni messe in atto finora per contrastare i cambiamenti climatici sono insufficienti; per la prima volta, un report dell’IPCC parla chiaramente di perdite e danni collegati al riscaldamento globale. Il tempo a disposizione è pochissimo, e stiamo già vivendo gli effetti di una crisi quasi irreversibile. Già adesso, mettere in atto strategie concrete per risolvere il problema è una sfida molto complessa. Ma qual è lo scenario prospettato dagli esperti?
Crisi climatica: uno scenario allarmante
Secondo gli esperti, attualmente 3,6 miliardi di persone vivono in luoghi considerati altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. In questi contesti, si sovrappongono scarsità di risorse idriche, mancanza di servizi igienici e mezzi di sussistenza sensibili ai cambiamenti climatici, che rendono le problematiche ancora più concrete e allarmanti.
Già adesso, a causa dell’innalzamento delle temperature, metà della popolazione mondiale soffre di gravi carenze idriche almeno una volta all’anno. Entro il 205o, si prevede che 1 miliardo di persone che vivono vicino alle coste dovrà subire gravi inondazioni ogni anno, con conseguenze devastanti.
Il focus sul Mediterraneo
Anche se è chiaro che l’IPCC abbia lanciato un allarme che riguarda l’intero Pianeta, non manca in questo report anche un focus sull’area del Mediterraneo: da sempre crocevia di popoli e zona di importanza strategica per le zone bagnate dal suo mare, riporta i segni evidenti della crisi climatica.
Secondo gli esperti, la temperatura della regione del Mediterraneo è aumentata ed è ora di 1,5°C al di sopra del livello preindustriale, con un corrispondente aumento di ondate di calore e temperature estreme. Questo porta all’aumento di fenomeni di siccità estrema, soprattutto nel nord, ma non solo: il livello del mare è aumentato di 1,4 mm (con un’incertezza di 0,2 mm) nel corso del 20° secolo. Le conseguenze di questi e altri cambiamenti sono già sotto gli occhi di tutti: siccità, incendi, distruzione degli ecosistemi marini e disagio termico, soprattutto nelle città.
E questo è solo l’inizio: nel prossimo futuro, il Mediterraneo e l’Europa dovranno affrontare un innalzamento delle temperature maggiore rispetto alla media globale, con gravi conseguenze sulla salute della popolazione (aumento dei decessi) e sulla conservazione degli habitat; rischi per la produzione agricola, derivanti dalla scarsità di acqua; inondazioni costiere, fluviali e pluviali sempre più frequenti.
Questi cambiamenti sono e saranno irreversibili, mettendo a serio rischio la sopravvivenza dell’intera regione nei prossimi decenni.
Cambiamenti climatici: che cosa possiamo fare noi?
Gli scenari prospettati dal report dell’IPCC sono quanto mai catastrofici, ma sempre più realistici e concreti. L’emergenza climatica riguarda tutti, e le azioni per contrastare l’innalzamento delle temperature devono necessariamente coinvolgere tutti.
In questi anni abbiamo visto come i cambiamenti climatici siano strettamente legati al nostro sistema alimentare. In maniera del tutto anacronistica, facciamo affidamento su alimenti di origine animale la cui produzione non rappresenta solo un potenziale pericolo per la salute pubblica, ma è anche uno dei maggiori attori nella crisi climatica. Per saperne di più: Meno carne e derivati animali per fermare la crisi climatica: lo dicono (ancora) gli esperti dell’Università di Oxford
Di fronte a questi dati, emerge chiaramente come sia necessario dare una svolta concreta al nostro sistema alimentare in favore di alternative vegetali. Non c’è più tempo, e certamente ognuno di noi ha una responsabilità individuale che non può essere trascurata. Nel report, per esempio, si legge: “A livello globale, si stima che la transizione verso diete più vegetali – in linea con le raccomandazioni dell’OMS sul mangiare sano – potrebbe ridurre la mortalità globale del 6-10% e le emissioni di gas serra legate al cibo del 29-70% entro il 2050″. Ma anche: “Si prevede che la transizione a diete più basate sui vegetali ridurrà i decessi legati al clima in Canada, Stati Uniti e Messico entro il 2050, riducendo contemporaneamente le emissioni di gas serra legate al cibo pro capite in Nord America entro il 2050“.
Eppure, è chiaro anche che la responsabilità individuale non può e non deve essere l’unica leva su cui puntare per il cambiamento: le indicazioni – e le azioni concrete – dovrebbero arrivare “dall’alto”, perché solo con una presa di posizione da parte dei governi di tutto il mondo si potrebbe arrivare a una vera svolta. Se pensiamo, però, all’incoerenza dell’Europa – che spende fondi pubblici per promuovere il consumo di carne e latticini, elaborando intanto politiche di sviluppo sostenibile che prevedono una riduzione del loro consumo – capiamo bene come la questione sia davvero controversa e molto lontana dall’essere risolta.
Leggi anche: Cambiamenti climatici, ancora appelli e promesse dei politici. Perché nessuno parla di alimentazione vegetale?
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