Allevamenti intensivi enormemente sovraffollati; centinaia di migliaia di litri di sostanze chimiche riversate nell’acqua per evitare la diffusione di malattie; pesci uccisi a martellate sulla testa. Questa è la realtà di molti allevamenti intensivi di salmone, raccontata in prima serata da “Le iene”, nel servizio “C’è salmone e salmone” di Matteo Viviani. Mettendo insieme le immagini fornite da diversi attivisti e associazioni animaliste, tra cui anche Animal Equality, l’inchiesta mostra le condizioni in cui i salmoni vengono allevati intensivamente, per far fronte all’enorme richiesta della loro carne, aumentata incredibilmente negli ultimi anni.
Gli allevamenti di questi animali sono concentrati principalmente in Svezia, Norvegia e Canada, che riforniscono gran parte dei mercati europei e non solo. Le situazioni documentate sono a dir poco allarmanti: i salmoni vivono in ambienti estremamente sovraffollati, tanto che l’attivista Don Staniford, dell’associazione Scottish Salmon Watch, spiega che in una vasca da 30 metri di diametro possono essere rinchiusi fino a 100.000 esemplari. Questo, ovviamente, crea condizioni di vita aberranti per i pesci, ma crea problemi anche a livello di sicurezza: un po’ come accade negli allevamenti intensivi “di terra”, il sovraffollamento favorisce la diffusione di malattie e parassiti; tra questi i pidocchi di mare, che mangiano letteralmente vivi i salmoni.
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Per scongiurare il diffondersi di agenti patogeni, si fa largo uso di antibiotici e sostanze chimiche direttamente nel mangime dei pesci e nelle vasche che li contengono. Questo rappresenta una minaccia non solo per gli ecosistemi, ma anche per la salute dei consumatori: le analisi di laboratorio condotte dal programma tv dimostrano che un campione di carne di salmone su cinque analizzati contiene quantità di sostanze chimiche superiori a quelle consentite dalla legge. Dal servizio scopriamo anche che esistono delle deroghe ai limiti massimi consentiti: due dei campioni analizzati sarebbero fuori legge, ma la loro commercializzazione è permessa grazie a una concessione dell’Unione Europea. Va sottolineato che solo uno dei laboratori contattati per le analisi ha acconsentito a divulgare i dati, chiedendo però di restare anonimo.
Allevamenti intensivi di salmone: un problema etico e ambientale
L’industria del pesce ha delle caratteristiche particolari: non solo la macellazione di questi animali non è regolamentata da nessuna legge specifica, ma la “diversità” dei pesci rispetto ai mammiferi rende le loro sofferenze meno evidenti, e forse meno gravi, agli occhi dei consumatori. Questo si traduce in pratiche di macellazione estremamente crudeli, che includono l’asfissia, la decapitazione e il congelamento con Co2. Nel servizio de “Le iene” si vede un operatore prendere ripetutamente a martellate i salmoni, per poi procedere a tagliare e strappargli le branchie. Il tutto, quando i pesci sono ancora vivi.
Il numero dei pesci che vengono macellati ogni anno nel mondo è talmente alto che, a differenza di altri animali, non viene misurato in base agli individui, ma calcolato in base al peso. Una mattanza incredibile, che porta questi animali a vivere una breve vita di stenti prima della morte (per macellazione o nell’allevamento, a causa di altri pesci o malattie). Nel caso specifico dei salmoni, la vita inattiva condotta nelle vasche, molto diversa da quella che condurrebbero in natura, li porta ad accumulare grasso, che inevitabilmente rende la loro carne meno salutare per i consumatori.
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Ma non è solo il grasso: la carne di pesci allevati in queste condizioni contiene spessissimo una quantità enorme di sostanze chimiche potenzialmente pericolose. A questo si aggiungono i coloranti artificiali, usati per rendere il colore della carne più rosso e, di conseguenza, migliore agli occhi dei consumatori. Molti pesci si ammalano comunque negli allevamenti intensivi, e questo è un potenziale pericolo per chi dovesse acquistare la loro carne. In più, non bisogna dimenticare che l’uso di queste sostanze, che finiscono per inquinare le acque, ha un impatto ambientale enorme sugli ecosistemi.
La scelta vegetale per cambiare la situazione
Se è vero che la richiesta di salmone è aumentata nel corso di due decenni, è altrettanto vero che nell’ultimo periodo si parla sempre più spesso di pesce vegetale e delle sue potenzialità sul mercato globale. Siamo di fronte a un trend in forte espansione, che vede piccole start up, ma anche grandi aziende del calibro di Impossible Foods e Nestlé, impegnate nella creazione di alternative vegetali ai prodotti ittici, specialmente tonno e salmone. Il motivo è legato sia al crescente interesse per l’alimentazione vegetariana e vegana, ma anche alla consapevolezza da parte dei consumatori dell’impatto ambientale che la pesca ha sugli ecosistemi marini, e della necessità di ridurre il consumo dei prodotti ittici.
Gli ingredienti più comuni in questi prodotti sono soia, alghe, lievito, legumi, vari oli vegetali e amidi. Anche se questo mercato sta crescendo più lentamente rispetto a quello della carne vegetale – per via della maggiore difficoltà di replicare gusto e consistenza dei prodotti ittici – gli esperti non hanno dubbi: il “pesce” cruelty-free raggiungerà presto livelli di popolarità vicini a quelli della fake meat. Per saperne di più: Pesce vegetale: un’alternativa destinata a diventare la nuova normalità
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Laura Di Cintio
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