La Giornata mondiale dell’alimentazione istituita dalla FAO si celebra ogni anno il 16 Ottobre e sottolinea la necessità di intensificare gli sforzi per guidare un cambiamento volto ad arginare problematiche di fondamentale importanza: a livello mondiale, la fame e la malnutrizione sono in aumento.
La giornata viene documentata con l’hashtag #famezero e lo slogan di quest’anno è “Our actions are our future”: le nostre azioni sono il nostro futuro.
Attualmente secondo dati FAO, 821 milioni di persone – una persona su nove – soffrono di malnutrizione legata a mancanza di risorse. Degli 821 milioni di persone il 60% è donna, mentre 151 milioni di bambini con meno di cinque anni soffrono di rachitismo. Contemporaneamente, oltre un quarto della popolazione mondiale (circa 1,9 miliardi di persone) è in sovrappeso e ogni anno in 3,4 milioni perdono la vita per problemi legati all’obesità e ad un eccesso di consumo in termini di risorse alimentari: un terzo del cibo prodotto nel mondo va perduto o sprecato e il 6% delle emissioni di gas serra è provocato dagli sprechi alimentari che confluiscono nelle discariche.
I conflitti, le guerre e gli eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico contribuiscono ad aggravare il quadro all’interno di una situazione già molto complessa.
Sul sito web ufficiale della FAO si legge che “La FAO e i suoi partner stanno portando avanti azioni concrete che i governi, gli agricoltori, i rappresentanti del settore pubblico e i cittadini in generale possono assumere per invertire la rotta”.
C’è moltissimo da fare ma per la Food and Agriculture Organisation un mondo a fame zero entro il 2030 è possibile a patto di unire le forze tra Paesi, settori e professioni per far sì che tutti, in ogni luogo della Terra, abbiano accesso ad una quantità di risorse alimentari adeguata.
Quali soluzioni concrete?
L’unica alternativa è una decisa svolta plant-based al settore alimentare, in termini di consumo e di produzione: l’unica soluzione è la strada verso un’alimentazione vegetale globalmente condivisa.
Oggi infatti, il 50% dei cereali e il 90% della soia prodotti a livello globale servono a nutrire gli animali degli allevamenti intensivi. Per produrre un kg di carne di manzo sono necessari 15.500 litri di acqua; con lo stesso quantitativo potrebbero essere prodotti 4,5 kg di riso, quasi 12 kg di grano, 86 kg di pomodori, 52 litri di latte di soia. Un’ettaro di terra, se utilizzato nella filiera produttiva di uova, latte e carne è in grado di sfamare dalle 5 alle 10 persone contro le 20-30 che mangerebbero con la stessa estensione di terreno coltivata con verdura, frutta, cereali o grassi vegetali. (Fonte: Lav)
Passare a una dieta a base vegetale, dimezzare gli sprechi alimentari e migliorare le pratiche agricole esistenti può nutrire una popolazione mondiale stimata a 10 miliardi di persone entro il 2050, afferma un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature. Lo studio, “Options for keeping the food system within environmental limits” condotto dai ricercatori dello Stockholm Resilience Center, è il primo nel suo genere a quantificare in che modo la produzione alimentare e le abitudini alimentari globali siano in grado di influenzare il sostanziale cambiamento in grado di permettere all’umanità di sostenersi.
Il principale autore dello studio, Marco Springmann dell’ Oxford Martin Programme on the Future of Food e del Nuffield Department of Population Health dell’università di Oxford dichiara: “Senza un’azione coordinata, abbiamo scoperto che gli impatti ambientali del sistema alimentare potrebbero aumentare del 50-90% entro il 2050 a causa della crescita della popolazione e dell’aumento di diete ricche di grassi, zuccheri e carne. Se non si invertisse il trend tutti i vincoli relativi alla produzione di cibo sarebbero superati, alcuni di essi più che raddoppiati”.
I tre punti principali della ricerca:
- I cambiamenti climatici non possono essere sufficientemente mitigati senza cambiamenti a livello di alimentazione, verso diete plant- based. Adottare un regime alimentare vegetale o “flexitarian”potrebbe ridurre di oltre la metà le emissioni di gas serra e ridurre da un decimo ad un quarto anche altri impatti ambientali, come quelli derivanti dall’applicazione di fertilizzanti e dall’utilizzo di terreni coltivati e di acqua dolce.
- Oltre ai cambiamenti nell’alimentazione, è necessario migliorare le pratiche di gestione e le tecnologie in agricoltura per limitare lo sfruttamento sui terreni agricoli, l’estrazione di acqua dolce e l’uso di fertilizzanti. Aumentare i raccolti agricoli dalle terre coltivate esistenti, bilanciare l’applicazione e il riciclaggio dei fertilizzanti e migliorare la gestione delle risorse idriche potrebbe, insieme ad altre misure, ridurle di circa la metà.
- Infine, è necessario dimezzare la perdita e lo spreco di cibo per mantenere il sistema alimentare entro limiti sostenibili. Dimezzare la perdita e gli sprechi alimentari potrebbe a livello globale, ridurre gli impatti ambientali fino ad un sesto (16%).
Aggiunge Marco Springmann:
“Quando si tratta di diete, una politica globale e approcci aziendali sono essenziali per rendere possibili cambiamenti alimentari verso diete sane, vegetali ed attraenti per un gran numero di persone. Aspetti importanti includono programmi scolastici e sul posto di lavoro, incentivi economici, politiche di etichettatura e allineamento delle linee guida dietetiche nazionali con le attuali prove scientifiche su alimentazione sana impatto ambientale della nostra dieta”.
Sì, perché il rapporto tra produzione e consumo è un passaggio essenziale nella riflessione intorno al tema della sostenibilità alimentare. Il carrello rappresenta per il consumatore uno strumento di estrema rilevanza volto al cambiamento.
Il consumo consapevole è l’unica via per far attecchire una consapevolezza alimentare che sarà in grado di modificare i paradigmi attuali sul rapporto tra domanda e offerta. Ogni prodotto plant-based immesso sul mercato rappresenta un’opportunità di scelta e di cambiamento: in questi termini l’acquisto è uno strumento, una voce e l’espressione di una volontà.
La domanda è in grado di modulare l’offerta? Malgrado non tutti siano d’accordo su questo aspetto, ci sono interessanti case history a riprova del fatto che ciò che il consumatore mette nel carrello influenza inevitabilmente la produzione.
Un’azienda americana, la Elmhurst del settore lattiero caseario fondata negli anni ’20, è diventata uno dei più grandi produttori di latte vaccino della costa orientale degli Stati Uniti rifornendo un’area metropolitana di sette milioni di persone. A fronte del calo vertiginoso del consumo di latte vaccino a cui assistiamo, ha convertito l’intera produzione e ora produce solo ed esclusivamente prodotti a base vegetale. L’azienda ha debuttato con la sua nuova linea denominata “Milked” alla fiera Natural Foods West ad Anaheim, in California a Marzo 2018.
Leggi l’approfondimento sul trend del latte vegetale qui: Latte vegetale: consumo e produzione in aumento
Lo stesso vale per il mercato della carne in relazione al trend di acquisto dei suoi sostituti a base vegetale. Le alternative plant-based alle proteine di origine animale rappresentano un settore in continua crescita con enormi investimenti. La tecnologia alimentare assume un ruolo sempre più importante nella produzione di prodotti sostituti che, sempre più fedelmente, imitano le proteine animali senza l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi.
I numeri del mercato dei prodotti plant-based (fonte Rapporto Osservatorio VEGANOK 2018):
- 7,4 miliardi di euro: mercato globale prodotti Plant based
- 11,90 miliardi di euro: stima mercato globale Plant based al 2022
- 5,2 miliardi di euro: stima mercato globale Plant based sostitutivi della carne al 2020
Il mercato delle alternative plant-based alla carne è in crescita e sta influenzando notevolmente la produzione di aziende già affermate in campo alimentare. Ecco due approfondimenti sul tema:
La top 3 dei burger vegetali che stanno cambiando il mondo
È arrivato anche in Italia il famoso Beyond Meat Burger
Il consumo dunque può incoraggiare un cambiamento verso produzioni più sostenibili e plant based? Da ciò che i numeri del mercato suggeriscono, assolutamente sì.
La parola chiave è RESILIENZA. L’industria può decidere di produrre investendo in settori, come quello plant-based, che rappresentano il futuro dell’alimentazione sostenibile, o subire passivamente un cambiamento inevitabile. All’industria della carne e dei prodotti lattiero caseari la scelta: osteggiare il cambiamento oppure guidarlo convertendo la produzione verso scelte più sostenibili in termini di salute e di etica.
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