Comitato per la Disindustrializzazione del Mondo

Promiseland -

Vi proponiamo la traduzione del documento diffuso il 21 Marzo 2006 a Parigi da: Gli occupanti del Centre d’Etude des Modes d’Industrialisation (à l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, bd Raspail à Paris), costituiti in “Comitato per la Disindustrializzazione del Mondo”. Dato che siamo sempre più vicini al momento in cui la terra sarà […]

Vi proponiamo la traduzione del documento diffuso il 21 Marzo 2006 a Parigi da:

Gli occupanti del Centre d’Etude des Modes d’Industrialisation (à l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, bd Raspail à Paris), costituiti in “Comitato per la Disindustrializzazione del Mondo”.

Dato che siamo sempre più vicini al momento in cui la terra sarà completamente consumata dal nostro stile di vita.

Dato che gli scienziati sono ridotti a progettare la colonizzazione di altri pianeti da distruggere.

Noi salariati e studenti, stabili o precari della regione parigina e di altrove, occupanti del “Centre d’Étude des Modes d’Industrialisation del Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales” in questo primo giorno di primavera vogliamo riflettere a quel che potrebbe essere una vita auspicabile in un altro mondo finito.

E’ impossibile porre la questione della precarietà e dei redditi senza porre anche quello della precarietà e della sopravvivenza dell’umanità globale. In questi tempi di disastro ecologico avanzato, nessuna posizione politica e nessuna rivendicazione incapace di fare i conti con il vicolo cieco dello sviluppo economico può avere il minimo valore.

Noi siamo dunque insieme utopisti e radicalmente pragmatici, molto più pragmatici in fondo di tutti coloro che vogliono gestire realisticamente il capitalismo.

Nessun discorso sullo sfruttamento e la precarietà ha senso e efficacia se non si attacca il ceto proprietario. Vogliamo abolire il tabou di questo movimento antiCPE: la prospettiva del pieno impiego che sta sotto gran parte delle parole d’ordine e delle rivendicazioni non è né realista nè desiderabile.

Il lavoro umano in Occidente è soppresso massicciamente dalle macchine e dai computer da parecche decine di anni. Esso non è mai stato altro che una merce per il capitale, ma quel che è cambiato all’attuale stadio di progresso tecnologico è il fatto che l’accumulazione di danaro richiede meno persone da sfruttare che prima. Occorre mettersi nella testa che il capitalismo non può più creare impiego per tutti. E riconoscere che i posti che esso crea ancora sono sempre più vuoti e separati dai nostri bisogni fondamentali.

La produzione materiale è delocalizzata verso i paesi in via di sviluppo dove si concentra il disastro ecologico. E in occidente, nella nostra economia di servizi cosiddetti immateriali fioriscono gli impieghi di tipo servile: schiavi delle cadenze robotiche o domestiche.

Questo movimento non porterà a un nuovo avvenire se non sviluppa una critica lucida del lavoro moderno, e se non riconosce definitivamente che non ci sarà uscita dalla crisi. Lungi da noi l’idea di lasciarci deprimere, vogliamo fare di questa consapevolezza una opportunità. Pensiamo che un movimento sociale conseguente debba darsi lo scopo di aiutare l’economia ad andare a fondo.

Il mondo attuale non conosce nessuna esteriorità, non si può sperare di sfuggirgli. Occorre dunque pazientemente costituire degli ambienti di vita in cui si possano produrre i propri mezzi di sussistenza senza la strumentazione industriale, e in cui emergano dei nuovi rapporti umani, liberi dall’eredità industriale. Occorre al tempo stesso intraprendere lo smantellamento di interi comparti dell’apparato di produzione esistente, che sono inutili e nocivi. Certamente, questo richiede nei nostri discorsi e nelle nostre pratiche un rifiuto assoluto dello stato e dei suoi rappresentanti, che saranno quasi sempre degli ostacoli ai progetti di autonomia.

Piantiamola di rivendicare un impiego stabile!
Che la crisi si aggravi!
Che la vita abbia la meglio sull’economia!


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Inserito da: Daniele Lentini

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