Il mondo della moda sta cambiando: dal punto di vista etico, il settore è sempre più orientato all’animal free , con un numero crescente di marchi e aziende a livello globale che scelgono di eliminare cuoio e pellicce dalle proprie collezioni.
Da un lato assistiamo a questo cambiamento etico (anche se la strada è ancora molto lunga), ma cosa possiamo dire riguardo alla sostenibilità nella moda? Abbigliamento e accessori low cost, spesso di scarsa qualità, pensati per essere alla moda per una stagione e poi sostituiti: questo è il modello di funzionamento del cosiddetto fast fashion, la moda “usa e getta” che ormai da qualche anno regna nel settore dell’abbigliamento. Eppure, mai come in questo momento storico, è fondamentale fare i conti con il concetto di sostenibilità, analizzando quanto e come le attività umane impattino sul pianeta.
Le nuove frontiere della sostenibilità
In questo contesto si collocano i nuovi trend che interessano il mondo del fashion ormai, in cui le parole d’ordine sono “riciclo creativo”, “sharing” e “renting”.
Sempre più consumatori scelgono dunque di abbandonare del tutto o in parte la strada del fast fashion per dedicarsi non solo all’acquisto di beni di seconda mano, ma anche al noleggio di capi di abbigliamento (e accessori); quest’ultimo è un mercato destinato a raggiungere – secondo gli esperti – un valore di 1,9 miliardi di dollari entro il 2023. A guidare questo mercato sono gli Stati Uniti, che ne detengono il 40% del valore complessivo, e che hanno contribuito a una crescita media annua di questo mercato del 10,6% dal 2017 al 2023.
Anche l’Italia si affaccia in questi anni al mondo del “fashion renting”, grazie a realtà come Dress You Can o Drexcode che consentono un approccio alla moda sostenibile per far fronte al consumo ingiustificato di vestiti, destinati a rimanere chiusi nell’armadio per anni.
Il target di consumatori (ma soprattutto consumatrici) al quale questa tipologia di servizio si rivolge è ben definito: si parla di donne che rientrano nella fascia di età tra i 25/29 anni e i 45/49 anni, che economicamente non avrebbero difficoltà ad acquistare capi di abbigliamento nuovi ma che decidono di fare una scelta consapevole che contempli il noleggio di capi usati, che in media ha un costo del 10/15% del prezzo retail del capo.
Questo nuovo modo di concepire la moda ha un impatto positivo sull’ambiente, dal momento che consente di ridurre i volumi di produzione dell’industria tessile, seconda solo a quella del petrolio per quantità di inquinamento prodotto: si calcola che ogni anno le discariche di tutto il mondo inceneriscano 12 milioni di indumenti, le cui emissioni di CO2 contribuiscono in maniera massiva all’inquinamento globale. Dal 1960 al 2015 l’aumento dei rifiuti tessili è aumentato dell’811% e si stima che ogni persona, ogni anno, consumi 34 vestiti buttandone 14 chili: questo genera, solo in Europa, 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Tutto questo va di pari passo con l’aumento della produzione tessile, che conta oggi 62 milioni di tonnellate di vestiti prodotti ogni anno. Consapevolezza, meno sprechi e acquisti consapevoli sono dunque le parole d’ordine per il futuro della moda internazionale.
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