Si torna a parlare di influenza aviaria, questa volta in India, dove sono stati abbattuti 4 mila uccelli a scopo preventivo: siamo Bokaro Steel City, nello Jharkhand, dove due focolai della malattia sono stati confermati a distanza di una settimana l’uno dall’altro.
Il tutto è partito da un piccolo allevamento a Lohanchal, dove il virus ha colpito e ucciso circa 800 polli: da qui, è stata poi ordinata l’uccisione preventiva di altri animali, in tutto esattamente 3.856 tra polli e anatre, ed è stata istituita una zona di sorveglianza che copre un raggio di 10 chilometri attorno all’allevamento interessato. Non è dato sapere in che modo questi uccelli nello specifico siano stati abbattuti, ma i metodi più comuni comprendono soffocamento, avvelenamento da anidride carbonica e surriscaldamento dei fienili tramite chiusura delle valvole di areazione: in quest’ultimo caso, le temperature nei capannoni si alzano lentamente fino a diventare letali per gli animali.
Influenza aviaria, non solo in India: l’allerta è globale
Eppure, tutto questo non è bastato: il virus H5N1 sarebbe già in circolazione in altri allevamenti avicoli della regione, questa volta nella capitale del Jharkhand, Ranchi. Non è chiaro quanti siano gli animali colpiti in questo focolaio, ma l’allerta è massima: com’è accaduto nel Regno Unito, anche in India la preoccupazione è che il virus possa colpire altri animali, anche selvatici, col rischio che possa poi diffondersi all’essere umano. Per questo motivo, non solo in India ma in moltissimi Paesi al mondo, l’attenzione è alle stelle e si procede ormai da tempo con “abbattimenti preventivi” di milioni di animali (sani) – anche in Europa – per scongiurare qualsiasi pericolo di diffusione.
Sì, perché anche il virus H5N1 è considerato potenzialmente pandemico, e il rischio di un’altra pandemia non è poi così lontano. Negli ultimi 10 anni, secondo l’OMS, i casi di influenza aviaria nell’essere umano sono stati 868 in tutto il mondo, e oltre la metà si sono rivelati fatali. Le autorità sanitarie confermano che la situazione rimane sotto controllo, ma l’allarme non può essere ignorato: se è vero che oltre il 75% delle malattie infettive nuove o emergenti siano zoonosi – provengono cioè da animali, spesso a causa delle pessime condizioni in cui sono allevati – la probabilità di essere di fronte a “un secondo Covid-19” è tutt’altro che remota.
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