Consumiamo troppo o produciamo troppo?
In Francia, puntualmente, ogni sera alla stessa ora, si verifica la stessa scena, e questo in tutte le grandi città.
Diverse persone attendono, pazientemente, l’uscita dei bidoni delle immondizie dai grossi supemercati di alimentari.Questo fenomeno, qui, succede oramai da diversi anni. Le persone ispezionano diligentemente il contenuto dei grandi contenitori verdi alla ricerca degli avanzi gettati perché non più vendibili.
Si tratta di prodotti alimentari scaduti il giorno stesso, o che scadranno l’indomani.
Non si deve credere che siano solo persone in difficoltà economica, che sono si la maggior parte, in realtà a frugare nei profondi bidoni, strappando sacchi ed esaminando attentamente, si trovano le tipologie di persone le più disparate.
In Francia negli ultimini due-tre anni se ne é parlato molto e la questione é ancora sotto i riflettori, diversi giornali (come Liberation o Nouvel Observateur) ed emittenti televisive (come Arte) se ne sono occupati con articoli e reportage. La cosa che stupisce inizialmente é proprio il fatto che non si sta parlando di Yaoundé o Phnom Penh o qualche altra città lontana, no, succede proprio in centro a Parigi.
Si va’ dal distinto pensionato che però con i suoi miseri 500 euro riesce a malapena a pagare l’affitto e le bollette, alla madre di famiglia con cinque figli ma senza marito, allo studente con poche risorse ecomiche, al giovane Freegan ( in francese: http://www.freegan.fr/lieu_de_travail.php ) che lo fa per ideologia fino al più benestante che lo fa’ per protesta; negli ultimi mesi si sono aggiunti anche i numerosi Roms arrivati recentemente in Francia.
Alcune di queste persone hanno fatto di questa attività una loro fonte di reddito, recuperano alimentari e allo stesso tempo oggetti, che poi metteranno in vendita in mercati abusivi e improvvisati per arrotondare le entrate e allo stesso tempo fornire merce a basso costo ad altre persone con poche risorse economiche.
I Freegans si riconoscono nel movimento spontaneo originario degli Stati Uniti contrario agli sprechi e al consumismo della società moderna: il loro modo di contrastare questa situazione é di recuperare il più possibile ciò di cui necessitano nelle immondizie. Quello che trovano in eccesso lo distribuiscono anche a senza-tetto, vicini, amici. In Francia sono molto attivi e riescono a procurasi cibo, vestiti e quasi tutto quello di cui hanno bisogno con il loro modus-operandi. Sul sito internet sopra citato danno consigli a chi vuole seguire questo stile di vita e si può scaricare e visionare anche la trasmissione televisiva a loro dedicata dalla rete Arte (in francese) QUI.
Il fenomeno non si limita alla Francia sulla scia di una “moda” arrivata dagli U.S.A., anche in altre Nazioni si assiste a questo fenomeno, come per esempio a Berlino, sempre l’emittente Arte ha dedicato una trasmissione a questa città.
Le reazioni a questi comportamenti sono state le più disparate, dal ribrezzo di alcuni, al pietismo e alla comprensione di altri, passando per l’impotenza e la rabbia… Le misure prese ancora più stupefacenti: dall’aspergere con la varecchina i rifiuti fino al trituramento di tutti i generi alimentari. Come spesso succede, purtroppo, si é cercato di mettere una piccola toppa in una falla troppo grande, invece di andare alla radice del problema. Se a questo si aggiunge il fatto, oramai di dominio pubblico, che un quarto degli alimentari prodotti vengono distrutti si può avere una visione globale della gravità della situazione.
Globale perché questo sistema produttivo implica molto: implica spreco di energia e risorse per produzione/trasporto/gestione/stoccaggio della merce. Implica problemi di smaltimento dei rifiuti, implica aumento dei costi finali dei tre quarti di prodotti venduti. Implica privazione di cibo per quella parte di esseri umani che soffrono di malnutrizione e ne muoiono per le conseguenze.
Come fa’ notare il Nouvel Observateur in un suo articolo le cifre del fenomeno non sono state recensite, alcune grosse catene di alimentari donano il surplus che prevedono andrà invenduto quando é ancora consumabile e vicino alla scadenza, questo permette loro di beneficiare degli sgravi fiscali accordati per legge ai mecenati, ma non basta, perché ancora la maggior parte del surplus prodotto viene gettato.
A questo proposito é interessante visionare il film-documentario « We feed the World » (si possono visionare degli estratti su Youtube, uno cliccando QUI): non il solito documentario in stile terrorista che ci riempie gli occhi di stragi e mattatoi sanguinanti… Ci sono anche scene forti, doverose comunque, e ancor più quando si parla di certi orrori, ma ci sono anche spiegazioni dettagliate di cosa succede alle spalle dei consumatori. Ci fanno vedere le distese delle serre di Almeria, una regione desertica (!) della Spagna, ma poi ci fanno entrare nelle serre e ci spiegano perché le verdure spagnole lì prodotte costano così poco e sanno di così poco (sono coltivate su un cubetto di lana di vetro, « abbeverate » al contagocce con un mix dosato ad hoc), ci fanno vedere chi ci lavora e in che condizioni… Mostrano i campi coltivati della Romania e spiegano come le grandi ditte produttrici di sementi stanno cercando di convertire i contadini agli ibridi, in maniera da crearsi un mercato sicuro e duraturo. Mostrano l’autista di camion austriaco che di notte porta al macero quintali di pane ancora commestibile, ma in surplus, e questo da anni! Jean Ziegler (Relatore Speciale presso le Nazioni Unite per il Diritto all’Alimentazione) ci spiega il perché le verdure di produzione europea costino meno di quelle locali sui mercati africani… e altro…
Le scene peggiori da vedere per un essere umano, dovrebbe essere quasi inutile dirlo, sono quelle della preparazione della carne in catena di montaggio, ma esiste anche questo, purtroppo non é ignorandolo che non succederà più. E’ consigliata la visione di questo documentario a chi vuole avere un’idea d’insieme dei sistemi produttivi, portare uno sguardo che abbracci non solo un piccolo angolo di Pianeta, ma anche i meccanismi superiori che hanno fatto sì che si arrivi a tanto spreco.
Diverse domande possono sorgere spontanee alla luce di questi fatti: come siamo arrivati fin qui? Che senso ha produrre così tanto di più? Che senso ha la fame nel mondo in un mondo con questi surplus di produzione? Non si potrebbe produrre meno e di qualità migliore? E quindi con minore impatto ambientale? E migliore salute per tutti? E la dignità dell’Uomo in tutto questo?
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Solo con la partecipazione di tutti potremo fare la differenza per la salvaguardia del pianeta.
ACE
dice:Complimenti per l’articolo, davvero molto interessante…fa riflettere molto…
Mirko Ciotta
dice:Il surplus produttivo purtroppo è un nocivo effetto del capitalismo. Se pensi che esistono, già costruite, automobili per ogni fabbisogno fino al 2050 e il problema politico è produrre ancora auto…ce la dice lunga. Fra non molto produrremo per altri pianeti anche se disabitati…
AGT
dice:A tutte queste domande legittime io aggiungerei una piccola nota: in Italia moltissimi super e iper mercati distruggono tutti questi scarti senza dare la possibilità alle persone e alle associazioni no profit di prenderli per sè, per i propri animali, o per riutilizzarli (non parlo solo di scarti alimentari), questo lo trovo ancor più grave, spreco nello spreco…
Sauro Martella
dice:Ciao AGT, è vero quello che dici, ma non è necessariamente solo insensibilità da parte della grande distribuzione. Se non sbaglio, fino a qualche anno fa questa possibilità era addirittura vietata per legge ed è solo da pochi anni che la cosa è stata permessa con una precisa regolamentazione. Mi sembra anche che questa regolamentazione si trasformi però in un ulteriore costo per chi decide di attuare una politica del genere, quindi solo in poche situazioni viene applicata…
Barbara Primo
dice:Infatti la cosa interessante della Francia é che le ditte che decidono di regalare il surplus alle associazioni riconosciute dallo Stato hanno diritto a delle deduzioni fiscali, come se donassero denaro. Anche qui in Francia la maggior parte delle ditte distrugge il surplus o lo getta, anche perché una sua gestione extra-commercio é dispendiosa in termini di tempo. E’ il sistema organizzativo che é diverso alla base, anche nella mentalità del popolo. Qui quando lo “spettacolo” dei frugatori di immondizie é iniziato la gente ha cominciato a porsi delle domande, é diventato subito un fenomeno, qualcosa di cui parlare, tanto che giornali e televisioni hanno fatto delle trasmissioni al soggetto e qualcosa si é mosso. Credo si chiami sensibilizzare l’opinione pubblica e ho l’impressione che qui sia molto più accentuata rispetto all’Italia. Ma di queste cose parlerò in un altro articolo… Buona domenica!
maria
dice:ciao
volevo segnalare, perchè mi sembra un segnale interessante, che in Italia è presente e opera la Fondazione Banco Alimentare che raccoglie (dall’Unione Europea, dall’industria alimentare, dalla Grande Distribuzione Organizzata e dalla ristorazione collettiva) e ridistribuisce i surplus alimentari in scadenza o in eccedenza a enti assistenziali e caritativi quali mense per poveri, case d’accoglienza, centri di recupero, comunità per il recupero di tossicodipendenti, comunità per portatori di handicap, comunità per minori e ragazze madri, enti per il sostegno periodico a famiglie ed anziani (Banchi di Solidarietà, Caritas, Società di San Vincenzo de Paoli etc.) http://www.bancoalimentare.it/
Barbara Primo
dice:Grazie per questa segnalazione Maria 🙂
fwspeek
dice:il video è stato rimosso, a presto
Barbara Primo
dice:Buongiorno fwspeek, in che senso il video é stato rimosso? L’ho pubblicato io sul mio conto Youtube e se ci clicco sopra anche da qui lo vedo… 🙂
licia
dice:Uno o due anni fa c’è stato un po’ di rumore sulla quantità di pane invenduto che ogni sera finisce al macero a Milano e sulle varie difficoltà – dal normativo al logistico – che si incontrano se si cerca di utilizzarlo per scopi diversi dalla vendita (mense gratuite, canili, ecc). Alcuni fornai, più consapevoli di altri, si dichiaravano comunque nella necessità di continuare a produrre in surplus perché i clienti non entrano in un negozio con gli scaffali mezzi vuoti e vogliono un’ampia scelta di varietà. Qualcuno cercava di arginare il fenomeno svendendo il pane sottocosto dopo una certa ora.
Il fatto che in molte zone, per esempio qui in Umbria, i forni abbiano finito il pane già prima di mezzogiorno (dopo quell’ora c’è solo nella grande distribuzione), dimostra che è tutta questione di abitudini.
Di chi? di noi conumatori…
Barbara Primo
dice:Ciao Licia, il film “We feed the world” inizia proprio dal pane gettato…
Quando sono arrivata a Parigi sono rimasta sorpresa dal fatto che anche verso sera si sentisse profumo di pane per strada… Come giustamente mi ha fatto notare mio marito i lavoratori escono dal lavoro per tornare a casa e comprano il pane la sera… Sarò retrograda ma ero abituata a comprarmi il pane la mattina proprio perché la sera trovi i resti… Il supermercato sotto casa nostra (quello dove le persone del video cercano il cibo nelle immondizie) da quando abitiamo qui (5 anni) aumenta continuamente gli orari di apertura, é aperto dalle 9 alle 22 e anche la domenica. Chiude due giorni all’anno! Ho sempre detestato l’idea dell’apertura anche di notte dei supermercati: la gente si abitua come dici tu… tutto a detrimento degli stipendi e dei ritmi di vita dei commessi che ci lavorano dentro… 🙁
licia
dice:Il pane, come dimostrano le mille ricette su veganblog, è uno straordinario archetipo riguardo al cibo 🙂
Più di vent’anni fa, in giro per le più remote isolette greche – certamente fuori da grandi circuiti commerciali, mi ero accorta che il pane aveva tutto un altro ciclo di lavorazione: la prima cottura era pronta verso le 10 del mattino, poi ne usciva un’altra verso le 17. Risultato: il fornaio la notte dormiva a casa sua, anche se di certo si alzava presto. I clienti avevano il pane fresco SIA a pranzo SIA a cena. Questo l’ho verificato di persona in molti villaggetti, non era l’ingegno di un singolo fornaio. Mi aveva colpito parecchio.
Barbara Primo
dice:Infatti: l’essere umano é specialista nel complicarsi la vita… quando con un poca di logica potrebbe trovare la soluzione… Astuti in Grecia… anche se qualcuno potrà ribattere che sulle isole greche i ritmi di vita sono diversi… beh bisogna reinventarsi la propria vita e ricentrare le proprie priorità se quella che abbiamo non ci va bene. Secondo me bisognerebbe “rallentare” per vivere meglio. Noi lo abbiamo fatto e la cosa ci conviene a meraviglia! 🙂
Renata
dice:@Barbara:
Bell’articolo!
Potresti dirmi dove riesco a trovare “We feed the world” il film intero?
Grazie!
Barbara Primo
dice:Ciao Renata, il film lo trovi nei negozi di dvd e su internet, controlla le lingue disponibili per i sottotitoli. 🙂
Renata
dice:Grazie!..te l’ho chiesto perchè non essendo un film “commerciale” ho pensato che fosse un pò difficoltoso reperirlo in un normale negozio di dvd 🙂