Qual è la frase che le persone non vegane utilizzano più spesso per giustificare il proprio consumo di carne? E perché proprio “tanto ne mangio pochissima”? Soprattutto con il rendersi sempre più evidente del cambiamento climatico, molte sono le persone onnivore che parlano della propria alimentazione sostenendo di mangiare meno carne, avendone ridotto drasticamente il consumo. Le intenzioni di chi lo fa sono senz’altro le migliori, e non è il nostro obiettivo fare un processo al singolo, ma la messa in atto di questo ragionamento comporta non pochi aspetti problematici.
Cambiare il modello produttivo, non ridurne il consumo
Il principale problema della produzione di carne è la produzione di carne: quello che va rivisto e ribaltato è proprio il principio, la radice, non la quantità che il singolo ne acquista e consuma. Il problema è fondamentalmente di tipo sistemico, e non riguarda le scelte del singolo individuo bensì la percezione diffusa degli animali non umani come esseri non senzienti e incapaci di provare dolore, sottomessi alla specie umana, mercificati e disponibili in qualsiasi momento si decida di consumare carne.
Quali dati per dimostrarlo?
Non esistono dati chiari a dimostrazione del fatto che ridurre il consumo di carne sia un fattore sufficiente né per quanto riguarda la crisi climatica né per quanto riguarda la questione ambientale. O meglio, è piuttosto ovvio che meno carne si consuma meglio è, ma non lo è altrettanto il fatto che, in questo modo, si continua a sfruttare il corpo dell’animale e si perpetua un antropocentrismo dettato dai capricci degli esseri umani abituati a mangiare carne. Gli studi che indicano in quale percentuale la propria dieta dovrebbe essere di origine vegetale o quanti kg di carne all’anno sia concesso consumare, inoltre, lasciano un po’ il tempo che trovano: chi misura davvero quanta carne mangia, anche e soprattutto considerato come i prodotti animali vengano usati come ingredienti in moltissimi cibi, compreso, per esempio, il pane?
Anche ammesso che tutti riducessero il consumo di carne, inoltre, la carne continuerebbe a essere richiesta, gli animali verrebbero ancora sfruttati, gli allevamenti intensivi non smetterebbero di aggravare il cambiamento climatico: mangiare meno carne non risolve i problemi. Inoltre, “meno carne” senza specifiche consapevolezze significa molto probabilmente “più uova e formaggi” per compensare: questo fa la differenza sulla vita dell’animale solo fino a un certo punto, perché è comunque sottomesso alla logica del consumo dei suoi prodotti e condannato a una vita da schiavo.
Secondo uno studio dell’anno scorso condotto dal Professor Michael Eisen e dal professor Patrick Brown pubblicato sulla rivista PLOS Climate, invece, eliminare del tutto gli allevamenti ridurrebbe le emissioni di gas serra del 68%, contribuendo in questo modo a salvare il pianeta. Gli spazi occupati dagli allevamenti andrebbero inoltre restituiti alla vegetazione nativa, che sarebbe in grado di catturare l’anidride carbonica presente nell’atmosfera.
Quali soluzioni?
Il modo migliore per smettere di consumare carne è non mangiare carne, senza se e senza ma. Tuttavia questo non basta ancora. Serve una rivoluzione della mentalità che porti le masse a richiedere ai governi scelte politiche contrarie alla produzione di carne e alla capitalizzazione dei corpi degli animali, servono testate mediatiche che non indorino la pillola giustificando la violenza sugli animali con teorie sull’impatto sui nostri corpi della riduzione del consumo di carne in termini di salute e benessere, serve una massa critica che richieda a gran voce la liberazione degli animali che da soli non si possono liberare.
Una liberazione vera, non a rate e non on demand.
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