Galline felici, che beccano libere su un prato inondato dalla luce del sole. Questa è l’immagine che in UK le cosiddette “free range eggs” dovrebbero evocare. Questo è quello che veicola la pubblicità.
Eppure un’indagine condotta in parallelo da Sky News e Viva! nel settore della produzione di uova ci consegna un’immagine decisamente diversa. Una storia che parla di malattie, carcerazione, mutilazione, vita breve e scosse elettriche.
In una delle più ambiziose operazioni “sotto copertura” che l’organizzazione inglese abbia mai intrapreso, ecco che viene messo a nudo uno dei più grandi inganni ai danni del consumatore nel Regno Unito. E probabilmente non è azzardato ritenere che non sia una situazione relativa soltanto a questo paese.
Il nome Noble Foods, cibi nobili, probabilmente non significherà niente per il consumatore italiano; di fatto si tratta di un nome piuttosto sconosciuto anche al consumatore inglese. Eppure è il più grande produttore di uova dell’intera Gran Bretagna e rifornisce praticamente ogni supermercato. Si definiscono il braccio “progressista” dell’industria delle uova, e forniscono l’astronomica cifra di oltre 60 milioni di uova alla settimana. Queste vengono poi vendute dai supermercati sotto il proprio marchio o sotto il marchio stesso dell’azienda, Happy Eggs, uova felici.
Noble Foods, e come loro molti altri, si sono approfittati della crescente preoccupazione del consumatore nei confronti del benessere degli animali, ed ora il “free-range” (cioè galline allevate a terra, “ruspanti”) è un enorme business. Con vendite pari a circa 2 miliardi di sterline all’anno, la produzione ha ormai raggiunto i livelli dei sistemi di allevamento in batteria, perchè si ritiene, evidentemente sbagliando, che free-range significhi un elevato benessere per gli animali, in sostanza uno sfruttamento accettabile – comunque inaccettabile per i Vegani, ma decisamente soddisfacente per altre categorie di consumatori comunque sensibili.
La pubblicità di Happy Eggs alimenta questa convinzione: galline illuminate dalla luce del sole. che esplorano lussureggianti boschetti e che si fanno persino un giretto sul quad dell’allevatore. Un campo vacanze, insomma. Ma se gli allevamenti che sono stati visitati nell’ambito di questa inchiesta rappresentano la norma, sono campi di concentramento.
L’ironia della produzione free-range è che il suo successo, dovuto a preoccupazioni di ordine etico, ha portato ad una intensificazione e densificazione degli allevamenti. L’inchiesta dimostra che sono, a tutti gli effetti, allevamenti intensivi.
Vediamo nel dettaglio cosa succede. Le galline non sono messe nelle unità free-range finché non hanno 18-21 settimane, durante le quali sono tenute, a migliaia, in baracche come in un allevamento intensivo classico. Questo li condiziona per tutta la loro vita a stare comunque all’interno – atteggiamento che gli allevatori incoraggiano di buon grado, data la difficoltà ne raccogliere le uova deposte all’esterno.
Ma c’è di più: nelle prime settimane, i giovani volatili sono “scioccati” ed indotti alla sottomissione a fili elettrici che corrono lungo le mangiatoie e gli abbeveratoi, per impedirgli di defecare sui loro cibo. Un dipendente di Noble Foods è stato filmato, a volto coperto, mentre rivelava che i cavi elettrici sono utilizzati proprio per controllare le galline, che spendono nella migliore delle ipotesi l’80% della loro vita all’interno delle baracche.
Naturalmente tutto questo è assolutamente in conflitto con le linee guida di Freedom Food, cibo libero. Ma il problema risiede proprio qui forse: la RSPCA’s Freedom Food, istituita per garantire standards particolarmente elevati di benessere per gli animali da allevamento, avrebbe come scopo proprio il monitoraggio di questi allevamenti. Mentre si assiste alla costante derisione delle loro linee guida, rimane il fatto che questo sistema distorto nell’intero complesso è premiato con l’approvazione di un organismo che è stato fondato proprio per fermare gli abusi sugli animali.
Le “case” di queste galline sono cavernose baracche industriali con minuscoli accessi sui lati. Persino quando le porte sono spalancate per invogliare l’uscita, le galline sono così traumatizzate dai loro primi mesi di vita al chiuso che veramente poche tra loro osano avventurarsi all’esterno. Per capire meglio dobbiamo anche considerare la struttura strettamente gerarchica della loro società, per cui nessun uccello attraverserebbe mai il territorio di un altro. Figurarsi se gli uccelli in questione sono migliaia. C’è già da meravigliarsi se alcuni di loro mettono il naso fuori.
Uno dei capannoni che è stato visitato nell’ambito dell’inchiesta era infestato dall’acaro rosso, che può causare stress, anemia e condurre persino alla morte.
Il filmato mostra come molte galline erano “calve” e malridotte. Un lavoratore ha confermato che spesso e volentieri le galline si beccano tra di loro fino ad uccidersi. In altri casi, sono ridotte in questo stato dalle malattie. Ma la sostanza non cambia. Sono stati filmati sacchetti di plastica gialli, pieni di galline morte che venivano portate via. E questo nonostante che alle galline venga cauterizzata l’estremità del becco quando hanno appena pochi giorni proprio per evitare loro di beccarsi.
In un mondo lontanissimo da quello della pubblicità televisiva, in uno dei campi visitati, gli uccelli avrebbero dovuto attraversare in barca specchi d’acqua stagnante e sporca per guadagnare l’uscita. Alcuni degli elementi del cosiddetto “arricchimento” previsti dalle linee guida, che avrebbe dovuto migliorare loro la vita, sono del tutto inutili. I “pozzi di polvere”, per esempio, erano sommersi da centimetri di acqua già in piena estate.
La vita di queste “Galline Felici”, che dovrebbero deporre “Uova Felici” è tutt’altro che felice – e tutt’altro che lunga. In realtà, vengono macellate a sole72 settimane: di fatto quindi, considerate le prime 18-21 settimane al chiuso, rimane loro poco più di un anno per “godersi” i benefici dell’allevamento free-range. In uno dei casi considerati, le galline di un capannone stavano per essere macellate ancora più giovani perchè non abbastanza redditizie.
L’insulto finale per le galline ormai “anziane” è un viaggio di 214 miglia nel Lincolnshire, per raggiungere quello che è ironicamente chiamato la Jolly’s slaughterhouse, qualcosa tipo l’Allegro macello.
Questa, tristemente, è la realtà della produzione in larga scala di uova free-range in Gran Bretagna. I sistemi in batteria non sono certo più auspicabili, ed è per questo che sosteniamo che le uova dovrebbero essere completamente abolite dalla nostra alimentazione.
Appena venuti a conoscenza del filmato, Noble Foods ha avviato un’inchiesta interna. “Prendiamo con estrema serietà il trattamento ed il benessere delle nostre galline”, è la dichiarazione di Noble Foods, “la notte scorsa, su nostra richiesta, le aziende coinvolte sono state ispezionate dalla RSPCA e da ispettori alimentari indipendenti, e da entrambi abbiamo avuto relazioni positive”.
La RSPCA ha dichiarato a Sky News che, anch’essi, prendono molto sul serio le violazioni delle norme sul trattamento degli animali, e che le aziende in questione sarebbero state sospese dalla certificazione free-range in attesa dei risultati della loro indagine.
Sainsbury’s, uno dei supermercati inglesi che si rifornisce da Noble Foods, ha accolto con favore l’inchiesta. Ocado ha dichiarato che, come misura precauzionale, toglierà Happy Eggs dalla loro gamma di prodotti. Gli altri tacciono.
Viva e Sky News promettono di rivelare segreti ancora più inquietanti nel settore delle uova, ed altri inchieste che verranno pubblicate da adesso fino a Pasqua.
Per approfondire:
Qui il video di Sky News
Per saperne di più si Viva!, l’associazione inglese che ha condotto con Sky News l’inchiesta, il link è qui
Informazioni su Freedom Food possono essere reperite qui
Qui si trovano informazioni relative al citato Noble Food
Questo è il sito di Happy Eggs
Per notizie relative al “free-range” cliccate qui
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Solo con la partecipazione di tutti potremo fare la differenza per la salvaguardia del pianeta.
Annalisa Ruffo
dice:Bellissimo articolo che spero faccia capire come non ci siano scappatoie al veganesimo…
Eleonora Pini
dice:Ciao Lisa! Io invece, pensa un po’, ho appena finito di linkare al mio babbo il tuo articolo sulla lana.
Eh sì, il corollario di quanto è venuto fuori da questo articolo è che l’unica scelta sia il veganesimo; ma traspare anche, a ribadire se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’alimentazione è solo ed esclusivamente un grande business, che prescinde dalla salute degli animali e da quella degli esseri umani. E che il consumatore, per quanto possa agire in buona fede, spesso è truffato. Veramente triste… e come al solito (e ampliando il discorso), la conclusione è che l’autoproduzione è la via da seguire
Barbara Primo
dice:Questo tuo articolo é interessantissimo e cade proprio a proposito. Noi non abbiamo la tv, ma quando siamo in vacanza (come ora) la guardiamo un po’ la sera. Quindi ci accorgiamo molto dei cambiamenti delle pubblicità, che guardiamo con grande interesse. E proprio in questo periodo c’é uno spot terribile che mostra un gallo e una gallina baciati dal sole, il gallo circonda con un’ala, amorevolmente, la gallina, vivono nell’amore e nella serenità e… quindi… producono delle uova buonissime! Lorenzo ed io siamo rimasti sbigottiti come se Mme Chirac avesse tolto le mutande al tg! Ma dico io: la gente é veramente così tanto rimbambita? Non riesce a “capire”? A vedere al di là? Ma come fanno a vivere senza accorgersi? Ma in effetti si accorgono di vivere? Sanno cosa stanno facendo? Cosa si lasciano propinare? O hanno la testa nel secchio? Io non me ne capacito più!
Barbara Primo
dice:Confermo Eleonora: l’autoproduzione é una buona soluzione… infatti io faccio anche le uova 😆 se non mi credi trovi la mia ricetta VEGANA su Veganblog.it!!! 😉
Eleonora Pini
dice:ciao Barbara! ho guardato tra le tue ricette ma l’ “uovo vegano” non l’ho trovato 🙁 in realtà è proprio una delle poche cose che non mi manca della cucina “di prima”…io non ero abituata a mangiare le uova così da sole, e trovo molto più gustosa la farifrittatata della frittata; e del resto facendo pochi dolci (e per lo più sperimentali al massimo) non mi manca nemmeno nel reparto pasticceria!Ma ora mi hai fatto venire la curiositò 🙂
Per il resto…anche io qui vivo senza televisione e ne sono orgogliosa! La sera mi vedo comunque film in dvd o leggo o navigo su internet alla ricerca di quello che la tv non dice :-P. Non ne sento affatto la mancanza (un po’ come le uova :-P), anche se qui rispetto all’Italia la tv è decisamente un’altra cosa: all’inizio la guardavo e fanno delle trasmissioni molto interessanti di approfondimento storico artistico o dei bei documentari. L’abbandono della tv è stato uno dei primi passi per scrollarmi di dosso tante cose, sostanzialmente cose di cui potevo fare a meno: in questo terreno fertile che avevo preparato ho accolto con gioia il “semino” del veganesimo! Questo devia un po’ dal tema dell’articolo comunque :-P.
Soono d’accordissimo con te: spesso non mi capacito come la gente possa vivere con tanta superficiaità (e non mi riferisco solo all scelte vegane, quelle sono una piccola parte ed è una scelta che richiede un po’ di sacriicio e molta convinzione), parlo molto più in generale , dalla politica, all’etica, al consumismo e, sicuramente, anche a quello che si infila nella panza! Io del resto tendo a non comprare più nulla di “composto”, quasi solo materie prime e organic (sperando che lo siano davvero, a sto punto), le materie “composte” si contano davvero sulle dita di una mano!
Eleonora Pini
dice:ops scusa, volevo dire che l’uovo è una delle TANTE cose che non mi manca :-), in effetti sento la mancanza, ma raramente, solo di alcuni formaggi 🙂
Barbara Primo
dice:Era un pomeriggio culinario a 4 mani, ci siamo divertiti:
http://www.veganblog.it/2010/03/07/aspic-di-tofu/
🙂
Eleonora Pini
dice:Caspita è vero!! Mi era proprio sfuggita!! Ci credo che vi siate divertiti :-)! Proprio bello l’ovetto vegan
Riccardo
dice:complimenti per l’articolo. Finalmente si vedono indagini che vanno oltre gli allevamenti intensivi e che probabilmente deluderanno molte persone convinte che negli allevamenti biologici sia tutta una festa. Certo quando non siamo noi ad essere allevati non siamo molto interessati a sapere come stanno davvero le cose. Ricordiamoci inoltre che l’Inghilterra è uno dei paesi con i più alti standard di benessere animale…
Lentijini
dice:Io vivo in campagna e le persone che vivino nella mia stessa casa comprano le uova da una signora che al massimo avrà 8-9 galline. Sì, vivono a lungo, raspano gironzolando per i prati… galline felici sul serio (fino a quando non vengono uccise…). I primi tempi in cui avevo comunicato la nostra scelta, una certa persona insisteva per farmi mangiare le uova dicendo “sono uova bio” come se fossi una scema che decide cosa mangiare in base a quanto è verde la confezione e quante volte c’è scritto ‘bio’ sopra. Dopo un po’ mi è stato detto che il mio era solo idealimo ed estremismo perchè per quelle uova nessuna gallina veniva torturata. A freddo sembra un discorso logico. In realtà l’egoismo delle persone porta ad una conclusione diversa. Indipendentemente dai danni alla salute che comporta il consumo di uova, il giro è questo: ci sono diverse famiglie che comprano le uova da questa signora (e da tante altre come lei), ma questa signora non ha uova per tutti. Quindi se qualcuno le chiede 6 uova, e lei risponde che non ne ha, questa persona -che non può fare a meno delle uova perchè non è in grado di rinunciare nè di rimandare- andrà al market del paesino più vicino e comprerà delle uova provenienti da allevamento. Di conseguenza, se io comprassi le uova delle galline felici, diminuirei il numero di uova che la signora può vendere e indirettamente ‘costringo’ qualcuno a comprare le 6 uova, che non ha trovato dalla signora delle galline felici, al supermercato. Anche se la spiegazione è lunga il concetto è semplice. Un cane che si morde la coda: se non c’è la possibilità di soddisfare una domanda in modo sostenibile -e contando che la gente non conosce il significato della parola ‘rinuncia’- bisogna capire che cominciare a rispondere a quella domanda non può che portare al vero estremismo della produzione industriale.
giovanni scampini
dice:ciao cara Eleonora,, sono Micillo
ho un dubbio, volevo scrivere a Sauro su Veganblog, ma poi ho scoperto i tuoi bellissimi, ed informatissimi articoli.
Sto iniziando una collaborazione con un’altro ristorante,oltre al solito pub, dove vorrei inserire un menu’ vegan, ma vorrei anche poter utilizzare le uova, non chiedermi ora perche’, la risposta sarebbe troppo articolata per lo spazio disponibile, eventualmente ci scriviamo direttamente, comunque ti o vi pongo questo quesito:
se trovassi chi si possa occupare delle galline, le accudisse, le nutrisse e le curasse, e che ne garantisse la vita fino al termine naturale, ne potrei utilizzare le uova ?
Daria
dice:se trovassi chi si possa occupare delle galline,
se le accudisse,
se e nutrisse
se le curasse
se ne garantisse la vita fino al termine naturale…
se le portasse a spasso
se le facessiedormire nel suo letto….
ecc ecc ecc
ne potrei utilizzare le uova ?
NO!
Non è eticamente corretto usarle, oltre a tutto quello che ha detto Sauro, aggiungo che le uova non sono nostre ma sono delle galline e non abbiamo nessun diritto di rubarle a loro.
Senza contare poi che le uova fanno pure male alla salute in quanto ricche di grassi saturi.
Renata
dice:No, per il motivo descritto da Lentijini qualche post sopra.
Sauro Martella
dice:Ciao Micillo, dico anch’io la mia su questo argomento.
Certamente il fatto di usare uova prodotte da galline ben curate e rispettate anche fino alla fine della loro naturale vita, è una scelta che merita rispetto.
Altrettanto certamente da Vegan non potrei considerare Vegan i piatti che le contengono, per lo stesso motivo che non considererei Vegan dei piatti realizzati con parti del corpo di un mio parente, anche se morto di morte naturale.
Inoltre mi domando:
1) Perché dover usare le uova necessariamente?
2) Come la mettiamo con il fatto che una cosa del genere è matematicamente ingestibile… Teniamo conto che dopo pochi anni una gallina smetterà di produrre uova a ritmi utili alla produzione di uova ed andrà mantenuta ancora per molti anni, ma andranno mantenute contemporaneamente anche altre galline per l’effettiva produzione di uova e così via. In breve tempo ci si troverà con centinaia di galline da mantenere ed accudire che non producono uova o ne producono pochissime, a fronte di pochissime galline che ne producono… Il costo sarà insostenibile e quindi chi è che pagherà questo costo enorme? E qui torniamo alla prima domanda, sulla necessità di usare uova per mangiare quando la cosa, a fronte di nessun miglioramento nutrizionale (anzi, il contrario), è insostenibile economicamente?
Sono curioso… Chi pagherà mai cento euro un uovo prodotto da “galline felici”? 🙂