Horror Nigeria

Promiseland -

Ieri, 6 marzo, arriva alla redazione di Clarence una e-mail. Nulla di strano, tra spam, virus, pubblicità di siti porno e insulti di vario genere, ne arrivano a valangate. Ma questo messaggio, inviato da Lucia per diffondere un appello, è diverso dagli altri. Già dall\’incipit si capisce che merita di essere letto oltre la prima […]

Ieri, 6 marzo, arriva alla redazione di Clarence una e-mail. Nulla di strano, tra spam, virus, pubblicità di siti porno e insulti di vario genere, ne arrivano a valangate. Ma questo messaggio, inviato da Lucia per diffondere un appello, è diverso dagli altri. Già dall\’incipit si capisce che merita di essere letto oltre la prima riga. Sì, perché recita così: \”Manca solo un mese e poi la nuova vincitrice nigeriana del concorso \’Sforna un bambino e muori con la testa sfasciata\’ verrà dovutamente lapidata\”. Oddio, ci risiamo. Ecco un\’altra povera creatura che è caduta sotto la tremenda falce della Sharia, la legge coranica che prevede, per accuse di vario genere, che un condannato a morte venga messo in una buca, coperto di terra fino alle spalle, con le braccia dentro la fossa, e ucciso dal lancio delle pietre della folla.

Ma cosa deve aver fatto, la vittima, per \”meritarsi\” una condanna tanto brutale? Non molto, almeno secondo i nostri standard. Per quella che Lucia, nella sua lucida e tagliente e-mail, ha definito la “nuova vincitrice nigeriana del macabro concorso” (e che ha un nome, Amina Lawal) è stato sufficiente essere accusata da un tribunale islamico nigeriano di avere avuto un figlio al di fuori del matrimonio. Un’adultera, insomma. Una donna infedele, una che, magari per via di una scappatella, deve essere uccisa in un modo tra i più dolorosi che si possano immaginare. Altro che Medioevo e Santa Inquisizione, qui pare di tornare indietro di millenni, all’epoca dei gladiatori sbranati dai leoni che davano spettacolo di fronte a una folla estasiata. E invece no. Questo tremendo modo di “fare giustizia” accade ancora oggi, in una tra le più popolose nazioni dell’Africa.

Due anni fa, sempre in Nigeria, alla fine del 2001, era scoppiato un caso molto simile, quello di Safiya Husaini. Una donna nigeriana di 30 anni che le autorità dello Stato di Sokoto (una delle regioni della Nigeria guidata dai fondamentalisti islamici) avevano condannato a morte mediante lapidazione con l\’accusa di adulterio. In realtà, la donna era stata vittima di uno stupro. Ma questo non interessava più di tanto le corti della Sharia, anche perché dimostrare che la donna era stata realmente vittima di una violenza sarebbe stato quasi impossibile. Fortunatamente, grazie all\’intervento di numerose organizzazioni internazionali di mezzo mondo, Safiya era stata graziata. E ora la storia si ripete. Il paese è lo stesso, la Nigeria; le accuse le medesime (adulterio); la condanna uguale. Basta solo cambiare il nome, da Safiya ad Amina. Per il resto, è un film dell’horror già visto.

A guidare la campagna di sensibilizzazione sul caso di Amina Lawal, stavolta è scesa in campo Amnesty International, che si è dichiarata estremamente preoccupata per la decisione della corte d\’appello della Sharia di Funtua, nello stato nigeriano di Katsina, di confermare la condanna a morte per lapidazione. Questa decisione, a detta dell’organizzazione internazionale, è incompatibile con la costituzione nigeriana, con gli impegni per la difesa dei diritti umani firmati dalla Nigeria stessa e con la Carta africana dei diritti umani e dei popoli, anche perché la pratica della condanna a morte per lapidazione è proibita dal Patto internazionale sui diritti civili e politici e dalla Convenzione delle Nazioni Unite. Oltre ad Amina, altre 3 persone, Ahmadu Ibrahim, Fatima Usman e Mallam Ado Baranda sono stati condannati, i primi due per un reato simile a quello di Amina, mentre il terzo è accusato di avere stuprato una bimba di 9 anni. Amnesty International si oppone comunque alla pena di morte in tutte le circostanze e si sta mobilitando per chiedere al governo nigeriano di assicurare che tutti e quattro gli imputati possano godere dei propri diritti, in accordo con gli obblighi internazionali per i diritti umani firmati dalla Nigeria tra cui l\’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici per la salvaguardia dei diritti umani delle persone condannate a morte.

Nel frattempo, l’organizzazione internazionale ha redatto un appello indirizzato al presidente della Nigeria in cui si chiede di intercedere per impedire l’esecuzione di Amina Lawal e degli altri tre condannati a morte. L’invito è quindi quello di sottoscrivere la petizione di Amnesty International, che già ha raccolto oltre 260mila firme, per ribadire il proprio dissenso alla pena di morte e per chiedere che anche Amina e compagni siano graziati.
L’appello è visibile qua: www.amnesty.it

Articolo di Alberto Burba

Tratto da: www.clarence.com

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