Coronavirus: in Olanda stop a tutti gli allevamenti di visoni con due anni di anticipo

Migliaia di visoni abbattuti in Olanda dall'inizio della pandemia, perché risultati positivi al virus. Il Governo olandese ha scelto di chiudere tutti gli allevamenti di visoni in anticipo rispetto alla data prevista per legge, per tutelare la salute pubblica. Qual è, invece, la situazione in Italia?

L’Olanda anticipa a marzo 2021 la chiusura degli allevamenti di visoni prevista per legge per la fine del 2023. Il motivo è legato al diffondersi del virus Sars-Cov-2 (Covid-19) tra gli animali, che ha comportato negli ultimi mesi l’abbattimento precoce di migliaia di esemplari a scopo cautelativo. Sarebbero finora 43 le strutture coinvolte, pari a un terzo del totale degli allevamenti olandesi, e le indagini condotte dalle autorità sanitarie hanno portato alla luce almeno 2 casi di contagio visone-uomo, tra l’altro gli unici in Europa che abbiano visto un salto di specie (detto “spillover”) da un animale all’uomo.

I primi focolai risalgono allo scorso aprile, quando in due allevamenti si registrò una mortalità di animali superiore alla media e alcuni esemplari presentavano difficoltà respiratorie. Probabilmente, gli animali sarebbero stati infettati da alcuni dipendenti positivi al Coronavirus, che si sarebbe trasmesso poi tra i visoni tramite droplet, attraverso le lettiere o i mangimi. Da lì, altri focolai anche in altre strutture e la necessità di chiudere questa tipologia di allevamenti – 128 in tutto il Paese – in anticipo rispetto alla data prevista: le aziende porteranno a termine il ciclo produttivo in atto e poi saranno costrette a chiudere i battenti. Il Governo olandese ha stanziato 150 milioni di euro come indennizzo per gli allevatori che rimarranno senza lavoro.

E in Italia?

Lo scorso giugno LAV è intervenuta sulla questione, sottolineando la stringente necessità di chiudere questa tipologia di allevamenti anche nel nostro paese. Attualmente sono 13 le strutture sul territorio italiano tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo nelle quali sono allevati visoni per ricavarne la pelliccia; anche se finora non sono stati riscontrati episodi di Coronavirus tra gli animali, il rischio rimane elevato. “Gli allevamenti di visoni sono potenziali serbatoi del SARS-CoV-2 e vanno chiusi subito, mettendo la definitiva parola fine all’allevamento di animali, peraltro selvatici, al solo scopo di ricavarne pellicce. – ha dichiarato Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free – Il Parlamento, anche per la tutela della Salute Pubblica, approvi gli emendamenti al Disegno di legge “Rilancio” proposti dalla LAV che, tra le misure di prevenzione della diffusione di zoonosi, prevedono proprio il divieto di allevamento di animali selvatici“.

L’associazione sottolinea la pericolosità della questione relativamente al fatto che questi animali, esattamente come l’uomo, possano risultare asintomatici e, di conseguenza, un vero e proprio pericolo nascosto. Il “Protocollo Covid”, come spiega LAV, prevede però che questa tipologia di allevamento sia messa in isolamento e vengano effettuati gli appositi controlli solo nel caso in cui gli animali presentino i sintomi tipici dell’infezione da SARS-CoV-2, il che ovviamente rappresenta un grave pericolo in caso di diffusione del virus in maniera “silente”.

Oggi, in Italia, sappiamo che negli allevamenti italiani di visone non dovrebbero esserci animali che manifestano sintomi di infezione da SARS-CoV-2, ma non sappiamo se gli stessi visoni sono comunque già infetti e potrebbero così manifestare sintomi nelle prossime settimane: la maggior parte dei visoni oggi presenti negli allevamenti hanno meno di un mese di vita (il ciclo di allevamento comincia con le nascite nel mese di maggio), di conseguenza i cuccioli beneficiano degli anticorpi trasmessi dalle madri. Ciò implica che, se positivi al SARS-CoV-2 i visoni potrebbero manifestare sintomi della malattia solo tra qualche tempo quando saranno meno protetti dagli anticorpi materni.LAV

Il futuro della moda è animal free

Una situazione che interessa, va ricordato, un settore già fortemente in crisi: rispondendo al sentiment dei consumatori, il mondo della moda dimostra già da tempo come le pellicce siano ormai un capo di abbigliamento sorpassato, con moltissimi stilisti del calibro di Gucci, Versace e Stella Mc Cartney, per citarne alcuni, ad aver bandito le pellicce dalle passerelle. Sì, perché ormai da qualche anno esiste una presa di coscienza molto forte da parte dei consumatori rispetto alla questione dello sfruttamento animale, e ciò è dovuto in gran parte all’attività di protesta e informazione portata avanti dalle associazioni animaliste internazionali.

La vendita di pellicce a livello internazionale ha subito un forte calo nel corso degli anni ’90, anche se l’industria ha vissuto un momento di ripresa in anni più recenti specialmente nei ricchi mercati di Russia e Cina. Oltre alla questione etica, esiste anche una questione ambientale legata alla produzione di pellicce: “La quantità di energia necessaria per produrre una vera pelliccia da animali allevati in allevamento è circa 15 volte quella necessaria per produrre un indumento di pelliccia finta“, dichiara PETA. “In più, la pelliccia vera non è biodegradabile, a causa del trattamento chimico che subisce per impedirne il marcimento“. PETA aggiunge che queste stesse sostanze chimiche spesso contaminano le falde acquifere vicino agli allevamenti, se non vengono gestite in maniera responsabile. Il nuovo trend, seguito tanto dai più grandi stilisti del mondo quanto dalle case di moda del “fast fashion”, è l’animal free: i tessuti, dai sintetici più classici alle innovazioni a base vegetale, bandiscono lo sfruttamento animale per rispondere alle richieste di un mercato sempre più attento alla questione etica.

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