Liscia, gassata o in caraffa

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Acqua liscia o gassata. E poi c\’è quella in caraffa. Adesso nei ristoranti, l\’acqua ci viene servita anche così. Non più solo nella bottiglia con l\’etichetta, ma sempre più spesso nella brocca con decorazioni varie. Non c\’è dubbio che abbia un suo fascino. Fa molto trattoria ruspante, accentua il sapore rustico. Ma non sempre è […]

Acqua liscia o gassata. E poi c\’è quella in caraffa. Adesso nei ristoranti, l\’acqua ci viene servita anche così. Non più solo nella bottiglia con l\’etichetta, ma sempre più spesso nella brocca con decorazioni varie.

Non c\’è dubbio che abbia un suo fascino. Fa molto trattoria ruspante, accentua il sapore rustico. Ma non sempre è possibile capire cosa contiene. Quando il cameriere non ci dà spiegazioni esaurienti e il menu non ce la racconta giusta, quel liquido portato in tavola diventa una specie di oggetto misterioso. Soprattutto se al palato ricorda il gusto della minerale. «Finché ci viene presentata come acqua da tavola poco male, sappiamo che viene dal rubinetto, possiamo immaginare che sia stata filtrata», spiega Emanuele Piccari dell\’Unione consumatori, «ma i veri dubbi vengono quando quella stessa caraffa ci viene fatta pagare tre o quattro euro».

Le associazioni dei consumatori hanno fatto battaglie contro la cattiva abitudine di spacciare per acqua minerale la semplice apertura del rubinetto. Ma da quando sono entrati in scena i cosiddetti \”addolcitori\” la guerra si è fatta più aspra. Si tratta di sistemi di filtrazione che con l\’aiuto di una macchinetta che aggiunge anidride carbonica riescono a produrre acqua frizzante. In alcuni locali l\’acqua così ottenuta viene convogliata verso la spina assieme alla birra e alle bevande gassate. L\’apparecchiatura di solito viene installata in \”comodato d\’uso\”: un contatore registra i litri erogati, e poi si paga in base all\’acqua prodotta. Per i ristoratori è un bel guadagno. Si evita di portare centinaia di bottiglie di qua e di là, non si corre il rischio di rimanerne senza, e soprattutto si liberano spazi in magazzino.

Il fatto è che l\’uso negli esercizi pubblici di questi \”miglioratori\” non è stato esplicitamente disciplinato da alcun decreto ministeriale. «La legge parla solo di uso domestico», spiega Ettore Fortuna presidente di Mineracqua, l\’associazione di produttori di acqua minerale in Confindustria. «Se questa apparecchiatura viene utilizzata su scala molto maggiore chi va a verificare se questi filtri lavorano correttamente? Se questa apparecchiatura è stata tarata per migliorare l\’acqua in casa si presume che tratti quantità di 10-30 litri al giorno. Quando va in un ristorante di litri invece ne fa 600-1.000. E potrebbero esserci problemi igienico sanitari. Occorrono controlli adeguati».

Attraverso un esposto denuncia, Mineracqua ha espresso le sue perplessità anche ai magistrati di due procure della Repubblica. A Torino Raffaele Guariniello ha aperto un procedimento contro ignoti per «commercializzazione di sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica». A Roma sono stati emessi due decreti penali contro altrettanti ristoranti della capitale che vendevano acqua in caraffa come minerale.

«I dépliant delle industrie produttrici di questi filtri», spiega Giovanni Saracco, per 40 anni professore di Chimica industriale al politecnico di Torino, «dicono che con questi procedimenti si possa ottenere acqua oligominerale. Non è sbagliato dal punto di vista fisico. È vero che è poco mineralizzata con basso contenuto salino, quasi priva di sodio. È vero che è leggera. Ma non è minerale, presa dalla sorgente insomma. Si sfrutta un\’accezione del termine che ingenera confusioni di termini».

«Le vendite degli impianti di filtrazione hanno avuto un incremento delle vendite negli ultimi cinque anni del 100 per cento», ammette Gaetano Visciano chimico e titolare della EcoTech di Teramo. «Io dico sempre ai miei clienti che devono venderla specificando che si tratta di acqua depurata di rubinetto e non di \”oligominerale\”. Purtroppo ci sono persone che fanno un cattivo utilizzo di questi impianti e a rimetterci sono i consumatori. Se un ristorante vende tra i 600 e i 1.000 litri al giorno, è chiaro che i filtri del suo impianto andrebbero cambiati una volta alla settimana. Ci sono ristoratori invece che i filtri li sostituiscono ogni due mesi».

«L\’acqua affinata non va criminalizzata», sostiene il fisiopatologo bolognese Alessandro Zanasi, membro dell\’Accademia internazionale dell\’acqua. «Se la manutenzione è frequente e i filtri vengono puliti spesso, il prodotto è anche migliore di quella del rubinetto. Ma occorrono verifiche sanitarie. La bottiglia della minerale è molto controllata, della caraffa invece sappiamo poco: se viene sterilizzata, come viene maneggiata da chi la serve al cliente».

I produttori ribadiscono che quella alla spina è acqua di qualità, salutare e controllata. Resta però il problema della trasparenza. Un\’etichetta anche sulla caraffa e una legge più limpida aiuterebbero a fare chiarezza.

Articolo di Gianni Bianco e David Pierluigi

Tratto da: www.espressonline.it

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