Creme solari: la guida definitiva per la protezione della pelle e del nostro pianeta

Crema solare: facciamo chiarezza con la Dott.ssa Erica Congiu, responsabile del progetto BioDizionario e del marchio di garanzia BIODIZIONARIO APPROVED. Ecco tutto quello che devi sapere.

La crema solare è un prodotto cosmetico unico nel suo genere: a differenza delle comuni creme per il corpo, deve avere requisiti particolari che la rendano stabile alle alte temperature e alle radiazioni UV. Allo stesso tempo, la protezione solare non deve perdere efficacia o formare prodotti di degradazione potenzialmente dannosi. Inoltre, visto che deve essere applicata in quantità generosa, più volte nel corso della giornata, non deve contenere ingredienti irritanti o sensibilizzanti e, ovviamente, dannosi per la salute. Tale ovvietà spesso si scontra con uno dei requisiti peculiari di una crema solare, la persistenza sulla pelle.

I filtri solari comprendono comunemente ingredienti che agiscono come “promotori della penetrazione” che aiutano il prodotto ad aderire alla pelle. Di conseguenza, molti prodotti chimici per la protezione solare vengono assorbiti nel corpo e possono essere misurati in campioni di sangue, latte materno e urine, con conseguenze non ancora ben chiare.

Filtri solari minerali e filtri solari chimici

La prima questione che generalmente ci si pone nella scelta di un solare è se orientarsi su filtri solari fisici o su filtri solari chimici, ma soprattutto come capire da che tipo di filtro è composto il prodotto che andremo ad acquistare. I filtri solari commerciali contengono più comunemente filtri chimici o una combinazione di filtri chimici e fisici. I filtri fisici sono l’ossido di zinco e il biossido di titanio. I filtri chimici contengono invece da due fino a sei dei seguenti principi attivi:

  • ossibenzone
  • avobenzone
  • ottatonato
  • octocrilene
  • omosalato
  • ottattossato

Studi di laboratorio indicano che alcuni filtri UV chimici possono avere un comportamento simile a quello degli ormoni umani, il che solleva questioni importanti sulle conseguenze indesiderate della salute umana dovute alla frequente applicazione della protezione solare. A destare maggior preoccupazione in tal senso è l’ingrediente “ossibenzone” (Oxybenzone), contenuto in quasi il 65% dei filtri solari non minerali.

In una valutazione dei dati sull’esposizione, raccolti da CDC per bambini americani, i ricercatori hanno scoperto che i ragazzi adolescenti con misurazioni di ossibenzone più alte avevano livelli di testosterone totali significativamente più bassi (Scinicariello 2016). Altri tre studi hanno riportato associazioni statisticamente significative tra esposizione a ossibenzone durante la gravidanza e gli esiti della nascita. Uno ha riportato gravidanze più brevi nelle donne che gestivano neonati maschi, due hanno riportato un aumentato peso alla nascita nei nascituri di sesso maschile e basso peso alla nascita per quelli di sesso femminile (Ghazipura 2017). Uno studio dell’università di Zurigo ha individuato la presenza di ossibenzone e altri quattro filtri solari nel latte materno, indicando che il feto in via di sviluppo e i neonati potrebbero essere esposti precocemente a queste sostanze (Schlumpf 2008, Schlumpf 2010).

In un altro studio, i volontari hanno applicato una lozione contenente oxybenzone e altri due ingredienti per la protezione solare. I ricercatori hanno riportato una diminuzione statisticamente significativa del testosterone negli uomini, accompagnata da un lieve aumento dell’inibina B, un altro ormone sessuale maschile (Janjua 2004). I ricercatori hanno concluso che queste differenze erano variazioni normali e non attribuite all’esposizione ai filtri solari, ma lo studio è stato contestato in quanto le esposizioni sono state troppo brevi non consentendo di arrivare ad alcuna conclusione (Krause 2012). Alte esposizioni al ossibenzone sono anche associate a una scarsa qualità dello sperma (Louis 2015) e difficoltà di concepimento (Buck-Louis 2014). Nelle donne l’esposizione all’ossibenzone è associato ad un aumentato rischio di endometriosi (Kunisue 2012).

Essendo l’ossibenzone così diffuso, è assolutamente necessario che vengano svolti ulteriori studi per valutare il suo impatto sul sistema endocrino dei bambini e degli adulti. A carattere precauzionale, la sostanza – insieme a tutti gli altri sospetti “perturbatori endocrini” – è segnalata dal nostro Biodizionario con un semaforo rosso.

I filtri fisici comprendono l’ossido di zinco e biossido di titanio. Queste molecole di origine naturale sono particolarmente apprezzate sia dai formulatori che dagli acquirenti di cosmesi bio: sono stabili, è ben dimostrato che non penetrano nei tessuti, e forniscono un ottimo livello di protezione solare senza effetti nocivi noti per la salute o per l’ambiente. Il meccanismo d’azione si può paragonare a quello di uno specchio: queste molecole riflettono la luce, facendo in modo che le radiazioni ultraviolette, invece di penetrare la pelle, tornino indietro. Tale meccanismo d’azione è però il responsabile dell’unico aspetto negativo dei filtri solari fisici: l’alone bianco che lasciano sulla pelle.

Particelle nano: cosa sono?

Da qui l’esigenza di mettere a punto particelle minerali “micronizzate”, dette anche “nano”, che aggirassero questo problema. Una particella molto grande assorbe solo in parte le radiazioni ma ne riemette una grossa quantità (effetto specchio); al contrario, particelle molto piccole proporzionalmente assorbono più radiazioni e ne emettono molte meno. Ciò consente ai filtri nano di conferire un alto livello di protezione solare, sia nei confronti delle radiazioni UVA che UVB, senza lasciare l’alone bianco riflettente tipico delle creme solari ad altissimo fattore di protezione. Tuttavia, considerando che le nanoparticelle sono più efficaci ad assorbire le radiazioni UVB e le particelle più grandi conferiscono una maggiore protezione nei confronti delle radiazioni UVA, creme solari che puntano a un fattore di protezione “totale” utilizzano entrambe le sostanze sinergicamente, minimizzando l’effetto bianco ma non eliminandolo del tutto.

Tali nanoparticelle hanno destato subito la preoccupazione dei consumatori più attenti, per via del sospetto che molecole così piccole potessero penetrare e accumularsi nei tessuti, con possibili effetti nocivi per la salute. Un gran numero di studi non ha prodotto alcuna prova che le nanoparticelle di ossido di zinco possano attraversare la pelle in quantità significative (SCCS 2012).

Uno studio ha testato il potere di penetrazione di particelle di ossido di zinco di 19 e 110 nanometri su volontari umani che hanno applicato filtri solari due volte al giorno per cinque giorni (Gulson 2010). I ricercatori hanno rilevato che meno dello 0,01% di entrambe le forme di zinco era entrato nel flusso sanguigno. Lo studio non ha potuto determinare se lo zinco nel sangue fosse costituito da nanoparticelle insolubili, pertanto i regolatori europei hanno concluso che era molto probabile che si trattasse di ioni di zinco, il che non comporterebbe alcun rischio per la salute (SCCS 2012).

Altri studi sponsorizzati dalla FDA e dall’Unione Europea hanno concluso che le nanoparticelle non penetrano nella pelle (NanoDerm 2007, Sadrieh 2010). Proprio recentemente il Comitato sulla Sicurezza dei prodotti cosmetici ha imposto una rivalutazione sulla sicurezza dei filtri nano non rilevando rischi se non per i prodotti spray e per i filtri nano non ricoperti (coated) (EU SCCS 2018).

I filtri solari nano di ultima generazione subiscono un trattamento di copertura che serve a ridurre o eliminare la presunta reattività degli ossidi di titanio e di zinco, ed è fondamentale per la sicurezza dei prodotti solari che li contengono. Il rischio per i filtri solari nano non ricoperti (coated) è che possano ossidare i lipidi cutanei e generare radicali liberi, con conseguenze che vanno dall’invecchiamento cutaneo precoce al danneggiamento dei tessuti. Il biossido di titanio e, in misura minore, l’ossido di zinco, sono fotocatalizzatori, il che significa che quando sono esposti a radiazioni UV possono formare radicali liberi che danneggiano le cellule circostanti. Tuttavia è stato visto che questi radicali liberi vengono rapidamente estinti dagli antiossidanti naturalmente presenti sulla nostra pelle.(Popov 2009, Osmond 2010).

Crema solare e additivi: cosa c’è da sapere?

Oltre ai filtri solari, le protezioni solari contengono numerosi “additivi” volti a migliorare la performance e la persistenza del prodotto. Fortunatamente, la comunità europea ha messo al bando un conservante ampiamente diffuso nelle creme solari che si è dimostrato avere un fortissimo potere sensibilizzante, il methylisothiazolinone (EU SCCS 2014). La sostanza è però attualmente permessa dalla FDA e quindi ancora presente nei solari destinati al mercato statunitense.

Come per tutti i cosmetici, anche per la crema solare va valutata la presenza di siliconi, derivati petroliferi, parabeni e cessori di formaldeide, ingredienti per cui l’impatto sulla salute e sull’ambiente è già stato ampiamente trattato e chiarito. È invece recente la preoccupazione sollevata in merito alla presenza della vitamina A, utilizzata almeno nel 15% delle creme solari in commercio: uno studio condotto negli Stati Uniti suggerisce che il retinile palmitato, una forma di vitamina A, può accelerare lo sviluppo di tumori e lesioni cutanee se applicato sulla pelle in presenza di luce solare (NTP 2012). Studi tedeschi e norvegesi invece affermano che il retinil palmitato e altre forme di vitamina A nei cosmetici potrebbero contribuire alla tossicità della vitamina A a causa dell’eccessiva esposizione (BfR 2014 tedesco, SCFS norvegese 2012a).

Un eccesso di vitamina A preformata, compreso retinolo, retinil palmitato, retinilacetato e retinil linoleato, può causare una varietà di problemi di salute, tra cui danni epatici, unghie fragili, perdita di capelli e osteoporosi e fratture dell’anca negli anziani. Le donne anziane a rischio di osteoporosi dovrebbero evitare l’eccessiva vitamina A perché mina la densità ossea. Un eccesso di vitamina A può causare seri difetti nel feto in via di sviluppo. Per questo motivo, le autorità sanitarie norvegesi hanno avvertito le donne in gravidanza o in allattamento al seno di evitare prodotti cosmetici con vitamina A (SCFS norvegese 2012b).

È da apprezzare invece la presenza di antiossidanti come il tocoferolo (vitamina E) che potenziano la capacità antiossidante della pelle, riducendo il danno da radicali liberi che l’esposizione solare può generare, e la presenza di olii attivi lenitivi come il burro di karitè e l’aloe Vera, che mantengano idratata la pelle contrastando l’infiammazione.

SPF: cos’è il fattore di protezione solare e come sceglierlo?

La sigla SPF indica il fattore di protezione solare, e fornisce un’indicazione numerica (da 6 a 50+) relativa alla capacità del prodotto di schermare o bloccare i raggi del sole. La valutazione del SPF è calcolata rapportando la quantità di tempo necessario per produrre una scottatura sulla pelle protetta con filtro e senza filtro. In termini più tecnici, l’SPF rappresenta il rapporto fra la dose minima che causa eritema sulla pelle protetta da un prodotto per la protezione solare e la dose minima che causa eritema sulla stessa pelle non protetta.

In termini pratici una persona che può stare al sole senza scottarsi per 10 minuti, con un filtro solare a protezione 6 potrà stare al sole senza scottarsi per 60 minuti. L’indicazione dell’SPF rimane comunque altamente teorica e va ampiamente contestualizzata; per fare un esempio, una protezione “100” dovrebbe consentire di esporsi 100 volte più a lungo prima di subire una scottatura solare. Una persona che dopo 30 minuti sotto il sole di mezzogiorno si scotterebbe, il linea teorica potrebbe prolungare l’esposizione fino a 50 ore. Così certo non è e non bisogna dimenticare che il fattore di protezione è pregiudicato dalla quantità di prodotto che viene applicato sulla pelle, dalla sudorazione, dalle immersioni in acqua e dal tempo che passa tra un’applicazione della protezione solare e quella successiva.

Crema solare: attenzione alla quantità

A differenza di quanto venga percepito dai consumatori, la “quantità” di crema solare che si usa può essere addirittura più importante della sua “qualità” in termini di SPF. Ad esempio, applicando solo il 25% della quantità prevista di SPF 30, la protezione contro le scottature sulla pelle è in realtà solo 2,3. Un’efficacia minore rispetto le magliette, che in genere hanno un SPF che va da 5 a 20. Sulle confezioni non è sempre ben chiara la quantità di prodotto che andrebbe applicata e le persone tendono ad applicare le creme solari frettolosamente e tardivamente rispetto l’esposizione solare. Le formulazioni in spray, pur essendo molto pratiche, accentuano questa problematica, disperdendo il prodotto portando ad applicarne meno di quanto ne servirebbe.

Se è vero che una protezione solare adeguata è sempre necessaria ogni qualvolta ci si esponga alla luce solare, anche se indiretta, è anche vero che l’eccesso di protezione solare può portarci a una carenza di Vitamina D. Il corpo produce precursori della vitamina D sulla pelle solo in presenza di luce solare. I reni convertono queste sostanze nella forma attiva della vitamina D, che il flusso sanguigno trasporta in tutto il corpo. Adeguati livelli di vitamina D sono indispensabili per il mantenimento della salute delle ossa e del sistema immunitario.

Si stima che in Italia la carenza di Vitamina D interessi ormai l’80% della popolazione (dati SIOMMMS, 2014), tuttavia la posizione dell’American Academy of Dermatology del 2009 sulla vitamina D è che “non esiste un livello soglia scientificamente validato e sicuro di esposizione ai raggi UV del sole che consenta la massima sintesi di vitamina D senza aumentare il rischio di cancro della pelle.” Si raccomanda quindi di raggiungere i livelli raccomandati di assunzione di questo nutriente tramite la supplementazione e l’assunzione di cibi fortificati.

Il migliore compromesso si può raggiungere utilizzando un fattore di protezione medio-basso nelle fasce orarie in cui le radiazioni solari sono meno forti e/o quando si raggiunge un buon livello di abbronzatura e limitare la protezione totale alle ore centrali della giornata e alle pelli più chiare e delicate. Questo, unito alla buona abitudine di esporre la pelle alla luce del sole anche nel periodo invernale, anche solo per pochi minuti al giorno, può prevenire le carenze più gravi, rendendo la supplementazione meno cruciale.

Il problema ambientale

Si stima che solo nelle zone della barriera corallina finiscano tra le 6.000 e le 14.000 tonnellate di crema solare ogni anno. Un danno dall’entità inestimabile, considerando che il già citato ossibenzone, non solo ha effetti negativi sulla salute umana, ma anche sulle specie marine: secondo uno studio pubblicato sull’ “Archives of Environmental Contamination and Toxicology” questa sostanza causa deformità nei tessuti molli e fa sì che le larve di corallo si sotterrino nel proprio scheletro, che diventa la loro bara. L’ossibenzone è genotossico per i coralli, esibendo una relazione positiva tra le lesioni DNA-AP e l’aumento della sua concentrazione.

Ma l’ossibenzone non è l’unico imputato, qualsiasi componente di una comune crema solare, se non biodegradabile, finisce inevitabilmente per accumularsi nei nostri mari; direttamente, disperdendo la crema mentre facciamo il bagno o indirettamente, tramite gli scarichi delle nostre docce, quando ci laviamo. Ancora una volta si rivela fondamentale la scelta di una crema solare bio, che privilegi l’utilizzo di materie prime di origine vegetale, completamente biodegradabili. I filtri fisici stessi, come il titanium Dioxide e lo Zinc oxide hanno un impatto ambientale decisamente basso. Purtroppo alcune sostanze non del tutto eco-compatibili sono ancora ammesse da alcuni disciplinari che certificano cosmesi eco-bio, pertanto la scelta migliore è sempre quella di verificare la presenza di sostanze a semaforo rosso sul BIODIZIONARIO, che attribuisce un giudizio univoco sia in merito alla salubrità della sostanza che sul suo impatto ambientale.


PER RIASSUMERE:


In base agli argomenti trattati, ecco una breve guida al corretto utilizzo dei solari

  • Preferire una crema solare bio che garantisca l’esclusione di materie prime dannose per la salute e per l’ambiente; la certificazione BIODIZIONARIO APPROVED è un requisito che può aiutare nella scelta;
  • In mancanza di certificazioni, assicurarsi che la crema non contenga per lo meno questi ingredienti:
    Oxybenzone o Benzophenone-3 (Bp-3)
    Butyl Methoxydibenzoylmethane;
    Ethylhexyl Salycilate;
    Ethylhexyl triazone;
    Octocrylene;
    Octyldimethyl-PABA (OD-PABA);
    Ethylhexyl Methoxycinnamate o Octyl-Methoxycinnamate (OMC);
    4-Methylbenzyliden Camphor (4-MBC); Parabeni: methylparaben,propylparaben,ethylparaben,isobutylparaben,benzylparaben e butylparaben
    Siliconi: Cyclomethicone, Cyclopentasiloxane, Cycloesasiloxane, Dimethicone…
    Paraffine: paraffinum liquidum, mineral oil
    EDTA, BHT, BHA
  • Preferire formulazioni che utilizzino filtri solari fisici, nel caso di fitri solari “nano” assicurarsi che siano nella forma ricoperta “coated” e che non siano formulazioni spray.
  • Utilizzare SPF molto alti solo su pelle ancora molto chiara e/o nelle ore centrali della giornata.
  • Utilizzare SPF più bassi su pelli già abbronzate e quando il sole è meno forte, per garantire un’adeguata sintesi di vitamina D
  • Spalmare il solare nella quantità adeguata (30-35 grammi di prodotto, ovvero più o meno la grandezza di una pallina da golf per ciascuna applicazione) almeno 30 minuti prima dell’esposizione solare e preferire formulazioni in crema, che garantiscono un maggiore controllo della quantità applicata.
  • Riapplicare la crema ogni 2-3 ore e dopo ogni bagno, se la formulazione non è waterproof.

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