Greta Thunberg al Senato italiano: “scendiamo in piazza perché vogliamo che agiate”

Greta Thunberg, simbolo delle proteste “Friday for Future” in corso ogni venerdì in tutta Europa, si è recata in Italia. Ha incontrato figure politiche e la stampa. Tanti gli impegni nella sua agenda: dalla visita in Senato fino all’incontro con papa Bergoglio. Oggi, il sit in in Piazza del Popolo. Ha dichiarato: "Si sostiene che la crisi climatica sia uno degli argomenti più importanti del nostro tempo. No, è l'argomento più importante di tutti ed è la crisi più grande che l'umanità abbiamo mai dovuto affrontare e se non la tratteremo come una crisi non riusciremo a risolverla"

Greta Thunberg, simbolo delle proteste “Friday for Future” in corso ogni venerdì in tutta Europa, ha incontrato figure politiche e la stampa in Italia. Tanti gli impegni nella sua agenda: dalla visita in Senato fino all’incontro con papa Bergoglio. Oggi, il sit in in Piazza del Popolo.

La prima pagina di Libero, ieri si è mostrata così ai lettori. Il “buon giornalismo” colpisce ancora diffamando uno dei pochi simboli costruttivi in questo momento storico. Sì, perché al di la di tutte le teorie complottiste dietro alla figura della Thunberg, c’è un singolo fatto: lei rappresenta un movimento positivo per il pianeta e sta suscitando una riflessione trasversale e intergenerazionale. Il vero rompiballe è il giornalismo vuoto e sensazionalista che non è in grado di riportare in modo professionale una notizia come questa.

In una intervista esclusiva per il Corriere.it ha dichiarato: “Si sostiene che la crisi climatica sia uno degli argomenti più importanti del nostro tempo. No, è l’argomento più importante di tutti ed è la crisi più grande che l’umanità abbiamo mai dovuto affrontare e se non la tratteremo come una crisi non riusciremo a risolverla”

Chi è Greta Thumberg e perché è diventata il simbolo dell’attivismo sul climate change?

È una studentessa svedese di 15 anni che ha catturato l’attenzione dei politici di tutto il mondo durante il suo discorso alla 24a Conferenza sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (COP24) in Polonia a Dicembre 2018. Ha con forza chiesto ai politici di tutto il mondo di agire e di ribaltare la loro incapacità di impegnarsi a proteggere le generazioni future.

È lei il simbolo del Fridays for future: tutto è partito quando ha deciso di iniziare una protesta di tre settimane di fronte al Parlamento svedese contro «l’assenza di azioni sulla crisi climatica». Il suo sciopero è diventato un appuntamento fisso: tutti i venerdì, si è recata di fronte alla Camera di Stoccolma con un cartello che immortala il suo slogan: Skolstrejk för klimatet. Thunberg è tra i nomi candidati al Nobel per la Pace nel 2019 ed è stata annoverata da Forbes tra le persone più influenti del 2019.

“Dobbiamo ritenere le generazioni più anziane responsabili del disastro che hanno creato e dire loro che non potete continuare a rischiare il nostro futuro in questo modo.”

Per assicurarsi di essere un esempio, l’attivista adolescente ha intrapreso azioni significative per ridurre la propria impronta di carbonio; non vola più, si sposta solo in treno, non acquista nuovi oggetti ed è vegana: la sua scelta alimentare è diventata la scelta anche della sua famiglia ed è parte integrante di quel concetto di azione volta al cambiamento.

Nel clima entusiastico di questi giorni purtroppo, la maggior parte dei media ha dimenticato questo particolare non da poco: la prima azione che la Thumberg ha intrapreso è un cambiamento della sua alimentazione. Il veganismo è stato il passo concreto che ha intrapreso con la sua famiglia per fornire un’apporto concreto alla causa.

Aveva dichiarato apertamente in una conferenza TED:

“Nessuno di noi agisce davvero come se fossimo nel pieno di una crisi. Persino la maggior parte dei climatologi e dei politici impegnati sul fronte ambientale, svolazzano in aereo e continuano a mangiare carne e latticini”.

Le misure intraprese sembrano non tener conto del clima di urgenza e sopratutto di quanto il singolo individuo risulti fondamentale per invertire la rotta. Le misure proposte dai governi sono troppo tiepide e non considerano mai il problema nella sua globalità. Numerosi sono gli studi che dimostrano quanto una svolta plant-based del sistema alimentare, risulti essere determinante per risolvere anche le problematiche legate al climate change.

“Passare a una dieta a base vegetale, dimezzare gli sprechi alimentari e migliorare le pratiche agricole esistenti può nutrire una popolazione mondiale stimata a 10 miliardi di persone entro il 2050”: è quanto afferma un recente studio pubblicato sulla rivista Nature. Lo studio, “Options for keeping the food system within environmental limits” condotto dai ricercatori dello Stockholm Resilience Center, è il primo nel suo genere a quantificare in che modo la produzione alimentare e le abitudini alimentari globali siano in grado di influenzare il sostanziale cambiamento in grado di permettere all’umanità di sostenersi.

Il principale autore dello studio, Marco Springmann dell’ Oxford Martin Programme on the Future of Food e del Nuffield Department of Population Health dell’università di Oxford dichiara:

“Senza un’azione coordinata, abbiamo scoperto che gli impatti ambientali del sistema alimentare potrebbero aumentare del 50-90% entro il 2050 a causa della crescita della popolazione e dell’aumento di diete ricche di grassi, zuccheri e carne. Se non si invertisse il trend tutti i vincoli relativi alla produzione di cibo sarebbero superati, alcuni di essi più che raddoppiati”.

Leggi l’approfondimento qui: Alimentazione: responsabilità tra produzione e consumo 

Un altro report  pubblicato dall’Università di Oxford dal titolo “Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers” è stato reso noto nelle pagine del Journal of Science.

Joseph Poore ricercatore a capo dello studio aveva affermato:

“Una dieta vegana è probabilmente l’unico modo per ridurre l’impatto sul pianeta Terra, non solo al livello di emissioni di gas serra ma anche per ciò che concerne l’acidificazione globale, l’eutrofizzazione, l’uso del suolo e l’uso dell’acqua. È molto più efficace che ridurre il numero di volte in cui si vola o acquistare un’auto elettrica.”

Parlare di attivismo ambientale significa parlare di alimentazione. Le misure divulgate dai media, sono troppo tiepide e hanno una visione troppo frazionata e parcellizzata della realtà. Dalla plastica, allo spreco alimentare, alle abitudini di consumo, fino alla decarbonizzazione: nessuna misura proposta è sufficientemente incisiva.
Partiamo da noi.
Riportiamo la questione all’azione individuale: dalla consapevolezza che ha rispetto a ciò che acquista fino all’educazione dei figli sul tema; dalla sensibilità sul tipo di prodotti che si mettono nel carrello. Il comportamento al consumo ci vede come individui, in primissima linea in una delle battaglie più difficili da combattere in questo momento storico. Non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità. La soluzione? Lo studio, l’approfondimento e l’educazione rispetto a ciò che davvero significa impatto ambientale. Le mezze misure spesso proposte dai media ufficiali basate su minuscole e spesso irrilevanti (nell’ottica globale) azioni singole, puliscono la coscienza ma non rappresentano una soluzione definitiva ed efficace. Capiamo invece cosa consumiamo e come; arriviamo alla radice del problema. Smettiamo come società di produrre derivati animali e di usare plastica monouso per packaging e prodotti durevoli; recuperiamo come cittadini, l’abitudine di pianificare gli acquisti e non eccedere; utilizziamo l’acquisto come forma di espressione delle nostre volontà decidendo quali prodotti mettere nel carrello e quali invece no. Selezioniamo le aziende considerando anche il loro impatto e la loro sostenibilità; smettiamo di delegare e avere un atteggiamento passivo.

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