L’Emilia-Romagna è la prima regione in Italia ad andare verso l’abolizione delle gabbie negli allevamenti: è stata approvata in questi giorni una mozione di Europa Verde e Partito Democratico, che richiede una svolta etica e “sostenibile” nel settore. La notizia è stata diffusa dalla consigliera regionale Silvia Zamboni (Verdi), prima firmataria della risoluzione che trae ispirazione dall’iniziativa “End the Cage Age”; quest’ultima, lo scorso ottobre, ha permesso di presentare alla Commissione Europea circa 1,4 milioni di firme di altrettanti cittadini, per dire basta alle gabbie negli allevamenti. A seguito di questa campagna, 101 parlamentari europei hanno inviato una lettera alla Commissione Europea, per chiedere non solo la graduale eliminazione delle gabbie negli allevamenti, ma anche leggi che regolino queste attività a livello europeo.
L’Emilia-Romagna è una delle Regioni in cui si concentra la maggior parte degli allevamenti intensivi del Paese, quindi la transizione interesserà moltissime strutture. Ma di cosa parliamo esattamente? Tra le innovazioni proposte per la Regione c’è l’impegno “a mettere in campo politiche e strumenti – sia di carattere economico che di indirizzo
per i Piani urbanistici – a supporto della transizione ad allevamenti senza gabbie e rispettosi del benessere animale da elaborare attraverso il coinvolgimento degli allevatori dell’Emilia-Romagna, anche mediante forme di sostegno, compatibilmente con le risorse di bilancio e nel quadro di un modello di allevamento sostenibile sotto il profilo ambientale ed economico”. In più, la Giunta si impegna a proseguire con le iniziative già messe in atto per il benessere animale, nonché a trasmettere questa risoluzione al Governo italiano.
L’obiettivo, dunque, è la fine dell’allevamento in gabbia in tutta Italia, per un miglioramento delle condizioni di vita degli animali e un impatto ambientale ridotto. “Rendere più sostenibili, ambientalmente ed eticamente, i metodi di allevamento – dichiara Silvia Zamboni – è un bene per i consumatori, i produttori e, ça va sans dire, gli animali stessi. Possibile farlo? Difficile, ma non impossibile. Noi Verdi lo sosteniamo da anni, insieme a tante associazioni ambientaliste e animaliste. Ora, con la risoluzione approvata lo scorso 4 maggio dalla Commissione attività produttive dell’Assemblea legislativa, in Emilia-Romagna abbiamo avviato il percorso di transizione per dare concretezza al raggiungimento di questo obiettivo. Che è sempre più condiviso da ampie fasce di popolazione e da rappresentanti politici di diversa estrazione in tutti i paesi dell’Unione europea”.
Il nostro punto di vista
Anche se l’iniziativa dell’Emilia-Romagna è un passo importante, come altre volte prima d’ora ci sentiamo di dire che è solo l’inizio, non un traguardo. Da sempre, come persone e come Network, crediamo che il welfarismo, la ricerca di condizioni migliori per gli animali continuando a sfruttarli, privandoli della libertà e poi della vita, non sia la strada giusta. Pensiamo che le condizioni di vita di milioni di esseri viventi non siano negoziabili.
Ovviamente consideriamo questa notizia assolutamente positiva, ma non vogliamo trasmettere una soddisfazione che in realtà non proviamo. Il problema degli allevamenti intensivi non riguarda la presenza e le dimensioni delle gabbie, il numero degli abbeveratoi a disposizione degli animali o la presenza o meno di arricchimenti ambientali. Il problema è l’esistenza stessa degli allevamenti e la legalità delle aberrazioni che vengono commesse in queste strutture.
Gli allevamenti intensivi non sono sempre esistiti, rappresentano solo la massima espressione dello specismo mai raggiunta nella storia dell’uomo. Dalla metà del secolo scorso, gli animali sono diventati “macchine da produzione” al servizio dell’uomo, e la società ha iniziato a considerare giusto, “normale”, naturale e perfino necessario rinchiuderli a milioni in spazi angusti, sporchi e sovraffollati per ricavarne cibo, abbigliamento e tanto altro. Da qualche tempo è aumentata l’attenzione dei consumatori verso le condizioni di vita degli animali negli allevamenti, e la risposta dei produttori è arrivata tramite etichette che certificano il benessere negli allevamenti. Si agisce per modificare la percezione che il consumatore ha dello sfruttamento animale, non certo per eliminarlo: mangiare la carne di “animali felici” tranquillizza le coscienze e consente di portare avanti un business estremamente redditizio.
Come si può parlare di benessere se il fine ultimo di un qualsiasi trattamento, sia pure esso legale e più rispettoso dell’etologia di un animale, è togliergli la vita perché diventi cibo sulle nostre tavole? Ovviamente ci auguriamo che tutta Italia segua l’esempio dell’Emilia-Romagna, ma non ci accontentiamo. Speriamo che questo sia solo il primo passo verso la completa liberazione animale.
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