A dispetto di quanti la considerano innaturale, il mondo è pronto ad accogliere la carne coltivata in laboratorio: partendo dal presupposto che la carne è uno status symbol difficile da sradicare, è vero anche che sempre più persone (e, di conseguenza, aziende) sono interessate alle alternative, prima tra tutte proprio la clean meat. Un report della multinazionale Merck, esplora il potenziale impatto della carne coltivata sulla società, sull’industria alimentare e sul futuro del consumo di carne. Qual è il punto di vista degli esperti rispetto alla innaturalezza della carne “pulita”?
Quest’ultima, lo ricordiamo, non è adatta a vegetariani e vegani, perché è carne vera e propria – ottenuta senza macellazione, partendo invece da cellule staminali animali. Anche se non comporta l’uccisione di nessun animale, ne causa comunque lo sfruttamento. La clean meat può essere quindi un compromesso concreto, immediato e facilmente raggiungibile per rispondere alla domanda di carne a livello globale, mentre si cerca di affrontare la crisi climatica.
La carne coltivata in laboratorio è “innaturale”?
Mentre la maggior parte degli esperti coinvolti nella stesura del report, ha riconosciuto che “naturale” non sempre significa buono e sano (e viceversa), il grande pubblico spesso non la pensa in questo modo. I dubbi sulla clean meat rimangono e per la maggior parte riguardano proprio il suo essere creata in laboratorio. In un certo senso, molti la considerano innaturale e questo è uno degli ostacoli più grandi alla sua diffusione su larga scala.
A questo punto, però, bisognerebbe chiedersi quanto ci sia di naturale nella carne “vera”. Alcuni degli scienziati intervistati hanno sottolineato che, a essere innaturale, è il modo in cui la carne viene prodotta negli allevamenti industriali. Basti pensare ai ritmi produttivi da catena di montaggio, alla quantità di medicinali (primi tra tutti, gli antibiotici) che vengono somministrati agli animali e alle aberranti condizioni di stabulazione: una realtà ben diversa dall’immaginario collettivo che vuole pascoli, aria aperta e libertà per degli animali “felici”.
Viviamo in una società caotica, che ci spinge a considerare la naturalezza una qualità rara e preziosa e, istintivamente, consideriamo tradizione, autenticità, semplicità come dei valori aggiunti, anche nel cibo. La crisi climatica che stiamo vivendo richiede di avere piedi ben piantati a terra, mettendo da parte l’idealizzazione di un mondo “naturale”. Rispondere alle richieste della globalizzazione è già, di per sé, molto lontano da quello che possiamo considerare naturale; allora perché non dare una possibilità alla clean meat, che promette di aiutare a risolvere i problemi ambientali che ci schiacciano?
Inoltre, etichettare un prodotto semplicemente come “naturale” o “innaturale” è riduttivo, e non rende giustizia alle molteplici sfaccettature di questo argomento. Sicuramente, la questione è molto complessa e non può essere esaurita con un “sì” o con un “no” secco, dettato da pregiudizi o scarsa conoscenza.
Necessità o utile compromesso?
Per quanto ci riguarda, siamo convinti che la clean meat sia necessaria? No, perché sosteniamo da sempre che la scelta migliore dal punto di vista etico e ambientale sia un’alimentazione 100% vegetale. Crediamo che sia utile? Sì, perché ha innegabili vantaggi dal punto di vista ambientale, e viviamo in un momento storico in cui la crisi climatica non può più essere ignorata.
Coloro che “vogliono” mangiare carne, indipendentemente dalla questione etica e ambientale, sono ancora la maggioranza: ha senso fare battaglia a una delle soluzioni più immediate e concrete che abbiamo a disposizione, almeno per il momento?
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