L’esempio smuove ovunque!

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Donatella Malfitano, operatrice ONU e di altre organizzazioni internazionali, promotrice di vari progetti di salvataggio e protezione animale e ambientale in diversi Paesi e membro del comitato etico dell’Associazione Vegani Italiani Onlus, ci ha inviato il resoconto dell’esperienza vissuta in Papua Nuova Guinea. Durante il suo soggiorno nel paese, dopo un giro al mercato del pesce, ha […]

Donatella Malfitano, operatrice ONU e di altre organizzazioni internazionali, promotrice di vari progetti di salvataggio e protezione animale e ambientale in diversi Paesi e membro del comitato etico dell’Associazione Vegani Italiani Onlus, ci ha inviato il resoconto dell’esperienza vissuta in Papua Nuova Guinea.

Durante il suo soggiorno nel paese, dopo un giro al mercato del pesce, ha deciso di fare la cosa giusta in quel momento, ovvero liberare tre grandi tartarughe marine pescate per finire, forse, nel piatto di qualcuno. “Anche una goccia può smuovere” e l’entusiasmo col quale gli abitanti della zona hanno accolto il gesto è la dimostrazione che un esempio vale più di mille parole.
Guarda il video della liberazione:

” Papua Nuova Guinea, “The Land of unexpected”, ovvero “La terra dell’inaspettato”, una definizione che calza a pennello a questo paese incredibile.
A più di due giorni di viaggio dall’Italia, affacciata a Est dell’Australia, la Papua Nuova Guinea è una terra piena di sorprese e ricca davvero di tutto. L’inaspettato è di certo quanto hanno trovato e tuttora scoprono ricercatori, naturalisti e biologi. Nuove specie animali e vegetali vengono identificate, una ricchezza che probabilmente nemmeno gli abitanti sanno di possedere.
Un Paese al tempo stesso povero, che ha raggiunto l’indipendenza solo nel 1975 e che vanta il numero più alto al mondo di lingue (800!). Questo perché le varie e altrettante tribù sono rimaste a lungo isolate, mantenendo la propria lingua all’interno del proprio gruppo (tre sono tuttavia al giorno d’oggi le lingue ritenute ufficiali).
Port Moresby, la capitale, è un cantiere in continua attività, con costruzioni nuovissime che svettano sul mare, un contrasto ingiustificato con la povertà circostante, soprattutto nei “settlements”, i cosiddetti insediamenti, per lo più di gente proveniente da altre regioni, disoccupate e in condizioni di indigenza. Insediamenti e povertà che però costituiscono il 60% della capitale.
Port Moresby è considerata una delle capitali più pericolose al mondo. Una fama, a mio avviso un po’ esagerata – forse perché solitamente mi trovo a lavorare in posti ben più pericolosi, in zone di conflitto o parecchio instabili – e quindi in questi mesi in cui mi ci trovo per una nuova missione, soffro particolarmente la “reclusione” che ne consegue. Soprattutto, come donna e straniera, mi è sconsigliato passeggiare da sola, senza essere accompagnata, e possibilmente da un uomo.

Una domenica mattina riesco finalmente ad uscire e con due miei colleghi e, camminando lungo la spiaggia di Ela, arriviamo fino a mercato del pesce di Koki. Il mercato è un pullulare di gente e di pesce. Pesci di ogni tipo, anche quelli, coloratissimi, che in genere si osservano e ammirano più durante uno snorkeling, piuttosto che nel piatto. Trovo la quantità di pesce presente sui banconi e ancora moribonda esagerata rispetto al numero di persone che entro la fine della giornata potenzialmente potrebbe comprarlo. Eppure pare che ogni giorno lo scenario sia lo stesso.
All’entrata noto però 3 tartarughe marine. Le poverette sono tenute a testa in giù, ribaltate, sul carapace, perché così non possano scappare. Mi fermo. Chiedo al commerciante a quanto le venda e per quale finalità. Il prezzo che mi viene dato è (ovviamente) tre volte superiore a quello normale e mi viene detto che le tartarughe vengono vendute per la loro carne. Non un cibo “primario” e a un prezzo, anche quello “normale,” non accessibile a tutti.

Istruzione e informazione riguardanti la conservazione di certe specie manca (carapaci di tartarughe marine vengono venduti ovunque, anche lì, al mercato di Koki, a qualche metro dalle tartarughe ancora vive ) e, come avviene in molti paesi poveri, la maggior parte dei commercianti guarda prima al guadagno.
In questo momento però quelle povere tartarughe non solo stanno visibilmente soffrendo ma morirebbero entro non molto, che vengano vendute o meno.
I miei colleghi vogliono rientrare, non sentendosi sicuri in un posto così affollato e imprevedibile, e neppure la mia richiesta sussurrata a uno di loro di potermi riaccompagnare per poter intervenire sortisce una risposta positiva. Ma io ho già deciso. Rientrata in hotel mi siedo 5 minuti sul letto e penso rapidamente a cosa fare. Sento forte la responsabilità, anche perché io posso fare qualcosa, posso scegliere e decidere. Chiedo a un impiegato alla reception quale sia il prezzo normale di una tartaruga marina , prelevo un po’ di soldi, chiedo di chiamarmi un taxi (specificando che l’autista possa rimanere con me visto che non è consigliabile muoversi da soli, tanto meno come straniera, e ancor meno per l’operazione che ho in mente: in sostanza, se ad un certo punto devo scappare via, almeno ho un’auto che mi aspetta!) e ritorno al mercato.

Sono cosciente del fatto che questo non sia il modo di contrastare un simile commercio e una simile pratica ma in questo momento non c’è né spazio né tempo per tali ragionamenti. Purtroppo mi sono ritrovata spesso in simili circostanze in molti altri Paesi e quello che si deve fare è ragionare e agire in fretta, soprattutto se si ha a che fare con la vita.
Ricerco il commerciante e, dopo aver tentato di spiegargli in termini molto semplici i motivi per cui la cattura e la vendita di quegli esseri non sia una cosa “buona”, inizio le contrattazioni. Aiutata da qualche persona che, incuriosita, nel frattempo si è unita alla scena, diminuiamo notevolmente il prezzo ed espongo le mie condizioni: comprerò le tartarughe ma a patto che vengano liberate in acqua, e non me andrò fino a quando non le abbia viste nuotare via e non sia certa che nessuno esca in barca per ricatturarle. Potrei rischiare una reazione più che scocciata (anche se sono piuttosto confidente sulle mie capacità di persuasione e comunicazione, ormai “testate” in altre simili occasioni), invece mi accorgo che qualcosa di straordinario sta avvenendo: la gente attorno a me è aumentata, tutti ascoltano interessati, annuiscono e appoggiano la mia causa (e soprattutto quella delle 3 sventurate).

Nessuna contrarietà, nessuna alterazione o fastidio per questa straniera che si presenta con una tale richiesta a favore di tre animali. Alcuni si prestano a tradurre, dall’inglese al tok pisin (una delle lingue ufficiali), altri cercano di convincere il commerciante ad accettare, altri ancora ammettono che le povere tartarughe stanno soffrendo e che sia giusto liberarle. Alla fine l’accordo è raggiunto. In diversi si offrono di trasportare le tartarughe.
L”operazione salvataggio” assume in breve connotati entusiastici. La “manipolazione” e il trasporto tuttavia non sono né delicati né attenti e, nel mezzo della folla, non riesco ad evitarlo, ma l’importante è che venga loro ridata la libertà. Le poverette vengono lanciate in acqua dal pontile infondo al mercato, e ad ogni splash stringo i denti temendo per l’impatto. L’ultima è quella di dimensioni più grandi. Le vedo nuotare via, libere, rinate.
Poco dopo, tanti bambini si tuffano in acqua, quasi a festeggiare. Però non è finita. Mi metto in disparte con il commerciante e poche altre persone. La transazione ora può essere finalizzata (la vita di 3 esseri viventi vale qualche centinaio di Kina…) ma soprattutto voglio spiegargli ancora una volta e ancora con parole semplici il perché di quanto appena fatto. Spiego che quelle creature sono esseri delicati, “sentono” e provano la nostra stessa sofferenza e che tanta gente viene in questo paese straordinario anche e soprattutto per la ricchezza della biodiversità, che deve essere protetta. Come tali, le tartarughe marine non si devono catturare e uccidere (anche se non sono certa quale sia la legislazione in Papua Nuova Guinea sulla conservazione della fauna marina…).

Non è facile parlare in questi termini e ogni volta cerco di trovare l’argomento più semplice ma vero e convincente, ma tutti, invece, sembrano ascoltare. Chiedo al commerciante se abbia un’altra fonte di sostentamento. Mi risponde di vendere pesce. Altre persone intorno, ormai risucchiate dalla causa tartarughe, lo incitano allora a “dedicarsi solo a quello e a lasciare stare le tartarughe marine”, al tempo stesso chiedendo la mia approvazione, e chiedendomi se questo vada bene (e io mi dico “un passo alla volta”, pur spiegando che io non mangio nessun animale…). Alla fine mi rivelano di imbattersi a volte, in un uomo che, come me, quando passa per il mercato e vede tartarughe marine in vendita, le compra e poi va a liberarle. E lo vedono piangere.
Tuttavia il fatto che qualcuno acquisti gli animali per liberarli non dovrà attivare un nuovo business, su questo sono chiara e ferma. Non so quanto varrà la promessa fatta dal commerciante (anche se mi verrà detto che nelle settimane successive, al mercato non saranno viste tartarughe in vendita), ma so quanto è valso l’esempio.
Il mio tassista è entusiasta. Non ha mai assistito a nulla del genere, dice, è fiero di averne preso parte e, quasi animato da un improvviso fervore, si lancia in discorsi ambientalistici, dal quanto bisognerebbe combattere la deforestazione nel Paese al proteggere gli animali come fatto oggi. Tutto il mercato ne parlerà, mi anticipa, la notizia si diffonderà rapidamente (e difatti, qualche giorno dopo, l’unica organizzazione per la difesa degli animali presente nel Paese – RSPCA – mi contatta per chiedermi di poter condividere la storia e la documentazione filmata).
Uno dei miei colleghi, quando lo verrà a sapere, rimarrà allibito. Non pensavo l’avresti fatto, mi dice, confessandomi che quel gesto era riuscito a smuovere anche il suo cinismo e ora avrebbe seriamente ripensato al fatto che fare qualcosa è meglio che non farla, soprattutto quando si tratta di salvare un essere vivente. Anche una goccia può smuovere, ripeto, ripensando alla reazione della gente al mercato. Ecco l'”inaspettato”.
Perché un esempio vale più di molte parole. E instilla un pensiero. Anche se non è facile, soprattutto laddove la gente pensa al sostentamento quotidiano. Ma, soprattutto, tre vite sono state salvate. E questo, di certo, ha fatto la differenza.
Donatella Malfitano”
www.assovegan.it
 

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2 commenti su “L’esempio smuove ovunque!”

  • Raffaello Paiella

    dice:

    Complimenti sinceri Donatella per il tuo coraggio e la tua sensibilità. .da artista!

  • Una nobile e bella azione che condivido. L’esempio sicuramente avrà un seguito nella coscienza di qualcuno. Grazie Donatella

I commenti sono chiusi.