Il tabù dell\’uccidere

Promiseland -

Che cos’è terrorismo? Un metodo che varca le soglie dell’orrore e ci trasporta all’inferno o una organizzazione? Oppure un fantasma che diventa il casus belli e dunque la leva su cui costruire lo scontro di in/civiltà? Credo che tutte queste cose siano vere e vadano analizzate una per una, ma partirei prima da due affermazioni. […]

Che cos’è terrorismo? Un metodo che varca le soglie dell’orrore e ci trasporta all’inferno o una organizzazione? Oppure un fantasma che diventa il casus belli e dunque la leva su cui costruire lo scontro di in/civiltà?

Credo che tutte queste cose siano vere e vadano analizzate una per una, ma partirei prima da due affermazioni.

La prima è una affermazione per così dire etica: chi usa il metodo del terrore varca una soglia che nega il rispetto della vita, cioè quel valore universale che potremmo chiamare sacro se non fossimo laici, ma siccome siamo laici chiamiamo fondante, prioritario, alla base della convivenza umana e della civilizzazione. Infatti l’orrore per tutte le barbarie che ci capita di vedere o che ci fanno vedere (i media sono assai strumentali e selettivi) è l’espressione di questa violazione di ciò che sentiamo come sacro. Il metodo del terrore è usato a Guantanamo come ad Abu Ghraib, dagli squadroni della morte in Honduras, Nicaragua, Argentina e buona parte dell’America Latina, in Vietnam come in Afghanistan, in Somalia, come in Kosovo, come in Iraq. I polmoni dilaniati dall’uranio impoverito sono terrore, come i corpi dei civili fatti a pezzi dai bombardamenti, come le torture, i desaparecidos, le stragi dei mercati e dei campi profughi in Palestina come a Baghdad, lo sterminio di intere città come in Cecenia. Il terrore è lo strazio di civili inermi come prodotto strategico del terrorismo di Stato ovvero della Guerra.

Da alcuni anni il terrore è stato acquisito come metodo anche da alcuni movimenti di resistenza in varie parti del mondo, ma soprattutto in Medio oriente e da parte di gruppi politici di ispirazione fondamentalista islamica. Abbiamo così assistito in diretta alla strage di Madrid, allo scempio dei bambini in Ossezia, alle decapitazioni degli ostaggi, alle esplosioni degli autobus e delle discoteche in Israele. In buona parte questo ricorso al terrore è spiegabile come effetto perverso della guerra asimmetrica, nel senso che davanti al gigantesco meccanismo del terrorismo di Stato i gruppi dei paesi senza adeguati mezzi militari reagiscono ricorrendo al terrorismo dei kamikaze, o delle autobomba oppure ai sequestri e alle uccisioni. Ma spiegare non significa giustificare. Non ci può essere nessuna connivenza culturale con chi sceglie di fare uso del terrore, sia pure per una causa con cui tenta di giustificarsi. Anche se il ricorso al terrore nasce dalla volontà di reagire dalla parte delle vittime di una oppressione militare insormontabile e inaccettabile. Perché nel momento in cui si viola la vita di civili inermi si commette un crimine contro l’umanità, piccolo o grande che sia in termini di numero. Un crimine contro l’umanità che non è compatibile con nessun progetto di liberazione, che viene anzi bruciato e incenerito dall’orrore.

Sappiamo che in Iraq ci sono da una parte mille morti americani e dall’altro più di 20.000 vittime civili della infame occupazione militare e dei bombardamenti. Questo può giustificare ai nostri occhi che una parte della resistenza irachena possa scegliere di fare uso del terrore sui civili? No, nessuna giustificazione possibile.

Per me il valore più importante non è la vittoria e neanche la libertà e la giustizia, sebbene sia impegnata per questi obiettivi, ma è il rispetto della vita, senza di che nessuna civilizzazione è possibile e si ritorna alla barbarie.

È questo il motivo per cui nessuna guerra umanitaria è possibile perché la guerra è un crimine contro l’umanità per il solo fatto di esistere e dispiegarsi: non esiste terrore e crimine più grande. Ma per questa stessa valutazione etica non possiamo che respingere ogni pratica che somigli al terrore antiumano della guerra e allontanarla dal campo dei movimenti di lotta e di resistenza, pena la perdita della possibilità stessa di fondare un nuovo mondo, una alternativa di civiltà.

La seconda affermazione è politica: faremmo bene, secondo me, a usare il concetto di Quarta guerra mondiale, più appropriato di quello di scontro di civiltà, per analizzare la deriva del nostro mondo. Quando nel ‘91 Bush padre inaugurò il Nuovo Ordine Mondiale, elaborando la teoria dei due destini e del nuovo modello di difesa, di fatto dichiarò guerra a quella parte di umanità che veniva condannata al secondo destino, quello dell’esclusione dai benefici dello “sviluppo” e della subordinazione – attraverso il ricorso alle armi – al primo mondo, quello del capitalismo globalizzato. Questa quarta guerra mondiale, nella quale siamo immersi da tredici anni, totalmente asimmetrica e in continua escalation, è terrorismo, produce terrorismo e se ne alimenta, per avere nuova legittimazione e continuare come guerra infinita. Aveva bisogno di un nemico, dopo la sparizione dell’Urss seguita alla guerra fredda. E poiché tutte le tensioni politiche e le maggiori risorse energetiche stavano in Medio oriente e tra le popolazioni di religione islamica, ecco profilarsi il nuovo nemico: l’Islam. Un fantasma artificialmente costruito, una gigantesca civiltà plurale trasformata in mostro, identificata con la barbarie dei gruppi terroristici, specularmente all’occultamento della propria gigantesca barbarie, quella del sistema di guerra globale.

In questo senso è vero che il terrorismo è un fantasma, è un casus belli, assomiglia a Elena di Troia, così come alla “pistola fumante” o alla provetta di Powell, come simbolo di inesistenti armi di distruzione di massa in Iraq.

La quarta guerra mondiale ricolloca il terrorismo al suo interno come nemico costruito, alimentato e infiltrato per rendere globale e infinita la guerra del nuovo impero Usa.

Connivenze e infiltrazioni per il crollo delle due torri dell’11 settembre? Sì, in tanti hanno già risposto a questo da Gore Vidal, a Never Ahmed, per finire a Michael Moore.

Ma tutto questo non significa che il terrorismo non esista come fenomeno reale e non abbia una sua autonomia. Lasciando da parte i gruppi islamici più piccoli e più vicini alla guerriglia di resistenza come in Palestina, se guardiamo ad Al Qaeda e a Bin Laden, non possiamo non analizzare la creazione di una lobby di potere che ha intrapreso una “guerra santa” contro il potere degli Usa e dei suoi alleati, con precise mire di dominio, attraverso una destabilizzazione di tutto il mondo islamico verso un progetto di dittatura integralista che non potrà mai essere coniugata con la parola liberazione.

E il fatto che esista Al Qaeda come fenomeno politico di terrorismo organizzato non toglie nulla al fatto che in Iraq e in altre parti del Medio oriente esistono movimenti di resistenza armata, ben diversi e separati dai gruppi terroristici, che lottano contro l’occupazione militare e che sono legittimati a farlo dalla guerra di invasione.

Valutare la legittimità della resistenza armata non significa affatto praticarla o condividerla. Io resto convinta che per uscire dal Novecento dobbiamo sperimentare e diffondere forme nuove di resistenza non armata di massa, per motivi di efficacia, per promuovere processi di democratizzazione reali della società civile, per consentire processi di pace e ricostruzione di tutte le forze civili di un popolo oppresso, anche quelle che le armi non le hanno prese in mano, ma hanno subìto la guerra e l’occupazione.

Credo poi che un altro mondo possibile non può cominciare se non fondiamo il tabù dell’uccidere, il che richiede una rivoluzione culturale.

Come una volta nella storia dell’umanità, in tempi molto antichi, la società tribale stava rischiando di estinguersi a causa delle lotte tra maschi per il possesso delle femmine, anche oggi l’umanità rischia di estinguersi per la quarta guerra mondiale e cioè la guerra asimmetrica per il possesso di Gea. L’umanità si salvò in quella svolta perché fondò il tabù dell’incesto, così formò la famiglia e la società patriarcale.

Oggi si pone la necessità, per l’intera specie umana, di mettere la vita delle persone al primo posto e fondare il tabù dell’uccidere. Tabù significa che una cosa non solo non si può fare, ma non si può neanche pensare, perché viola ciò che sentiamo inviolabile.

Lo so che i signori della guerra vincono militarmente, ma so anche che non portano alcuna civiltà con la loro barbarie tecnologica, solo la distruzione del mondo. E credo che coloro che rispondono al terrore con l’orrore non fanno che incrementare questa distruzione, allargare la guerra e impedire che crescano le margherite.

Testo di Nella Ginatempo

Tratto da: www.womenews.net


Inserito da: Marcello Paolocci ([email protected])

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