“Poco è meglio di niente”, ma anche “la perfezione non esiste”: potrebbero sembrare due affermazioni banali, ma quanto mai vere quando si parla di una delle critiche più frequenti alla scelta vegan, tacciata di ipocrisia perché “non si può essere 100% vegani”. Ovviamente non parliamo della gara che rende una persona “più vegan” di un’altra, ma della possibilità concreta di escludere totalmente, sicuramente e senza margine di dubbio lo sfruttamento animale dalla propria esistenza.
Purtroppo, viviamo in una società e in un’epoca in cui lo sfruttamento e l’uccisione degli animali non umani da parte dell’uomo per utilità, ricerca o intrattenimento, sono all’ordine del giorno, talmente radicati nel nostro quotidiano che molto spesso è difficile perfino rendersene conto. Quelle realtà che lo rendono palese, come la produzione alimentare, il mondo della moda o la vivisezione, sono solo la punta di un enorme iceberg: lo sfruttamento animale è ovunque, anche nei posti (e negli oggetti) più insospettabili.
Gelatina animale nelle caramelle gommose, cocciniglia nei cocktail, latte vaccino nelle patatine, ma anche sego animale nelle candele, nelle colle e negli inchiostri: gli ingredienti animali sono ovunque, ed è una pura e amara verità.
I mille usi del maiale: la realtà shock dello sfruttamento animale
Per fare un esempio, esiste un libro che, seppure non sia stato scritto per sposare la causa vegan, è esemplificativo di questa situazione: “Pig 05049” della designer Christien Meindertsma. Una raccolta di immagini e didascalie che nasce per mostrare gli usi degli scarti della macellazione del maiale, da quelli più noti a quelli più impensati.
Prendiamo la gelatina, che non è solo un ingrediente non vegan delle caramelle, ma trova largo impiego anche negli oggetti più disparati: sapevi che può essere usata per tenere insieme i tappi di sughero di qualità scadente, come collante nella pellicola fotografica e per le lastre, e come ingrediente di capsule e pastiglie?
Ancora, sapevi che il collagene non è usato soltanto nei prodotti di bellezza anti-age, ma può trovare impiego anche nella carta (per renderla più resistente) e come conduttore di elettricità nei fili di rame? Ora, l’autrice di questo volume – pensato più come un oggetto di design che come un’opera con scopi educativi – individuava nel 2007 ben 185 “usi” diversi del maiale, ma sicuramente non è un dato esaustivo e aggiornato a oggi.
E il punto è proprio questo: lo sfruttamento animale permea la nostra società in maniera totalizzante, è talmente radicato e diffuso che è pressoché impossibile escluderlo totalmente dalla propria esistenza. Questo significa che essere vegani è inutile? Ovviamente no.
Poco è assolutamente meglio di niente
“L’impossibilità di essere coerenti fino in fondo nel rapporto con gli animali, non ci esonera intanto dal fare quanto ci è possibile”: in questa riflessione dello psicologo Hal Herzog nel suo volume Amati, odiati, mangiati. Perché è così difficile agire bene con gli animali è racchiusa l’essenza del nostro discorso: il fatto di non poter escludere del tutto lo sfruttamento animale dalla nostra quotidianità, non è un motivo sufficiente per non provarci.
Il cibo che decidiamo di portare in tavola ogni giorno, i vestiti che indossiamo e le realtà che decidiamo di supportare o meno, sono sotto il nostro controllo e sono gli ambiti della nostra vita da cui possiamo senza dubbio bandire lo sfruttamento animale. Fare il possibile per escludere consapevolmente lo sfruttamento animale dalla propria vita, partendo da alimentazione, abbigliamento e intrattenimento è lecito, oltre che auspicabile.
E, in fondo, questa è anche l’essenza stessa della scelta vegan: non la ricerca spasmodica di una perfezione assoluta, ma la volontà di fare quello che si può, con i mezzi a propria disposizione, per gli animali. Tutto questo è molto meglio di niente e non potrebbe essere altrimenti.
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