La sopravvivenza tramite internet
Da: Maurizio Balducci
Domenica 6 Aprile 2003
Egr. F.Schillaci, tramite un amico ho letto la sua replica alla mia
e-mail di gennaio; mi dispiace di tutto questo tempo trascorso, perché
altrimenti le avrei risposto subito. Però lei poteva avere, non dico il
coraggio, ma la creanza di rispondermi direttamente, o non voleva
abbassarsi all\’autore del mediocre e sgrammaticato scritto pervenutole? Sa
non tutti hanno la sua penna e non tutti si possono permettersi di vivere
dei proventi come il suo sito. C\’è gente che lavora, si suda lo stipendio
alzandosi presto al mattino, per far ritorno a casa quando è quasi buio.
In ogni modo ho speso un pò del mio tempo e denaro (cosi posso aiutarla a
sopravvivere) visitando il suo sito e mi creda, il suo Gondrano l\’ho
trovato molto sospeso da terra, ai confini della realtà tra la fiaba e la
leggenda. Io non so chi sono i suoi visitatori e se ve ne sono di assidui,
ma sicuramente, chi le fa visita una seconda volta, è senz\’altro alla
ricerca della propria entità, di un mondo migliore che sicuramente per
come lo vorrebbe Gondrano, non lo troverà mai quindi, consiglierei
volentieri a questi, di no nei siti, ma in altre località sperdute per il
mondo il proprio io. Lei dice nella premessa: chi è Gondrano, ma poi da
semplice cavallo romanzesco, lo paragona all\’apologia dell\’ingenuità, del
candore assoluto ecc. ecc. Io credo che l´ingenui, i poverini, siano
coloro che la seguono, quelli a cui lei fa credere che si può vivere in un
mondo migliore, il suo. Sia chiaro, per certi versi sarebbe il non
prusulta ma alle soglie del terzo millennio non è altro che una grande
fiaba. Parla della casa di Gondrano presumibilmente di 5 ettari,
organizzato come un ecosistema e qui continua la sua favola. Descrive poi
anche la realtà, la sua casa fiabesca comprata alle porte di Roma e
adattata nei minimi particolari a quella di Gondrano. Non voglio
inoltrarmi oltre a questo suo ben dettagliato habitat, ma se ciò
s\’avverasse, con circa sei miliardi di persone oggi e dodici nel 2030,
tutto questo spazio vivibile dove lo prenderebbe? E ancora, se tutti
seguissero questo modo di vivere, (praticamente tutti agricoltori biologici
autosufficienti) l\’ndustria, la tecnica e tutti i servizi sociali in cui
viviamo non ci sarebbero più. E quando lei o io, abbiamo bisogno di cure o
di qualche attrezzo se pur stupido per il ns. fabbisogno, chi ce lo
costruisce? Se ci dovessimo ammalare, chi ci curerebbe? Potrei seguitare
all\’infinito, ma con la sua intelligenza, credo che non ce ne sia bisogno.
Termino dicendole, che lei è paragonabile a quei tanti
imbonitori o indovini televisivi, (almeno quelli non si nascondono nel
virtuale) che alla modica spesa (che poi tanto modica non è) di 50 cent.
di euro al minuto, dispensano consigli, elargiscono ambi e terni e
riparano cuori infranti a giovani menti o a persone bisognose giunte
all\’ultimo stadio dei propri sentimenti. Persone che avendole provate
tutte, pur rinunciano alla realtà, salgono ignari sull\’ultimo carro della
speranza, tipo il suo, che altro non è, che un mezzo subdolo e cinico
ricco di illusioni, ma che le da la possibilità di campare ad ogni clic
dell\’ignaro navigante. Scusi nuovamente la scrittura, la mia istruzione
anche se modesta e al di sotto della sua, mi ha dato modo di guadagnarmi
la vita senza dipendere dai proventi di nessuno, al contrario di lei, che
s\’è lamentato nella pagina: e dovremmo vivere con certi visitatori?
Distintamente
Balducci Maurizio
P.S. comunque la vedrei bene alle falde del tetto del mondo, ben rasato,
con una veste gialla e un girello di preghiere nelle mani.
Un bel giorno Paperino…
Lunedì 14 Aprile 2003
Non ricordo se Rinascita Animalista mi ha fatto pervenire il suo indirizzo
di posta elettronica, ma non è questo il punto. Non le ho comunicato
direttamente la mia risposta per due motivi. Il primo è che essa
è apparsa sia su Rinascita Animalista e Gondrano (due siti che le
sono noti), sia su Promiseland, sito di grande notorietà dunque
essa era di pubblico dominio e pertanto era verosimile ritenere che sarebbe
comunque giunta fino a lei, come di fatto è stato.
Il secondo motivo è che il mio scritto non era una risposta a lei,
il che era chiaramente dichiarato in esso. Esso partiva da una (e una sola)
frase della sua lettera per fare delle considerazioni di validità
generale che prescindevano dalla sua persona. Io infatti non rispondo mai
ai cacciatori non riconoscendo a essi la qualifica di interlocutori. E mi
permetto di affermare che in questo mio atteggiamento non c\’è nulla
di soggettivo, ovvero che a determinarlo non abbia alcun ruolo il fatto che la
mattina del 3 dicembre 2001 uno di voi, sparando contro il mio giardino, a
momenti mi accoppava. Il fatto è che chi ha la pretesa di andarsene
a spasso
facendo liberamente uso di armi da fuoco prescindendo con ciò dai
più elementari criteri di tutela della propria e dell\’altrui
sicurezza che in ogni altro campo che non sia la caccia sono universalmente
riconosciuti, accettati e costantemente anzi ritenuti insufficienti e bisognosi
di miglioramento, chi ha, dicevo, una tale pretesa non può, anche
a prescindere da ulteriori considerazioni di carattere etico, ambientalista
o di qualsiasi altro genere, non può già per questa sua sola
assurda, incredibile, inaudita pretesa, essere considerato persona con
cui si possa intavolare una positiva discussione. Una tale persona
è da ritenersi a priori esterna al consorzio civile, e pura aberrazione
legislativa è da ritenersi il fatto che tali assurdità siano
riconosciute lecite a termini di legge, nonostante gli inevitabili effetti
che ben vediamo ogni anno.
Premesso ciò, veniamo alla sostanza di questa sua seconda lettera
che, toccando tutt\’altri argomenti, merita risposta.
Lei in sostanza mi accusa di essere un venditore di favole.
Cominciamo dal primo di questi due termini e sgomberiamo subito il campo
da un equivoco: siti come Gondrano, Promiseland o Rinascita Animalista non
rendono neanche una lira ai loro realizzatori; se mai costano. Costano per
l\’esattezza un canone fisso che viene pagato annualmente al provider (cioé
all\’azienda che fornisce la connessione a Internet), canone che è
modesto quando il numero di visitatori è di poche decine al giorno come
nel caso di Gondrano ma diviene molto elevato quando il numero di visite è
dell\’ordine delle migliaia o decine di migliaia al giorno come nel caso di
Promiseland.
Riassumendo, lei nel visitare Gondrano ha certamente speso dei soldi ma questi
soldi non sono andati nelle mie tasche bensí in quelle della Telecom,
e di nessun altro.
Stabilito con ciò che io non vendo nulla, veniamo alla seconda delle sue
accuse, quella di essere uno che racconta favole inverosimili.
Ciò che può osservare nell\’immagine che segue non è una
favola bensí una pagnotta.
Per l\’esattezza una pagnotta fatta da me, con grano coltivato e macinato da
me. Cotta purtroppo nel forno di una qualsiasi cucina a gas, perché
non abbiamo ancora un forno a legna, ma mi dia tempo e vedrà che ci
sarà anch\’esso.
Anche quelle che può osservare nell\’immagine seguente non sono
favole. Si tratta in questo caso di mele, raccolte da me la scorsa estate
da un albero che negli anni precedenti non era stato per niente produttivo.
E mi creda
ce n\’è voluto di impegno e costanza per riuscire a renderlo tale.
Le mele di cui sopra inoltre non sono contenute in una favola bensí
in un cesto di canne e verghe di olmo, fatto da me sulla base delle lezioni
ricevute da uno zampognaro e maestro d\’intreccio siciliano conosciuto per
un fortunato caso. Su Gondrano potrà trovare fra l\’altro il manuale
da me redatto sulla base degli appunti presi durante le lezioni.
Nella terza immagine infine (non) potrà osservare il mio girello per
le preghiere. E non potrà osservarlo non perché io mi sia
dimenticato di inserire la fotografia bensì perché questo
\”girello\” non esiste.
Potrei mostrarle le mie zappe, il mio filatoio (ancora da restaurare), la
mia macina per il grano, la mia arnia ma non posso mostrarle il mio girello
per le preghiere. Non esiste.
Lei definisce \”fiabesca\” la mia casa. Ma io non ho mai detto che sia tale.
E\’ in realtà una casa di campagna come molte altre, acquistata con
i modesti mezzi di uno stipendiato, quale anch\’io sono e continuerò
a essere fino a quando il progetto che vado realizzando passo dopo passo non
sarà giunto a un livello di prima compiutezza.
Quanto poi all\’estendibilità di tutto ciò all\’intera
umanità di 6 miliardi di persone, direi che sono ben altre le favole
che ci vengono raccontate, e sono che un sistema di sviluppo quale
è quello occidentale, basato sullo sfruttamento intensivo e
dissipativo di tutto ciò che è sfruttabile possa andare
avanti all\’infinito, che l\’umanità possa crescere ed espandersi a
dismisura senza mai scontrarsi con i limiti fisici delle risorse del
nostro pianeta.
Eppure ormai quasi 30 anni fa non mistici orientali, non apocalittici fanatici
dell\’ambientalismo ma solidi studiosi del MIT avevano mostrato
l\’insostenibilità di un tale andazzo. Ma che fine ha fatto oggi quel
primo rapporto del MIT al Club di Roma uscito in Italia col titolo I Limiti
dello Sviluppo, e che fine hanno fatto i rapporti seguenti? Chi ne parla oggi più?
Il modo giusto di impostare il problema in realtà non è:
come dar da mangiare a
6, poi a 12, poi a 24 eccetera miliardi di persone, ma far sì che
la specie umana rientri entro l\’alveo di uno sviluppo quantitativamente e
qualitativamente sostenibile in un contesto di risorse finite (cioé
non illimitate) quale è quello della biosfera terrestre.
Il modo di vivere prospettato su Gondrano rientra in questo modo, razionale,
realistico, progettuale, sensato di porre il problema.
Le favole insomma non sono quelle che legge su Gondrano bensí quelle
che
sente ogni giorno quando accende il televisore di casa sua. Coloro che le
hanno promesso a suo tempo un milione di posti di lavoro e le promettono
oggi il paese dei balocchi sono i veri, e pericolosi, imbonitori.
Concludo con l\’ultima delle sue obiezioni: ovvero, che fine farebbero la
scienza, la tecnica, la cultura?
A questo punto le racconto davvero una favola.
Un bel giorno Paperino, coinvolto come al solito nell\’ennesima caccia
all\’oro di zio Paperone si ritrova su un pianeta sconosciuto i cui abitanti
vivono proprio \”alla Gondrano\”: agricoltori ingenui e sempliciotti, raccolti
in piccoli villaggi immersi fra campi e boschi. Sembra insomma una cultura
primitiva, paragonabile al nostro alto medioevo. Sembra.
Ma a Qui Quo e Qua non la si fa, e i tre machiavellici paperini, ficcando il
becco dappertutto, scoprono alla fine che dietro la primitiva apparenza bucolica
si nasconde un insieme di conoscenze scientifiche avanzatissime, coltivate in
laboratori di altissimo livello tecnico. Scoperti a loro volta, i paperini
interrogano uno dei governanti del popolo extraterrestre, il quale alle
loro domande risponde: \”Noi studiamo ma non applichiamo. Stiamo bene
così\”.
Fine della favola. Solo una favola? Direi di no, visto che, tanto per fare
un esempio, io sono un tecnico
informatico, laureato in ingegneria elettronica e che in un contesto umano
diverso da questo non avrei alcuna difficoltà a continuare a dedicare
una parte del mio tempo anche a questo genere di cose anche dopo aver realizzato
la Casa di Gondrano nella sua versione definitiva, come del resto fanno
altri che prima di me hanno fatto scelte analoghe a quella che io progetto
per me. Gary Snyder, ad esempio, uno dei massimi esponenti del bioregionalismo
americano, è anche docente universitario part time.
E\’ tutto, credo. E mi permetto di concludere rivolgendole un invito, che
probabilmente non seguirà, ma chissà, non è poi detto:
metta da parte il fucile e prenda in mano una zappa: scoprirà che
nel veder maturare un frutto e dire: \”l\’ho coltivato io\” c\’è molta
più soddisfazione e motivo di orgoglio che nel veder morire un
essere vivente e dire: \”l\’ho ammazzato io\”.
Altri lo hanno già fatto prima di lei, alcuni anche senza neppure
rinnegare il loro passato di cacciatori, e ne trovano oggi pieno
appagamento. Perché? Per una ragione molto semplice direi: perché
una scelta di vita è sempre migliore, più fertile, più
conveniente di una scelta di morte.
Filippo Schillaci
Fonte: La casa di Gondrano
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