Fridays for future: mobilitazioni internazionali tra entusiasmo e contraddizioni

Oggi 15 Marzo 2019, mobilitazioni a livello internazionale al'interno della campagna "Fridays for future" lanciata dall'attivista svedese Greta Thumberg. Lo sciopero globale del clima di oggi è una delle più grandi proteste ambientali che il mondo abbia mai visto. Quali soluzioni concrete al cambiamento climatico? Il veganismo è stato il passo concreto che la Thumberg ha intrapreso con la sua famiglia per fornire un'apporto concreto alla causa. Aveva dichiarato apertamente in una conferenza TED: "Nessuno di noi agisce davvero come se fossimo nel pieno di una crisi. Persino la maggior parte dei climatologi e dei politici impegnati sul fronte ambientale, svolazzano in aereo e continuano a mangiare carne e latticini".

Oggi 15 Marzo, 2019, mobilitazioni in tutto il mondo dalla scuola all’università per chiedere impegni concreti per preservare il pianeta. Le manifestazioni fanno parte dell’iniziativa “Fridays for Future“, lanciata dalla sedicenne svedese Greta Thunberg. Al movimento di protesta studentesco aderiscono anche gli adulti, tra cui tremila scienziati. Tutti uniti, dalla California alla Nuova Zelanda, con un obiettivo comune: far sentire la propria voce sul tema della «crisi climatica», il surriscaldamento dell’atmosfera che sta stravolgendo gli ecosistemi. In Italia sono stati organizzati 140 eventi in oltre 100 località diverse. Lo sciopero globale del clima di oggi è una delle più grandi proteste ambientali che il mondo abbia mai visto.

Chi è Greta Thumberg e perché è diventata il simbolo dell’attivismo sul climate change?

È una studentessa svedese di 15 anni che ha catturato l’attenzione dei politici di tutto il mondo durante il suo discorso alla 24a Conferenza sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (COP24) in Polonia a Dicembre 2018. Ha con forza chiesto ai politici di tutto il mondo di agire e di ribaltare la loro incapacità di impegnarsi a proteggere le generazioni future.

È lei il simbolo del Frydays for future: tutto è partito quando ha deciso di iniziare una protesta di tre settimane di fronte al Parlamento svedese contro «l’assenza di azioni sulla crisi climatica». Il suo sciopero è diventato un appuntamento fisso: tutti i venerdì, si è recata di fronte alla Camera di Stoccolma con un cartello che immortala il suo slogan: Skolstrejk för klimatet. Thunberg è tra i nomi candidati al Nobel per la Pace nel 2019.

“Dobbiamo ritenere le generazioni più anziane responsabili del disastro che hanno creato e dire loro che non potete continuare a rischiare il nostro futuro in questo modo.”

Per assicurarsi di essere un esempio, l’attivista adolescente ha intrapreso azioni significative per ridurre la propria impronta di carbonio; non vola più, si sposta solo in treno, non acquista nuovi oggetti ed è vegana: la sua scelta alimentare è diventata la scelta anche della sua famiglia ed è parte integrante di quel concetto di azione volta al cambiamento.

Nel clima entusiastico di questi giorni purtroppo, la maggior parte dei media ha dimenticato questo particolare non da poco: la prima azione che la Thumberg ha intrapreso è un cambiamento della sua alimentazione. Il veganismo è stato il passo concreto che ha intrapreso con la sua famiglia per fornire un’apporto concreto alla causa.

Aveva dichiarato apertamente in una conferenza TED:

“Nessuno di noi agisce davvero come se fossimo nel pieno di una crisi. Persino la maggior parte dei climatologi e dei politici impegnati sul fronte ambientale, svolazzano in aereo e continuano a mangiare carne e latticini”.

Le misure intraprese sembrano non tener conto del clima di urgenza e sopratutto di quanto il singolo individuo risulti fondamentale per invertire la rotta. Le misure proposte dai governi sono troppo tiepide e non considerano mai il problema nella sua globalità. Numerosi sono gli studi che dimostrano quanto una svolta plant-based del sistema alimentare, risulti essere determinante per risolvere anche le problematiche legate al climate change.

“Passare a una dieta a base vegetale, dimezzare gli sprechi alimentari e migliorare le pratiche agricole esistenti può nutrire una popolazione mondiale stimata a 10 miliardi di persone entro il 2050”: è quanto afferma un recente studio pubblicato sulla rivista Nature. Lo studio, “Options for keeping the food system within environmental limits” condotto dai ricercatori dello Stockholm Resilience Center, è il primo nel suo genere a quantificare in che modo la produzione alimentare e le abitudini alimentari globali siano in grado di influenzare il sostanziale cambiamento in grado di permettere all’umanità di sostenersi.

Il principale autore dello studio, Marco Springmann dell’ Oxford Martin Programme on the Future of Food e del Nuffield Department of Population Health dell’università di Oxford dichiara:

“Senza un’azione coordinata, abbiamo scoperto che gli impatti ambientali del sistema alimentare potrebbero aumentare del 50-90% entro il 2050 a causa della crescita della popolazione e dell’aumento di diete ricche di grassi, zuccheri e carne. Se non si invertisse il trend tutti i vincoli relativi alla produzione di cibo sarebbero superati, alcuni di essi più che raddoppiati”.

Leggi l’approfondimento qui: Alimentazione: responsabilità tra produzione e consumo 

Un altro report  pubblicato dall’Università di Oxford dal titolo “Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers” è stato reso noto nelle pagine del Journal of Science.

Joseph Poore ricercatore a capo dello studio aveva affermato:

“Una dieta vegana è probabilmente l’unico modo per ridurre l’impatto sul pianeta Terra, non solo al livello di emissioni di gas serra ma anche per ciò che concerne l’acidificazione globale, l’eutrofizzazione, l’uso del suolo e l’uso dell’acqua. È molto più efficace che ridurre il numero di volte in cui si vola o acquistare un’auto elettrica.”

Il manzo produce fino a 105 kg di gas serra per 100 g di carne, mentre il tofu ne produce meno di 3,5 kg. Guardian Graphic | Source: Poore and Nemecek, Science
Di quale attivismo ambientale vogliamo veramente parlare se prima non parliamo di alimentazione? Le misure divulgate dai media, sono troppo tiepide e hanno una visione troppo frazionata e parcellizzata della realtà. Dalla plastica, allo spreco alimentare, alle abitudini di consumo, fino alla decarbonizzazione: nessuna misura proposta è sufficientemente incisiva.
Partiamo da noi.
Riportiamo la questione all’azione individuale: dalla consapevolezza che ha rispetto a ciò che acquista fino all’educazione dei figli sul tema; dalla sensibilità sul tipo di prodotti che si mettono nel carrello. Il comportamento al consumo ci vede come individui, in primissima linea in una delle battaglie più difficili da combattere in questo momento storico. Non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità. La soluzione? Lo studio, l’approfondimento e l’educazione rispetto a ciò che davvero significa impatto ambientale. Le mezze misure spesso proposte dai media ufficiali basate su minuscole e spesso irrilevanti (nell’ottica globale) azioni singole, puliscono la coscienza ma non rappresentano una soluzione definitiva ed efficace. Capiamo invece cosa consumiamo e come; arriviamo alla radice del problema. Smettiamo come società di produrre derivati animali e di usare plastica monouso per packaging e prodotti durevoli; recuperiamo come cittadini, l’abitudine di pianificare gli acquisti e non eccedere; utilizziamo l’acquisto come forma di espressione delle nostre volontà decidendo quali prodotti mettere nel carrello e quali invece no. Selezioniamo le aziende considerando anche il loro impatto e la loro sostenibilità; smettiamo di delegare e avere un atteggiamento passivo.

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