I player del mercato sanno perfettamente che questo è il momento di puntare sulle proteine vegetali. Lo chiedono gli investitori da una parte e lo esige una fetta sempre più consistente di consumatori dall’altra. Le alternative plant-based alle proteine di origine animale rappresentano un settore in continua crescita con enormi investimenti. La tecnologia alimentare assume un ruolo sempre più importante nella realizzazione di prodotti sostituti che, sempre più fedelmente, imitano le proteine animali senza l’impatto ambientale e le implicazioni etiche delle produzioni a base animale.
In Italia la Joy Food Srl ha creato il marchio Food Evolution, una gamma di prodotti conformi allo standard VEGETALOK preparati con ingredienti naturali. L’azienda propone tre referenze che riprendono i gusti classici della carne e li declina in chiave completamente 100% vegetale. La linea Food Evolution della Joy, unica in Italia, è dedicata a chi desidera sperimentare nuove alternative totalmente vegetali al consumo di carne.
La linea è ora disponibile in una selezione di punti vendita Esselunga di Italia. Abbiamo intervistato Alberto Musacchio fondatore della Joy Srl per saperne di più e commentare la novità.
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Un anno importante questo 2020: a Febbraio la partecipazione come sponsor a Casa Sanremo in cui avete fatto assaggiare i vostri prodotti vegetali al parterre sanremese delle star e ora l’ingresso in Esselunga, una delle più importanti insegne della GDO italiana. Un bel traguardo!
Sì, un bel traguardo! Il 27 Aprile 2020 è stato effettuato il lancio ufficiale e posso confermare che a poche ore dal lancio, ci è già arrivata la richiesta di un nuovo ordine da parte di Esselunga; segno che il prodotto è stato accolto molto positivamente dai consumatori. Sono molto felice di questa collaborazione perché considero Esselunga un trendsetter all’avanguardia. Hanno molto apprezzato la nostra produzione e le sue caratteristiche: in particolar modo l’etichetta corta e trasparente, il fatto che il prodotto sia interamente made in Italy e la versatilità.
In effetti i prodotti della linea sono assolutamente poliedrici e si prestano sia a ricette più immediate sia ad essere impiegati in piatti più elaborati. Un concetto di consumo differente degli ormai famosi burger vegetali la cui caratteristica primaria è la velocità di preparazione: dalla griglia o piastra al panino…
Sì è vero, il burger vegetale rappresenta un altro tipo di consumo che secondo me in Italia è destinato a consolidarsi solo come alternativa occasionale a piatti e preparazioni più elaborate. Nella cultura italiana l’idea di grigliare semplicemente un burger già pronto non ha un appeal forte come può averlo invece un prodotto versatile da cucinare. Gli italiani amano cucinare! Con i nostri straccetti si può preparare un di “pollo” vegetale agli agrumi, al pepe verde, alla diavola o un chicken tikka masala. Con i dadini, si può preparare una carbonara, un’amatriciana. Insomma: si può davvero preparare ed elaborare un piatto.
La categoria dei burger vegetali è destinata a saturarsi presto secondo Lei?
Moltissimi marchi ormai sono usciti sul mercato con il proprio burger. Il successo del Beyond Meat Burger risiede nel sapore e nell’aspetto succulento simile alla carne, non tanto la texture. Però la Beyond Meat non è l’unica a contendersi lo spazio del mercato: grossi produttori di materie prime sono in grado ormai di fornire il materiale grezzo per mettere in linea un prodotto simile a costi ridotti. Il mercato di questi burger non è destinato a saturarsi prestissimo ma il trend che si consoliderà sarà quello del prodotto strutturato che concede una lavorazione a chi lo acquista. Le persone non vogliono solo consumare, vogliono cimentarsi ai fornelli.
Il concetto di “analogo della carne” è più consolidato all’estero che non nel nostro paese. In Gran Bretagna ad esempio ormai non è più una novità ed è accolto tanto dal cliente vegano quanto da quello flexitarian e onnivoro. Quale sarà l’elemento incisivo in Italia per completare il processo di “product awareness? Nota del redattore: il brand awareness identifica il grado di conoscenza della marca da parte del pubblico. Il product awareness invece è il grado di conoscenza che i consumatori hanno di un dato prodotto. Lo step che precede l’acquisto è infatti la conoscenza dell’esistenza di quel prodotto. Informazioni che riguardano la funzione, i benefici, la qualità, il prezzo, le modalità d’uso sono tutte importanti per creare una consapevolezza nel consumatore e di conseguenza, per incentivare un acquisto.
Sì è vero. Mentre in paesi come la Gran Bretagna si parla di “brand awareness”, in Italia siamo in fase di “product awareness”. Creare consapevolezza su questi tipi di prodotto è fondamentale per farli entrare nelle abitudini di consumo e conferirgli anche, in ultima analisi, il valore collettivo che hanno nelle loro caratteristiche fondanti: sono prodotti salutari, che rispettano i principi di un’etichettatura corta e trasparente, sono etici in quanto eliminano totalmente lo sfruttamento animale e rispondono concretamente ad un problema di impatto ambientale della filiera alimentare.
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Torniamo proprio al lancio in Esselunga: i prodotti della linea sono reperibili presso i punti vendita in tutta Italia? C’è un prezzo consigliato?
In una selezione di punti vendita. Inoltre in questo momento è in corso un’ offerta lancio ad un prezzo molto contenuto inferiore ai tre euro. Siamo molto fiduciosi: in genere chi assaggia i nostri prodotti, li riacquista nuovamente e si affeziona al marchio.
La forza del marchio Food Evolution risiede in primis nel posizionamento: avete creato tre prodotti che si collocano in uno spazio totalmente nuovo. Qual è la leva su cui avete puntato maggiormente?
Ci siamo posizionati su un mercato di alta qualità: noi non volevamo fare un prodotto vegetale, volevamo fare la Maserati del prodotto vegano. Io con il mio ristorante (Country House Montali) vengo da un background di alta cucina e non mi interessava lanciare un prodotto standard con il rischio di rafforzare il tremendo stereotipo del vegano che mangia insipido. Noi volevamo una referenza di qualità; abbiamo scoperto questa tecnologia messa a punto dall’Università di Wageningen in Olanda. L’abbiamo implementata e ci siamo potuti permettere una qualità diversa da ciò che esiste al momento sul mercato. Questo è il nostro valore aggiunto: grazie alle nostre referenze possiamo offrire anche al consumatore non vegano un’esperienza di gusto interessante, che lo possa soddisfare garantendo un prodotto pulito che non arreca danno all’ambiente e agli animali.
Si tratta anche di prodotti ad alto contenuto tecnologico. Il ruolo della tecnologia è fondamentale per ottenere la texture e la masticabilità tipica delle referenze della linea…
Sì: il nostro impianto consente di mettere in atto un processo di estrusione. È come fare la pasta: un processo meccanico e termico ma con macchinari altamente tecnologici. Non utilizziamo coadiuvanti chimici: la lavorazione consente lo stiramento della cellula proteica in un filamento. Questo iter ci restituisce una texture molto interessante. Anche in questo risiede la grande differenza tra noi e chi produce i famosi burger: per fare un burger è sufficiente un macchinario tutto sommato poco complesso come una formatrice. Il nostro impianto invece è molto articolato: il risultato è che tutti possono ottenere un burger accettabilmente buono ma sono in pochissimi a lavorare su parametri come i nostri.
Guarda qui il processo di produzione: PRODUZIONE FOOD EVOLUTION: LA LAVORAZIONE
In termini di contributo attivo all’evoluzione della sostenibilità alimentare, quale pensa sia l’apporto dell’attività di Food Evolution?
Con i nostri prodotti noi offriamo un’alternativa positiva e propositiva anche in termini di sostenibilità ambientale oltre che etica. Con la nostra proposta vogliamo favorire un passo avanti del mercato. In questo momento storico avere un’alternativa al prodotto a base di carne è fondamentale: noi vogliamo essere parte del discorso. Per fortuna anche il mondo dei media in Italia sta cominciando a mostrare quanta sofferenza ci sia dietro al consumo animale; penso alle inchieste recenti di “Indovina chi viene a cena” o“Report”.Siamo un’azienda che opera su territorio italiano e produce per il mercato italiano: il nostro è un prodotto di gran lunga più sostenibile rispetto a referenze che arrivano da oltreoceano come il Beyond Meat: quanto costa quel prodotto all’ambiente?
Sostenere la produzione italiana è quanto mai importante in questo momento storico. Con la concorrenza dei sostituti della carne che arrivano dagli Stati Uniti, il made in Italy è ancora un valore aggiunto secondo Lei?
Assolutamente sì, senza dubbio. Noi imprenditori dobbiamo valorizzare il made in Italy e di contropartita, è necessario che gli italiani supportino le attività che lavorano per offrire questa tipologia di alternative e che operano nel territorio nazionale. In genere il problema nel nostro paese è che il comparto produttivo riesce ad immettere sul mercato prodotti eccellenti ma poi non riusciamo a fare sistema. A volte sfugge alla percezione generale che se le aziende lavorano bene e sono sane, sono in grado anche di creare occupazione, mettere in campo risorse per ricerca e sviluppo, progredire. Sosteniamo tutti l’economia italiana per far si che l’Italia possa esprimere la propria potenzialità e produrre referenze di alta qualità anche nell’ambito del consumo vegan. Le aziende come la mia quando entrano sul mercato si ritrovano a doversi confrontare con multinazionali come Nestlè, Unilever, Beyond Meat: società che valgono miliardi di euro e che puntano alla quantità più che sulla qualità il più delle volte. Il consumatore ha due opzioni: o mangiare le referenze di queste aziende che lavorano su parametri quantitativi oppure fare in modo che aziende più piccole che lavorano secondo principi etici e qualitativi, siano supportate e appoggiate. In questo senso ben vengano le insegne della gdo come Esselunga che danno un’opportunità a prodotti come quelli di Food Evolution di entrare nelle case degli italiani.
Un’ultima domanda: tempo fa aveva fatto molto discutere la proposta di Morten Toft Bech fondatore del marchio vegano The Meatless Farm Co. con sede nel Regno Unito, che aveva suggerito un cambio della dicitura con cui si identificano i banchi e le corsie della carne nei supermercati . Visto che gli analoghi della carne si collocano idealmente vicino ai prodotti a base animale rappresentandone un’alternativa, Morten Toft Bech ha ipotizzato un nuovo design delle corsie chiedendo che il “reparto carni” venisse ribattezzato “reparto proteine”. La strategia quindi parte da una questione meramente linguistica che diventa sostanziale nell’identificare il potenziale del prodotto vegetale. Cosa ne pensa?
Mi sembra un’ipotesi molto intelligente. Io suggerirei un minimo di divulgazione per creare una base a questi nuovi concetti: si deve assolutamente creare una consapevolezza. Bisogna far capire bene cosa sia un analogo della carne, cosa sia un’alternativa alla carne o al formaggio. È l’unico modo per dissolvere lo scetticismo che a volte aleggia sopra questa categoria di prodotti. In Italia è quanto mai necessario. Altrimenti il rischio è che magari chi mangia carne non prova l’analogo perché non ne comprende il valore, il vegano non lo approccia perché non è consapevole che il “sostituto” è in grado di sottrarre spazio alla carne e chi produce si trova a promuovere un prodotto che concettualmente è molto intelligente ed interessante senza trovare il giusto spazio nel mercato. Per evitare questo circolo, è necessario fare in primis un’operazione culturale.
Scopri di più sui prodotti:
FOOD EVOLUTION LINEA VEGETALOK
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