Sta facendo scalpore la decisione da parte della Cina di aprire una nuova struttura di 26 piani destinata totalmente all’allevamento intensivo di maiali, un edificio “monstre” che stando alle prime stime diventerà presto il più grande allevamento di suini al mondo. L’aberrante struttura è già in costruzione a Ezhou – città a circa 80 km da Wuhan, la città tristemente nota per la pandemia da coronavirus – e farà da coppia ad un primo allevamento massivo già costruito in zona. L’obiettivo? Riuscire ad allevare ogni anno oltre 1,2 milioni di maiali solo all’interno di questo secondo maxi allevamento.
La società proprietaria è la Hubei Zhongxin Kaiwei Modern Animal Husbandry, in mano principalmente ad un produttore locale di cemento. Le due mega strutture per l’allevamento di maiali contano una superficie di 400mila metri quadrati, con una sala controllo da cui verificare l’approvvigionamento di mangime e acqua potabile per ciascun animale, oltre che verificare in tempo reale attraverso una rete di sensori temperatura, umidità e concentrazione di gas tossici all’interno dei capannoni.
Mentre, non abbiamo dubbi, ci saranno persone che plaudono la Cina per la capacità di concentrare in verticale l’allevamento intensivo di animali, noi ci chiediamo fino a che punto, in nome del profitto, possa arrivare l’uomo a rendere gli animali poco più di oggetti. A poco servono sensori all’avanguardia e sale di controllo per verificare che gli animali abbiano il minimo indispensabile per restare in vita (fino alla macellazione, beninteso), perché tanto ormai una vita normale, una vita sana e una vita in linea con le proprie inclinazioni biologiche non la avranno mai, in tali aberrazioni che salutiamo come progresso.
Quanto servirà ancora per guardarci allo specchio, come specie, e riconoscere che siamo andati ancora una volta troppo oltre?
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