Fecondazione Artificiale

Promiseland -

La votazione federale del 12 marzo scorso sulla tecnologia riproduttiva avrebbe dovuto riaprire il discorso sui rischi cui va incontro la madre artificialmente fecondata e quelli riguardanti il nascituro. Ma le due fazioni hanno completamente ignorato questo risvolto: da un lato un’iniziativa che si basava unica- mente su criteri etici reclamando il “rispetto della dignità […]

La votazione federale del 12 marzo scorso sulla tecnologia riproduttiva avrebbe dovuto riaprire il discorso sui rischi cui va incontro la madre artificialmente fecondata e quelli riguardanti il nascituro.
Ma le due fazioni hanno completamente ignorato questo risvolto: da un lato un’iniziativa che si basava unica- mente su criteri etici reclamando il “rispetto della dignità umana”, dall’altro gli oppositori che sventolavano il diritto ad avere figli per tutte le coppie e l’esistenza di leggi che delimiterebbero i confini fa “uso sensato ad abuso. Entrambe le parti avevano la loro porzione di buone ragioni, benché nessuna delle due abbia sfiorato il punto cruciale della questione: i rischi e i danni (gia constatati) della fecondazione in vitro.
Rischi e danni tutt’altro che da sottovalutare.

Dal 1969, quando i ricercatori inglesi Patrick Steptoe e Robert Edwards fecero conoscere al mondo intero il significato della sigla I.V.F. (“In Vitro Fertilisation”), molte coppie sterili di ogni età nonché donne in menopausa hanno scatenato la loro fantasia, nella speranza di poter mettere al mondo quel bebè tanto sognato. E quando, nel 1978, i medesimi ricercatori fecero nascere la prima bambina in provetta, Louise Brown, c’e stato chi, con 1’abituale leggerezza, ha osannato ai “miracoli della scienza”.
Miracoli che, come sovente accade, sono tutti da verificare. Dalla provetta si e poi passato ai frigoriferi, dove vengono surgelati e conservati gli embrioni in attesa di chi li adotta, si e passato alle banche di ovuli e di sperma, fino ai cosiddetti uteri in affitto, appartenenti a donne che, dietro pagamento, si fanno artificialmente fecondare per mettere al mondo figli che cedono a terzi.
Un vero e proprio mercato, in tanti casi costellato da storie patetiche o da melodramma. Una donna che vuole affrontare una fecondazione artificiale va incontro ad un duro trattamento. Dapprima una lunga serie di esami fisiologici, un check-up completo, questionari da riempire; infine, se tutto va bene, viene dato l’avvio ad un trattamento ormonale.
Si cerca, con la somministrazione di ormoni (per iniezione o per assorbimento cutaneo attraverso cerotti), di creare le condizioni che rendano possibile 1’ovulazione. Tre-quattro mesi di ormoni: dapprima estrogeni fino a 6 mg. al giorno, poi due settimane di progesterone (da 50 a 200 mg.), e poi di nuovo estrogeni, e cosi via. Talvolta i tre-quattro mesi diventano anni, fino a che 1’ovulazione e resa possibile. Allora, con l’aiuto di una cannula, il medico effettua 1’inseminazione artificiale, inserendo lo sperma conservato oppure un uovo, o un embrione, a seconda dei casi.
Dopo l’inseminazione il trattamento ormonale continua, almeno fino a che la placenta si sia formata. Questi bambini vengono al mondo con cesareo e in proporzione di uno su cinque tentativi. Ma nascono sani? E una domanda alla quale finora nessuno ha risposto. Certi sono invece i guai cui va incontro la donna fecondata artificialmente.

Qualche anno fa, la rivista medica “The Lancet” riferiva uno studio effettuato all’Università inglese di Leicester: le gravidanze derivanti dalla provetta sono molto più problematiche di quelle naturali, si verificano parti prematuri e il rischio di morte del feto e doppio di quello delle normali gravidanze. Le aspiranti madri corrono, fra gli altri rischi, quello di contrarre tumori, a causa della terapia ormonale, notoriamente cancerogena. Fra i tanti incidenti legati alla fecondazione artificiale, ne citiamo uno, significativo, quello di Christine C., una donna francese di cinquant’anni che, nel 1989, volle avere un figlio dal suo nuovo compagno.

Poiché era in menopausa, le fu impiantato nell’utero l’ovulo di una donna più giovane, e fu poi inseminata con lo sperma del suo compagno. Sette mesi dopo Christine ebbe una crisi d’ipertensione, convulsioni e coma in seguito alla fecondazione artificiale. In ospedale le praticarono un cesareo riuscendo a salvare il bambino; Christine sopravvisse soltanto dopo due interventi chirurgici, ma il suo cervello era danneggiato e si ritrovo interamente paralizzata tranne che nel braccio destro.

Ci si domanda perché questa ed altre tragedie analoghe non vengono portate alla conoscenza delle donne che richiedono una fecondazione artificiale, e perché non se ne parla prima di una votazione in materia.

Blanchelte

da “ORRIZONTI” n.84

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