La maggior parte dei bambini non identifica gli animali come cibo, e sono inconsapevoli di ciò che viene messo loro nel piatto. Lo dimostra uno studio condotto negli Stati Uniti su un campione di bambini tra i 4 e i 7 anni e pubblicato di recente su Journal of Environmental Psychology. Emerge che i bambini conoscono poco e in maniera confusa l’origine degli alimenti, specialmente di quelli animali. Il consumo di carne è legato a un comportamento psicologicamente complesso che porta a mangiare cibi che prevedono sfruttamento e morte, e allo stesso tempo desiderare un trattamento etico e compassionevole degli animali. Semplicemente, i bambini sono estranei a questo comportamento e non classificano gli animali come “commestibili”.
Dallo studio è emerso che per quanto riguarda la carne, una percentuale che varia dal 36 al 41% dei bambini la identifica come di origine vegetale e non è in grado di fare la connessione con l’animale da cui è ottenuta; in particolare, questo è accaduto con hamburger, hot dog e bacon. Anche le crocchette di pollo, il cui nome rimanda chiaramente all’animale da cui si ricavano, sono state classificate come alimento a base vegetale da più di un terzo dei bambini coinvolti. Altro dato interessante è che la maggior parte dei bambini di 6 e 7 anni – e quindi i più grandi all’interno del campione – ha classificato polli, mucche e maiali come “non adatti da mangiare”.
Il motivo di questa confusione, che negli adulti si ripresenta in modalità diverse, è quello che gli studiosi definiscono paradosso della carne: molte persone provano disagio nel consumare carne, consapevoli dello sfruttamento e della crudeltà che comporta, ma questo viene letteralmente messo da parte nel momento in cui si è al supermercato o ci si siede a tavola. Sono strategie psicologiche adottate per mettere a tacere i sentimenti negativi derivanti dal consumo di animali, e che portano a non fare la connessione tra la bistecca che si ha nel piatto e l’animale vivo. Siamo di fronte a un vero e proprio “sapere confuso”, per cui chiunque è in grado di identificare un hamburger come di origine animale, ma senza mandare alla mente l’immagine dell’animale vivo e della crudeltà a cui è stato sottoposto per arrivare a ottenere l’hamburger.
Tutto questo si configura nei genitori in una sorta di “atteggiamento di protezione” verso i figli, che li spingerà a diventare adulti inconsapevoli di mettere in atto vere e proprie strategie di difesa davanti a una fetta di carne. Scrivono gli esperti: “I genitori nascondono le informazioni sulla macellazione degli animali nel tentativo di salvaguardare l’innocenza dei bambini, considerando la realtà della produzione di carne troppo raccapricciante perché si possa conoscere in giovane età. La reticenza a rivelare le origini animali della carne deriva anche da preoccupazioni pratiche: i bambini potrebbero rifiutare di mangiarla, una volta capito appieno che cos’è e come viene prodotta. Piuttosto che gestire l’inconveniente di cucinare piatti diversi, o affrontare le emozioni che possono derivare dalla scoperta che la pancetta nel piatto del loro bambino prima era un maiale vivo, alcuni genitori evitano del tutto la verità. Usano una terminologia vaga che ha un impatto potenzialmente duraturo sulle abitudini alimentari dei bambini“.
Il “carnismo” nelle società occidentali
La disinformazione dei bambini su questi argomenti può essere attribuita anche alle modalità con cui la carne è dissociata dalle sue origini animali in molte culture occidentali, che dipendono fortemente dai sistemi alimentari industrializzati. “I prodotti a base di carne hanno poca somiglianza con gli animali quando vengono offerti in vendita nella maggior parte dei negozi di alimentari negli Stati Uniti. – si legge nello studio – Hamburger, bacon e hotdog vengono prodotti con procedimenti in gran parte invisibili ai bambini, tanto che nel momento in cui finiscono su un piatto, la connessione tra il cibo e l’animale è astratta. Anche i prodotti che contengono ossa (per esempio le cosce di pollo), assomigliano molto poco agli animali da cui provengono.”
Melanie Joy, psicologa americana e attivista per i diritti animali, definisce “carnismo” questo atteggiamento, la nostra abitudine a consumare carne senza di fatto porci nessuna domanda sulla sua origine. Cresciamo in una società che vede come naturale, necessario e normale consumare carne e derivati, che diventano spesso anche il simbolo di una cultura e parte integrante di una tradizione culinaria consolidata. Ma quando diciamo che ci piace la carne, di cosa parliamo? Del suo gusto? Della sua consistenza? O piuttosto dell’abitudine che si nasconde dietro al suo consumo, delle tradizioni familiari che associamo a quel determinato alimento? Molto spesso il cibo è legato a emozioni, ricordi e stati d’animo, ed è difficile che quella che viene (erroneamente) percepita come una privazione o una mancanza sia accolta con entusiasmo.
Ovviamente è chiaro che siano i genitori a scegliere l’alimentazione dei figli e le ripercussioni di queste scelte non si possono sottovalutare: probabilmente, la resistenza di molti adulti nell’eliminare la carne e i prodotti di origine animale, ha le sue radici proprio nella “non connessione” tra il cibo e la sua provenienza imparata da piccoli. Ormai si sa che la lotta ai cambiamenti climatici è strettamente legata alla scelta di una alimentazione plant-based e il futuro del pianeta è nelle mani dei bambini, che devono sapere qual è la scelta giusta.
Usando i modi e i tempi giusti, abbiamo anche il dovere morale di spiegare ai bambini che la carne non cresce sugli alberi, ma che comporta il dolore e la morte di altri esseri viventi: l’empatia “si impara” da piccoli e tutti dovrebbero crescere senza barriere speciste, nella consapevolezza che ogni essere vivente ha diritto alla libertà, alla dignità e alla vita. Solo così potranno diventare degli adulti migliori.
Di seguito proponiamo un intervento di Melanie Joy durante il VeganFest del 2015, nel quale analizza chiaramente la questione:
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