Quando valutiamo gli aspetti negativi del consumo di formaggio, siamo portati quasi automaticamente a pensare agli effetti sul girovita e all’aumento dei livelli di colesterolo “cattivo”, ma in realtà c’è molto di più. I vegani conoscono e riconoscono la questione etica, perché l’industria lattiero-casearia sfrutta e uccide gli animali, esattamente come qualsiasi altra in cui si producono alimenti di origine animale.
Perché pochi conoscono la trappola del formaggio
Quasi nessuno, però, parla della dipendenza legata al consumo di formaggio. Facendo riferimento al libro “La trappola del formaggio” del dottor Neal Barnard – medico, professore universitario e ricercatore statunitense, i cui lavori sono riconosciuti a livello internazionale – cercheremo di spiegarti come il formaggio ti tiene in pugno, e perché è tra gli alimenti più difficili da eliminare dalla dieta.
La combinazione grasso/salato, tipica della maggior parte dei formaggi, sembra piacere particolarmente al nostro cervello: è difficile resistere a patatine, arachidi salate o stuzzichini, e questo è legato in gran parte al modo in cui sono organizzati i nostri circuiti neurologici. Il fatto è che il sale è fondamentale per l’organismo (le linee guida parlano di circa 1 grammo e mezzo al giorno), ma in epoca preistorica era difficilissimo da trovare. Di fatto, sopravviveva solo chi riusciva a procurarselo. Per questo, il meraviglioso meccanismo dell’evoluzione ha fatto sì che il nostro cervello diventasse in grado di rilevarne la presenza nel cibo, attivando in sua presenza i neuroni nel “centro della ricompensa” – che rilasciano la dopamina, il neurotrasmettitore del benessere. Così, i cibi che lo contengono diventano estremamente desiderabili.
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Formaggio e caseomorfine: una dipendenza nascosta
Questo, però, spiega solo in parte quell’incontenibile voglia di formaggio filante sulla pizza, o l’acquolina che suscita il pensiero di quel formaggio che ti piace tanto ma che, a dirla tutta, ha un aspetto e soprattutto un odore tutt’altro che gradevoli. Qui entrano in gioco le caseomorfine, composti derivati dalla caseina (la proteina che viene concentrata durante la produzione del formaggio), simili alle morfine.
Come spiega il dottor Barnard, infatti, “la caseina è una proteina insolita. Mentre viene digerita, rilascia catene di amminoacidi (le caseomorfine, ndr), che si possono attaccare agli stessi ricettori cerebrali a cui si attaccano l’eroina e altri narcotici”. In altre parole, le proteine del latte contengono molecole di oppiacei.
Il motivo è presto detto, perché la natura non lascia niente al caso: se un neonato (di qualsiasi specie) rifiutasse il latte materno, morirebbe. Insieme a tutti i nutrienti necessari alla crescita, dunque, il latte rilascia anche degli oppiacei, che premiano il piccolo con sensazioni di piacere e gratificazione. Il risultato? Il cucciolo sarà ben felice di ricevere “altre dosi” e, anzi, sarà proprio lui a cercare il latte della mamma, garantendosi così la sopravvivenza.
Caseomorfine e cervello: come riconoscere la “dipendenza”?
Molti studiosi si chiedono come agiscano le caseomorfine: prima di tutto, devono raggiungere il cervello, ma come? Nonostante le loro dimensioni possano suggerire il contrario, studi condotti in vitro dimostrano che ci riescono attraverso il flusso sanguigno. A questo punto, scatta quella che gli esperti considerano una vera e propria dipendenza.
Ma come capire se il consumo di un certo alimento ci crea piacere, o ne siamo invece dipendenti? Basta farsi tre semplici domande:
- Lo mangio ogni giorno, magari alla stessa ora?
- Lo bramo/mi manca se non c’è?
- Sto pagando un prezzo per questo, soprattutto in termini di salute?
Passando a una dieta vegetale, il formaggio probabilmente sarà l’alimento a cui rinuncerai per ultimo, e quasi sicuramente con più sforzo rispetto agli altri prodotti di origine animale. La buona notizia è che oggi sul mercato esistono tantissime alternative vegane al formaggio, etiche e decisamente più salutari di quello animale: scommettiamo che, dopo averle provate, non tornerai più indietro?
Fonte: La trappola del formaggio, Neal Barnard, Edizioni Sonda
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