In India il cigolare di una pompa a mano e l’acciottolio di un recipiente metallico sono rumori abbastanza comuni, quando le donne e i bambini si raccolgono attorno alle pompe d’acqua collettive per il loro bisogno giornaliero della risorsa più preziosa al mondo.
Ma nelle case popolari attorno alla fabbrica di pesticidi Union Carbide, a Bhopal, il confortante cigolio nasconde un’insidiosa minaccia.
L’acqua delle pompe è infatti inquinata da un mortale miscuglio di veleni venuti in contatto con l’acqua sotterranea da rifiuti tossici scaricati abusivamente dalla Union Carbide nel loro edificio industriale attualmente abbandonato.
In uno dei molti crudeli risvolti del destino di cui il disastro ambientale causato nel 1984 dalla Union Carbide e le sue conseguenze sono pieni, quest’acqua è ora utilizzata proprio da quelle famiglie che furono così sventurate da sopravvivere alla nube di gas tossico soffrendone i suoi effetti insalubri.
Shamshad Begum sa che i pozzi nella sua comunità sono avvelenati. Ma senza un’alternativa lei e i suoi vicini sono costretti ad usare l’acqua contaminata. Shamshad è stata esposta alla nube tossica e da allora soffre di problemi respiratori e di svenimenti.
Noor Jehan, figlia di Shamshad, ha 4 anni e non era ancora nata quando il 3 dicembre 1984 la nube tossica sprigionatasi dalla Union Carbide uccise migliaia di persone.
A causa dei suoi cronici problemi respiratori, tuttavia, Noor è cresciuta con una dolorosa consapevolezza del ruolo della Union Carbide nella sua vita. In un certo senso, si può dire che questa bambina di quattro anni ha premuto il bottone che ha inviato il primo gruppo di petizioni alla Union Carbide e al Governo dell’India.
Il fratello e la nonna di Noor Jehan furono entrambi uccisi il 3 dicembre quando la nube tossica si sprigionò dalla fabbrica di pesticidi Union Carbide e cadde sui vicoli tra le case popolari che circondavano la fabbrica. Tabassum, la sorella, che aveva 6 mesi all’epoca dei fatti, ora soffre di cronici problemi cardiaci, palpitazioni e problemi dermatologici.
Con voce rabbiosa, Shamshad ricorda il terrore che pervase Bhopal quella mattina, il convulso viaggio all’ospedale con il figlio e la suocera, le pile di corpi nell’edificio dell’ospedale, e il funerale quella stessa sera, in una tomba dove furono seppelliti tre corpi insieme.
La Union Carbide vorrebbe dimenticare la sua tossica eredità lasciata a Bhopal. Ma per le vittime la ferita si riapre ad ogni visita all’ospedale o con ogni bicchiere di acqua contaminata che puzza di sostanze chimiche.
Le richieste delle persone sono rimaste le stesse: acqua potabile per le persone che vivono nelle vicinanza dell’edificio della fabbrica, bonifica del sito della fabbrica stessa, giustizia, perché per quanto la Union Carbide voglia continuare normalmente con i suoi affari le richieste delle 500.000 persone che ancora soffrono per colpa sua continueranno a tormentare la compagnia e i suoi nuovi proprietari finché non sarà fatta giustizia.
Fino a quando queste richieste non saranno state soddisfatte, le pompe a mano continueranno a cigolare… e la lotta continuerà.
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