Oggi, 22 marzo, si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, istituita dalle Nazioni Unite ormai 30 anni fa, durante la prima conferenza dei capi di Stato sull’ambiente, nel 1992 a Rio. Una celebrazione che quest’anno si concentrerà sull’importanza di preservare le acque sotterranee, ma che non può prescindere dall’evidenziare l’impronta idrica di ciò che acquistiamo e consumiamo quotidianamente.
Sebbene la maggior parte degli sforzi per risparmiare acqua si concentri sull’uso domestico, si spreca più acqua per produrre ciò che acquistiamo, in particolare il cibo che mangiamo. Per produrre qualsiasi alimento – dai vegetali ai prodotti animali – serve un certo quantitativo di acqua, sia che essa provenga da pioggia, irrigazione o sfruttamento delle acque pluviali o delle falde acquifere. Un utilizzo, quello dell’acqua in ambito alimentare, spesso poco noto e discusso ma che è importante sottolineare in un periodo storico in cui di acqua ce n’è sempre meno.
Spreco di acqua e alimenti di origine animale: la connessione
Il professore Arjen Hoekstra è stato tra i primi, nel 2002, a stabilire l‘impronta idrica come metrica per valutare l’impatto ambientale di diverse tipologie di alimenti, in particolar modo sulle risorse idriche del Pianeta, sempre meno e sempre più in sofferenza. Nel 2008, dopo aver lavorato all’UNESCO-IHE Institute for Water Education, Hoekstra ha creato il Water Footprint Network per sensibilizzare, ripensare e trasformare il modo in cui attingiamo alle risorse idriche a disposizione, a partire proprio dall’alimentazione.
Da allora, sono stati numerosi gli studi autorevoli dedicati all’impronta idrica del cibo che consumiamo. Tutti giungono alla stessa conclusione: gli alimenti di origine animale sprecano una quantità insostenibile di acqua. “Le diete occidentali, che dipendono in gran parte dalla carne, esercitano forti pressioni sull’ambiente. Gli onnivori consumano circa 5.000 litri di acqua al giorno rispetto ai 2.000 litri massimo utilizzati da chi segue diete plant-based, specie nei paesi in via di sviluppo. Tutta quell’acqua deve provenire da qualche parte”. Un campanello d’allarme lanciato dal dottor David Molden, dell’International Water Management Institute (IWMI) ormai quasi 20 anni fa, nel 2004.
L’impronta idrica globale della produzione animale ammonta a 2.422 miliardi di metri cubi l’anno, il cui 98% viene impiegato per irrigare le piantagioni di mangimi per gli animali. L’acqua necessaria per la produzione di un grammo di proteine per latte, uova e carne di pollo è circa 1,5 volte maggiore di quella dello stesso quantitativo di proteine di legumi. Per la carne bovina, l’impronta idrica per grammo di proteine è 6 volte maggiore di quella dei legumi.
Gli scienziati esperti in gestione delle risorse idriche e ambientali, d’altronde lo hanno già affermato nel 2012 alla Water Week di Stoccolma: se vogliamo sopravvivere ed evitare una crisi climatica, idrica e alimentare catastrofica, entro il 2050 dovremo convertire almeno il 95% della nostra alimentazione in plant-based.
Che cosa possiamo fare?
Puoi cominciare anche tu, scegliendo attivamente di ridurre o evitare totalmente il consumo degli alimenti la cui produzione sta prosciugando il nostro pianeta.
“Una dieta plant-based è probabilmente il modo più efficace per ridurre il proprio impatto sulla Terra. Non solo per i gas serra, ma per l’acidificazione globale, l’eutrofizzazione, l’uso del suolo e l’uso dell’acqua: molto più di quello che puoi fare volando di meno o usando un’auto elettrica”.
Joseph Poore, ricercatore dell’Università di Oxford, autore di uno degli studi più estesi sui danni della produzione di prodotti animali sul Pianeta.
Leggi anche: Che cosa puoi fare per dare valore all’acqua?
Guarda il video dell’intervento di Sauro Martella – fondatore del Network VEGANOK – e Renata Balducci, Presidente Associazione Vegani Italiani Onlus, all’interno del convegno dedicato alla giornata mondiale dell’acqua:

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