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Il fango degli attivisti davanti al Senato: quando ci prenderemo le responsabilità – etiche e ambientali – di tutto quello che abbiamo fatto al Pianeta?

Le grida delle attiviste di Ultima generazione, cosparse di fango, risuonano un triste ultimatum "climatico" davanti al Senato. È ora di agire in ottica futuribile non solo rinunciando ai combustibili fossili, ma anche cambiando abitudini alimentari.

Stanno facendo il giro del web le immagini di attivisti di Ultima Generazione che hanno protestato, gettandosi del fango addosso, davanti al Senato, riferendosi alle terribili e recenti alluvioni in Emilia Romagna, con tutta probabilità collegate al cambiamento climatico oltre che a evidenti errori di pianificazione territoriale da parte delle amministrazioni locali. Gettandosi del fango addosso, urlando il monito “Arriverà anche qui”, gli attivisti hanno dato voce all’ultimatum ambientale che la politica sembra non voler ascoltare o per cui non sembra pronta ad agire con azioni concrete, rivedendo priorità, investimenti e abitudini per a avviare una transizione che non può essere solo più sostenibile, ma che anche più etica. Vediamo insieme perché.

Le proteste col fango degli attivisti contro politiche cieche di fronte al climate change

Sono 11 le persone portate in caserma dai carabinieri, comprese le due ragazze che nella giornata di ieri hanno volutamente fatto “disobbedienza civile” cospargendosi di fango per dimostrare, in modo crudo e tangibile, gli effetti di politiche ciecamente ancora lontane da soluzioni che possano quanto meno mitigare gli effetti del climate change sul nostro Pianeta e, più nello specifico, sul nostro territorio.

C’è chi chiama i fatti dell’Emilia Romagna “maltempo“, chi critica i giovani attivisti di impegnarsi solo a parole (quando in realtà molti di loro hanno spalato fango da case, vie, piazze) e c’è chi invece ha da tempo aperto gli occhi e ha riconosciuto, nella terribile tragedia degli scorsi giorni, una matrice insindacabile: quelle piogge torrenziali, dopo mesi di siccità, sono cambiamento climatico. Quelle persone, quegli animali lasciati morire negli allevamenti sono vittime del climate change e di sventurate decisioni politiche che non tengono conto del fatto che il nostro Pianeta si sta riscaldando sempre più, o che il nostro clima si stia tropicalizzando con tutte le conseguenze del caso a cui abbiamo potuto già assistere. Quella dell’Emilia Romagna è una tragedia annunciata purtroppo, per cui – nonostante appelli, lacrime e parole – la politica non si dimostra pronta a prendere in mano la situazione con soluzioni davvero efficaci.

La transizione ecologica deve essere anche etica

Di quali soluzioni parliamo? Non solo di una transizione ecologica che rinunci ad investire ancora sui combustili fossili, come ricordano gli attivisti che giustamente si fanno sentire davanti a Palazzo Madama, ma anche un cambiamento etico e sostenibile in chiave plant-based che può aiutare a ridurre drasticamente le emissioni inquinanti legate all’alimentazione di cui ancora troppo poco si parla (sì, anche tra chi chiede a gran voce il cambiamento in piazza).

Un discorso che si collega tristemente alle tantissime morti animali avvenute in Emilia Romagna, una delle regioni con la più alta concentrazione di allevamenti in Italia, nonché una delle più inquinate e che ha più sofferto le piogge torrenziali di questi giorni. Maiali, polli, pecore: sono tantissimi gli esemplari che purtroppo sono annegati negli scorsi giorni e per cui ora gli allevatori chiedono aiuti: soccorsi che però, lato nostro, fanno storcere il naso. Perché quelle sono vite che sono state spezzate dalla furia dell’acqua, non merci da risarcire. Sono vite che lì in quegli allevamenti non dovrebbero neanche starci e che rappresentano un valore per gli imprenditori non tanto perché esseri senzienti, ma perché sono corpi di cui disporre per creare profitto. Tutto, beninteso, ignorando il peso degli allevamenti intensivi sul riscaldamento globale e sull’inquinamento: un cane che si morde la coda, per cui se non apriamo gli occhi e rinunciamo alla carne, allo sfruttamento animale che non ci serve e continua a inquinare il nostro mondo, continueremo a pagare un prezzo salatissimo e sempre più alto. Quando ci renderemo conto che ciò che mettiamo a tavola, eccellenze o meno che possano essere considerate nel nostro Paese, potrebbe spazzare via tutto ciò che conosciamo?

Ci uniamo quindi al grido di Ultima Generazione, chiedendo a gran voce che le istituzioni agiscano nell’ottica di una transizione davvero futuribile e sostenibile, adottando politiche che favoriscano sistemi alimentari plant-based e iniziative che dicano basta ai combustibili fossili. Altrimenti, le immagini delle attiviste ricoperte di fango, rischiano di diventare presto non simboli o ipotesi catastrofiche ma pura, cruda realtà.


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