Questa pandemia era evitabile ed è un’occasione, per quanto drammatica, per riuscire a prevenirne altre. Su questa convinzione si basa la puntata di “Indovina chi viene a cena” del 27 febbraio scorso, andata in onda in prima serata su Rai 3 e condotta dalla giornalista Sabrina Giannini. “L’innocenza del pipistrello” è il titolo emblematico di questo speciale, dedicato alla connessione tra la pandemia in atto e moltissime attività umane che coinvolgono gli animali. Sì, perché – come molte altre malattie pandemiche – il nuovo Coronavirus è una zoonosi, ovvero una patologia trasmessa dagli animali all’uomo. E i numeri sono scioccanti: secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), il 75% delle nuove patologie umane infettive è di origine animale.
Ma quanto abbiamo imparato da quest’anno di lotta contro il Covid-19 e dalle pandemie che sono scoppiate in passato? Niente, o quasi. Lo dimostra il fatto che, a un anno dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, le pericolose abitudini alimentari che l’hanno provocata siano ancora una normale abitudine in Oriente. Le immagini in esclusiva andate in onda su Rai 3 parlano chiaro. I “wet market”, mercati all’aperto in cui la fauna selvatica viene esposta viva e poi macellata direttamente sul posto, sono ancora attivi e molto frequentati. Questo, nonostante sia nota la loro pericolosità in termini di diffusione di malattie, visto che lo spargimento di sangue che si genera in questi luoghi, favorisce la trasmissione del virus da specie a specie. E i pipistrelli sono stati attori involontari in questa tragedia: in quanto serbatoi di una molteplicità di virus ancestrali e, allo stesso tempo, parte integrante della tradizione alimentare orientale, hanno dato avvio a una delle più gravi pandemie degli ultimi secoli.
La colpa, quindi, non è e non è mai stata degli animali selvatici, ma di chi ha permesso l’apertura dei “wet market” e il consumo della loro carne, nonostante fosse nota da tempo la sua potenziale pericolosità. E, soprattutto, di chi ne consente ancora oggi l’esistenza. Dopo oltre un anno di convivenza con il virus, che ha stravolto il mondo e ucciso in tutto quasi due milioni e mezzo di persone.
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Covid-19: è partito tutto dai visoni?
In questi mesi, in Europa, abbiamo assistito a una vera e propria mattanza di visoni: solo in Danimarca, tra i più grandi allevatori di visoni al mondo, sono stati uccisi 15 milioni di animali e poi gettati in fosse isolate. Il tutto, a scopo preventivo: gli esperti, infatti, hanno scoperto che visoni e uomini si possono contagiare a vicenda, e che questi animali possano infettare l’essere umano con una forma mutata di virus. Un agente patogeno potenzialmente più aggressivo e immune ai vaccini che l’Europa sta somministrando ai cittadini in questo periodo. Eppure, evidenze scientifiche a livello internazionale esprimevano da mesi la preoccupazione per una crescente diffusione del virus tra i visoni; ad Ottobre in Europa si contavano 67 allevamenti focolaio in Olanda, 149 in Danimarca.
Questi animali, allevati per la loro pelliccia in condizioni estremamente precarie, sono diventati vittime per la seconda volta, uccisi (anche da sani) per il timore di un possibile contagio. In Italia, la situazione ha dell’incredibile se si pensa che la notizia di un focolaio di Coronavirus in un allevamento è arrivata con mesi di ritardo, e solo grazie alla LAV. Controlli inesistenti e la volontà di non nuocere all’industria hanno portato a mantenere il silenzio sulla questione, e solo dopo questa scoperta, il Ministro della Salute Speranza ha firmato lo stop agli allevamenti di visoni fino a febbraio. Non la chiusura definitiva, come avvenuta in Danimarca e altri Paesi europei, ma una pausa che proprio in questi giorni è stata prorogata fino alla fine del 2021, e che lascia dietro di sé non poche perplessità.
Come emerge chiaramente dall’inchiesta di Giannini, il punto centrale della questione, però, riguarda la Cina – che attualmente è il Paese in cui vengono allevati più visoni al mondo. Mentre in Europa scoppiavano focolai in diversi allevamenti, in Cina la situazione era apparentemente sotto controllo: nessun caso di Covid-19 rilevato tra gli animali, nonostante il loro numero sia veramente impressionante. Eppure, i dati parlano di una diminuzione importante della produzione di pellicce in Cina: alla fine del 2019, quando il virus ha iniziato a circolare nel Paese, si contava una produzione quasi dimezzata di pellicce rispetto al 2018. Sono “spariti nel nulla” 9 milioni di visoni, e il sospetto è che la Cina abbia provveduto all’abbattimento degli animali infetti di nascosto, per salvare un business che frutta 20 miliardi di euro l’anno. Si pensa che proprio i visoni abbiano contagiato l’uomo, contraendo a loro volta il virus dai pipistrelli. Non a caso, i più grandi allevamenti di visoni cinesi si trovano proprio in zone popolate da questi animali.
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Allevamenti intensivi: una minaccia concreta
Per finire, bisogna fare riferimento alla connessione tra gli allevamenti intensivi e la possibile diffusione di zoonosi. Sappiamo che dopo lo scoppio della pandemia, in Occidente la richiesta di carne è crollata portando a un consumo maggiore di prodotti plant-based. In Cina, invece, la carne (soprattutto di maiale) fa parte ormai della dieta quotidiana della popolazione: in 60 anni, i cinesi sono passati da un consumo di 5 kg di carne pro capite all’anno, ai 60 kg attuali. Numeri sicuramente migliori rispetto agli 80 kg annui degli europei e ai 120 kg degli americani, ma che danno l’idea di un fenomeno preoccupante.
Come viene spiegato nello speciale di “Indovina chi viene a cena”, la richiesta di carne porta però ad aumentare il numero di animali serbatoio che faranno da ponte tra i virus degli animali selvatici e l’uomo. Gli allevamenti intensivi, per la loro stessa natura, forniscono un ambiente fertile per il contagio: gli animali sono stati selezionati geneticamente per produrre di più e a basso costo, e questo porta alla mancanza di resilienza alle malattie. Da qui, il passaggio di specie (“spillover”) è la logica conseguenza: lo abbiamo visto in questi giorni in Russia, dove sono stati scoperti i primi casi di persone colpite dal virus H5N8.
L’unica soluzione alle problematiche che minacciano la salute pubblica, è evidente: dobbiamo fermare lo sfruttamento degli animali, non solo per una questione etica, ma anche per la salvaguardia della nostra salute. In pochi decenni l’uomo è stato in grado di distruggere l’ambiente e sottomettere la quasi la totalità degli animali non umani e, oggi, stiamo pagando il conto di questa arroganza: il Covid-19 è solo il risultato delle nostre azioni.
Puoi guardare la puntata di “Indovina chi viene a cena” sul sito Rai
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Laura Di Cintio
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