A sud vivo io, e vivono le contraddizioni che mi hanno cresciuto. A sud vive il mondo, quello vero fatto di cose semplici e di complessità eterne. A sud vive la violenza di gente fagocitata dal vento violento e greve del tempo dimenticato. A sud c’è una storia che a stento resiste tra le pieghe della tradizione dolcemente affievolite dagli aneliti del Magreb. A sud c’è il mio cuore, bitorzolo cavernoso rivestito di porpora e blue. A sud vivono le mie passioni colorate e sempiterne. A sud vivono con me quattro miliardi di persone affamate. A sud la fame è una realtà non un optional, a sud se hai sete devi aspettare la pioggia che cade dentro me. A sud le mani di chi lavora sono come campi aridi che aspettano con ansia acque fresche e nascoste. A sud vive la speranza di un mondo di sapori e odori come quello del caffè caldo e profumato, fragrante, corposo che ti scende, come lava, giù per la gola appena sveglia dai torpori di una notte di feste e nuove realtà. A sud vive il cielo terso delle torride giornate d’estate, quelle delle arance rosse che illuminano come soli le terre fertili della dea più bella: Sud.
Dove vivo ci sono i vigneti che in ottobre insanguinano le montagne e le vallate. Dove vivo ci sono gli olivi saggi e vecchi come quegli anzianotti di paese seduti sulle seggiole di paglia davanti ad una casa, i villaggi di pietra e montagna che si incontrano lungo i cammini di sempre. Dove vivo c’è il lavoro minorile, a nero, a cottimo, interinale, flessibile, temporale. Dove vivo chi si spacca il mazzo finisce sempre con il sedere nelle “pummarole”. Dove vivo io i pomidoro sono gemme e rubini di un’estate macchiata di sfruttamenti e schiavitù.
La terra piange il cielo ride, il sole crepa le rughe di Madre Natura.
A sud voglio stare “spanzato” come una lucertola su una di quelle pietre secolari che ha visto il mondo cambiare e che attraverso il suo calore mi racconta le età della terra in cui vive.
A sud ci sono i prati verdi, le montagne in fiore, i fossili e i reperti. A sud non c’è turismo, c’è speculazione in nome di un appalto da conquistare. A sud ci sono tombe di cemento chiamate città dove ognuno di noi vive schiacciato sulla schiena dell’altro. A sud dovrebbe esserci musica ogni giorno, ma la spensieratezza è volata via soppiantata dalla fame eterna di un popolo ricco di se stesso e dei suoi scrupoli. A sud c’è una piovra che tutto manovra con i suoi tentacoli tentacolosi, cicciona ignobile affoga in lacrime d’acido i malcapitati. A sud una volta la gente parlava, ora è omertà. A sud c’era l’acqua e ora non c’è più. A sud ha vissuto mio nonno fino a 92 anni in un paesino di rocce e deportati, ora vive nella mia memoria. A sud e solo a sud la cordialità, quando la trovi, è oro colato sulla tavola di legno che ti offre ospitalità. A sud la domenica è festa. A sud la gente dovrebbe tornare per ritornare nel passato di una terra lontana. È questo il mio sud o è solo un’illusione? Noi siamo scorci, vicoli, viuzze e marciapiedi, siamo campi di fresco arati, siamo coscienze; la rinascita dipende da quanta voglia abbiamo di rivedere il sole come prima.
Il grano sorride tra fichi d’india e melograni, le mele ricordano con fierezza quei nobili progenitori che donarono misteri di scienza ad un uomo, Newton.
A sud la gente lavora con la schiena piegata, immersa tra carezze di verde e giallo oro, nei paesaggi di fiaba che solo tra i sorrisi degli immigrati puoi trovare.
A sud c’è un’autostrada che ti porta ancora più giù, quasi al centro della terra tra soli d’Arabia e deserti di stelle. Siamo come spaventapasseri scossi dai corvi, speriamo di volare altrove in stagioni fredde e inospitali.
”’o raù che piaceva a mme ‘o faceva sulo mammà” , parola di Eudardo, drammaturgo di cultura e storia, cantore amaro di miseria e nobiltà. È questo che manca a sud, oggi, la cultura che ci rende coscienti di essere un popolo bello e dalle forti radici impregnate di tradizioni.
Non sono nato senza motivo e me ne rendo conto in ogni attimo in cui i miei occhi hanno luce, guardando il sud vedo me stesso, vedo la vita speranzosa aggrapparsi ai miracoli e alle superstizioni tra vicoli nascosti e chiese decrepite.
Una ricetta vecchia come il ragù è quella di resistere tirando fuori il coraggio di essere terrone.
Buon viaggio a sud miei cari
Testo di: Frama
Tratto da: www.vivailsud.it
Chi è Frama?
Animale raro conosciuto anche come Francesco Maria Furno, fin da piccolo ha rotto le palle per disegnare, ne sa qualcosa la mamma che si è ritrovata i libri universitari con tanti ‘bobbode\’’ (cerchi e palle, ndr).
Ha studiato tutt’altro che disegno pero\’ alla fine la natura ha fatto il suo corso e adesso come per magia si ritrova come un ebete a scarabocchiare tutto quanto gli capita a tiro; e\’ diventata una vera e propria ‘malatia’.
Nel tempo libero fa il grafico pubblicitario, il fumettista, l’impaginatore e studia; il resto della vita lo passa a fankazzeggiare.
In questo momento lo si puo\’ incontrare tra le 4 mura dell’ateneo di Maleventum come un’anima in pena.
Avrebbe tanto bisogno di qualcuno che se lo porti via.
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