Aumenta la popolarità degli alimenti plant-based in Cina, mentre cala la richiesta di carne. Secondo il Guardian, il Paese più popoloso del mondo sembra di fronte a un’ inversione di rotta rispetto alla tendenza degli ultimi anni, che ha visto crescere i consumi di carne (soprattutto di maiale) come simbolo della nuova ricchezza della classe media. Ma negli ultimi due anni, e in particolare dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19, i sostituti della carne a base vegetale hanno suscitato l’interesse dei consumatori più giovani, sempre più attenti alla questione ambientale e alla connessione tra consumo di carne e rischi per la salute. La strada è ancora lunga, perché in Cina si consuma ancora il 28% della carne mondiale – e la metà della carne di suino – e il mercato della carne ha un valore di 86 miliardi di dollari; nonostante questo, i segnali di cambiamento sono promettenti.
Una svolta che formalmente è iniziata nel 2016, quando la Cina ha introdotto nuove linee guida per ridurre il consumo di carne del 50%: la popolazione cinese è stata invitata a consumare tra 40 e 75 g di carne pro capite al giorno, anche attraverso campagne di sensibilizzazione che hanno coinvolto l’attore Arnold Schwarzenegger e il regista James Cameron. L’obiettivo? Migliorare la salute pubblica, ma anche diminuire le emissioni di gas serra legate alla produzione di carne e derivati. Si calcola che, seguendo queste direttive, le emissioni dell’industria del bestiame in Cina potrebbero diminuire di 1 miliardo di tonnellate entro il 2030, contro l’1,8 miliardi di tonnellate previste solo per quell’anno.
Covid-19, un anno dopo: la Cina verso un’alimentazione plant-based
Come sappiamo, la città di Wuhan è tristemente nota a livello mondiale per essere stata l’epicentro della pandemia, a inizio del 2020. Da allora, in Asia è scattata la presa di coscienza sull’impatto dell’alimentazione sul pianeta e sulla salute; il risultato è stato un lento ma costante passaggio alle alternative vegetali. Ha inciso soprattutto la preoccupazione di una connessione tra il consumo di carne e il contagio da Coronavirus.
In queste zone il mercato dei prodotti plant-based è ancora molto piccolo se paragonato a quello della carne, ma la sua crescita ha subito un’impennata dopo lo scoppio della pandemia. L’inversione di rotta non è passata inosservata, e ha catturato l’attenzione di importanti player statunitensi di questo mercato come Beyond Meat e Impossible Foods, che hanno iniziato a vendere i propri prodotti plant-based in Asia, mentre colossi della ristorazione come Starbucks e KFC hanno portato alimenti vegetali col proprio marchio nel Paese; lo stesso vale per multinazionali come Cargill, Unilever e Nestlé, segno che il mercato cinese degli alimenti vegetali è sempre più florido. Anche le imprese nazionali puntano sulle alternative vegetali, con un occhio alle sovvenzioni statali; la speranza è che il governo veda nelle proteine vegetali il mezzo per consentire ai cittadini di continuare a consumare un alimento di “lusso” come la carne, mentre si tiene fede agli obiettivi di riduzione delle emissioni.
Ma non è solo l’attenzione dei grandi produttori a gridare al cambiamento: il sentiment comune è cambiato, e l’informazione – sul web e non solo – punta sempre più i riflettori sugli stili di vita meat-free. Secondo un report del 2019 Good Food Institute, nel 2018 il mercato cinese della carne a base vegetale valeva 910 milioni di dollari, e si prevede che crescerà tra il 20 e il 25% all’anno nel prossimo futuro. Il “merito” non è di vegani e vegetariani, che sono in netta minoranza nel Paese: il 90% degli intervistati si è identificato come non vegano, ma l’86,7% aveva consumato carne di origine vegetale almeno una volta.
Da non dimenticare è anche la svolta sui consumi di animali selvatici, che verranno banditi dalle tavole dei consumatori di Wuhan per almeno 5 anni. Una mossa che sicuramente è stata influenzata dalle pressioni internazionali, vista la connessione tra i “wet market” – i mercati all’aperto in cui vengono macellati e venduti gli animali selvatici – e la diffusione di virus potenzialmente gravi. Non a caso, le principali epidemie che hanno colpito l’uomo (Ebola, Sars, Mers, influenza aviaria o suina) sono delle zoonosi, ovvero malattie trasmesse all’uomo dagli animali. Il 75% delle malattie umane fino a oggi conosciute deriva da animali; in particolare, il 60% delle malattie emergenti viene trasmesso da animali selvatici.
Siamo di fronte a quello che gli esperti chiamano “effetto pandemia“, che ha completamente cambiato il nostro approccio all’alimentazione e che continuerà ad avere ripercussioni su quello che mangiamo.
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