Sfruttamento animale

Dove si traccia il confine dello sfruttamento animale?

Dove, e soprattutto su quali basi, si traccia il confine di quello che è a tutti gli effetti sfruttamento animale? Il metro di misura, purtroppo, è sempre l'essere umano con i suoi capricci.

Nella nostra società lo sfruttamento animale è qualcosa di dato, pressoché in ogni contesto: è lì, c’è sempre stato e (quasi) nessuno cerca di mettervi fine, talmente è radicato e normale – nel senso letterale del termine, “che segue la norma” – nel nostro modo di vedere il mondo.

Tuttavia, chi e quando decide quali siano i confini di questo sfruttamento? A ben pensarci, il metro di misura è sempre l’essere umano con le sue esigenze. Per esempio, parlando di allevamenti intensivi – sulla cui storia e insostenibilità a livello etico e ambientale abbiamo da poco pubblicato un intero report – sappiamo bene che esiste una normativa che tutela il “benessere animale” in queste strutture. Una normativa che però ha come fine principale la tutela degli interessi economici e della salute dei consumatori, e che solo in ultima analisi si occupa anche della salute e del benessere degli animali coinvolti.

E non solo negli allevamenti: in generale, il nostro rapporto con gli animali rispecchia una gerarchia basata su specismo e sottomissione arbitraria, figli della convinzione  (infondata) che vuole l’essere umano come superiore alle altre forme di vita, e che gli attribuisce diritti del tutto ingiustificati sulle altre specie. Pensiamo ad esempio agli zoo e a tutte le forme di intrattenimento che coinvolgono gli animali, considerate legittime nel momento in cui hanno lo scopo di soddisfare le necessità – di qualsiasi tipo – umane. 

Eppure, è abbastanza sicuro che ribaltando il punto di vista, la situazione cambierebbe: se non fosse la nostra specie a prevaricare sulle altre, o se l’essere umano non disponesse di un dominio incontrastato sul Pianeta e sulle sue risorse, il confine dello sfruttamento animale si sposterebbe ben lontano da dove l’ha collocato la nostra specie. 

Sfruttamento animale

Il vero problema è che siamo noi a doverci imporre un limite e il modo in cui (non) stiamo gestendo la crisi climatica è un esempio lampante della nostra incapacità di farlo: a dispetto di tutte le evidenze scientifiche, degli allarmi da parte degli esperti e delle ormai sempre più frequenti problematiche legate all’innalzamento delle temperature, siamo ancora qui a discutere su come e in quale misura agire, crogiolandoci nell’inazione. Questo, nonostante sia in gioco l’esistenza dell’intero Pianeta.

Figuriamoci allora se quando si parla di diritti animali e sfruttamento, in un ambito che non ci riguarda direttamente – ma che anzi porta solo vantaggi alla nostra specie – siamo in grado di alzare l’asticella, rendendoci conto che stiamo agendo in maniera ingiusta: non lo facciamo semplicemente perché non ci riguarda e, in fondo, non ci conviene. Essere vegan è proprio questo: rinunciare al nostro punto di vista privilegiato sul mondo e puntare il dito contro queste storture del sistema, per portare alla luce un’evidenza che oggi come oggi non è più possibile ignorare.

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