Soggettiva, parziale, lontana dalla realtà: parlare di morale – a prescindere dalla scelta vegan – apre ogni volta la porta a migliaia di obiezioni, critiche e dubbi che è difficile esplicare e razionalizzare in un solo articolo: vogliamo però concentrarci e provare a domandarci perché – nella società contemporanea in cui viviamo e viste le possibilità che quasi ognuno di noi ha di scegliere alimenti o indumenti che non richiedano lo sfruttamento di altri esseri senzienti – molti ancora non stiano seguendo la scelta eticamente migliore, nonché la più ragionevole e umana: diventare vegan.
Veganismo ed etica
Se negli ultimi anni la scelta vegan ha iniziato generalmente a godere di maggiore accettazione e comprensione – anche per via di contingenze storiche che impongono di rivedere alcune delle nostre abitudini accogliendo un’ottica più sostenibile e consapevole – è pur vero che tantissimi ancora non comprendono o condividono le istanze etiche che ne sono alla base.
A non andare giù, è soprattutto il fatto che i vegani si appellino e richiamino onnivori, vegetariani o flexitariani alla necessità e all’obbligo morale che imporrebbe a tutti, cittadini di una società che si definisce moderna e civilizzata, di dire basta al consumo di carne e derivati per questioni etiche. E alla base di questa volontà di suggerire e invocare l’azione desiderabile, c’è una formula logica usata in filosofia proprio in ambito etico.
Il comportamento moralmente migliore e la possibilità di perseguirlo
Fu il filosofo Immanuel Kant a definire, discutendo sulla ragione umana, che quando riconosciamo che c’è qualcosa che come specie e come individui siamo moralmente tenuti a fare, automaticamente siamo in grado di stabilire che sì, abbiamo la possibilità di portare a termine quella determinata azione.
In soldoni: sentire che c’è un comportamento più utile, più etico, più sostenibile a disposizione, significa automaticamente che sappiamo di avere le risorse, le disponibilità economiche e la capacità di poterlo portare avanti nella nostra vita.
Una logica che si applica perfettamente al veganismo e all’imposizione morale che tutti noi abbiamo nel seguirlo: se sempre più studi, centri di ricerca e panel internazionali dicono che a livello etico, ambientale e persino per la nostra stessa salute seguire un’alimentazione plant-based è la scelta più vantaggiosa e desiderabile per garantire a noi stessi un futuro, in cuor nostro sappiamo bene qual è la scelta migliore da portare avanti quando siamo tra le corsie di un supermercato o facciamo shopping per un nuovo paio di scarpe.
Avere a disposizione un’alternativa vegetale alla carne, alle uova, al latte e avere le disponibilità economiche per permettersela, suggerirebbe a tutti noi di optare per l’acquisto che sappiamo essere meno impattante, meno crudele, più “umano” possibile. Per questo, ti chiediamo: perché anche tu non sei ancora vegan*? Perché, pur con tutti gli indizi che portano a individuare nell’alimentazione plant-based la scelta desiderabile, non la portiamo tutti avanti?
L’impossibilità di diventare vegan e il gusto personale
L’imperativo di Kant implica un ragionamento opposto: “impossibile equivale a omissibile”. Per chi questa non è un’opzione praticabile – pensiamo a tribù indigene della Foresta Amazzonica o persone che non hanno accesso a cibo plant-based in alcun modo – allora è chiaro che non si può parlare di azione preferibile, perché non si può oggettivamente portare avanti e si è giustificati a comportarsi in modo diverso. Questo però non vieta e non dovrebbe essere una scusa per noi, che ne abbiamo la possibilità, di farlo comunque.
E a chi obietta, alla fine di questo discorso, che al di là di tutti i ragionamenti e le istanze etiche bisogna sempre tener conto delle scelte e delle volontà personali – tra cui il proprio gusto e la voglia di non rinunciare a qualcosa che ci piace – poniamo un quesito: è giusto agire nel modo eticamente non preferibile soltanto per egoismo, per portare avanti un’abitudine che sappiamo arrecherà danno ad altri per il nostro effimero piacere? Noi crediamo di no.
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