Meat sounding: il Parlamento Europeo chiamato a votare il 20 ottobre, scatta la campagna “Stop the veggie burger ban”

Si torna a parlare di meat sounding e della possibilità di bandire dalle etichette dei prodotti plant-based diciture come "bistecca" o "salsiccia". Una posizione sostenuta dalle organizzazioni europee del settore zootecnico, ma che trova opposizione da parte di realtà che lavorano per la diffusione di un tipo di alimentazione più consapevole.

Martedì 20 ottobre il Parlamento Europeo sarà chiamato a votare sulla questione del meat sounding, ovvero l’uso per prodotti vegani di termini legati alla produzione di carne, come “salsiccia”, “hamburger” o “bistecca” in etichetta. In più, il divieto potrebbe estendersi anche a prodotti alternativi ai latticini, come yogurt, burri o formaggi plant-based. Si tratterebbe ovviamente di un divieto dal punto di vista commerciale, che niente ha a che vedere con l’uso quotidiano di termini come “hamburger vegano” o “bistecca di soia” o “yogurt vegan”. Una questione già affrontata più volte a livello europeo e che sarebbe legata alla volontà di evitare di generare confusione tra i consumatori.

In ballo c’è l’approvazione di due emendamenti:

  • l’emendamento 165, che porterebbe a riservare denominazioni come “bistecca”, “salsiccia” o “burger” solo ai prodotti che contengono carne, vietandone l’impiego per descrivere le alternative vegetariane e vegane.
  • l’emendamento 171, porterebbe la tutela dei prodotti lattiero-caseari a un livello superiore. Già ora, infatti, è vietato l’uso in etichetta di termini come “latte”, “formaggio”, “yogurt”, “burro” per le alternative vegetali. Con l’approvazione di questo emendamento si vieterebbe l’uso di queste denominazioni anche nelle comunicazioni commerciali destinate agli alimenti di origine vegetale, ma anche denominazioni considerate proprie dei prodotti lattiero-caseari, come ad esempio la parola “cremoso”.

A promuovere questa iniziativa sono le organizzazioni europee del settore zootecnico, che parlano di “abuso delle denominazioni della carne” in una campagna denominata “ceci n’est pas un steak” (questa non è una bistecca). Jean-Pierre Fleury, presidente del gruppo di lavoro “Carni bovine” del Copa e della Cogeca, ha commentato il lancio dell’iniziativa: “Non ho paura di dire che questo è un caso evidente di dirottamento culturale. Alcune agenzie di marketing lo utilizzano per confondere deliberatamente i consumatori promuovendo l’idea che la sostituzione di un prodotto con un altro non abbia conseguenze dal punto di vista dell’apporto nutrizionale. Nonostante ci siano anche buone intenzioni, a lungo termine questo approcci aprirà la strada all’emergenza di altre denominazioni che possono provocare confusione. Si sta per creare un mondo nuovo surrealista in cui il marketing è disconnesso dalla vera natura dei prodotti, con il pericolo di perdere il controllo!

Nel manifesto della campagna, le organizzazioni europee sottolineano che gli agricoltori hanno tutto l’interesse a produrre proteine sia vegetali che animali e non sono contrari alla produzione di proteine vegetali per prodotti vegani. Quello che contestano, a quanto pare, è l’approccio che le aziende che producono alimenti vegetali sostitutivi hanno rispetto al marketing: “Il settore dei prodotti di origine vegetale dovrebbe essere più creativo. Invece di investire nelle attività di lobbying, queste aziende dovrebbero lavorare su nuovi concetti di marketing, per ottenere il riconoscimento dei consumatori e risolvere il paradosso fondamentale dell’industria delle imitazioni vegetali. Un’industria che si sforza di diventare di tendenza non ha bisogno di costruire il proprio successo servendosi di un marketing
incentrato su prodotti pre-esistenti e sulla lotta a questi ultimi!

“Stop the veggie burger ban”

Il punto è che ci sono diverse associazioni che credono invece che l’impiego di un certo tipo di denominazioni per i prodotti vegetali non rappresenti un inganno per i consumatori; al contrario, si tratta di informazioni utili non solo a inquadrare l’origine del prodotto, ma anche il suo gusto e il suo impiego in cucina. L’iniziativa “Stop the veggie burger ban” è stata creata dalla European Alliance for Plant-based Foods (EAPF), che ha l’obiettivo di facilitare a livello globale la transizione verso un’alimentazione vegetale. In Italia è l’associazione animalista Essere Animali a portare avanti la campagna, con l’intento di evitare l’approvazione di questi emendamenti. Anche alcune aziende italiane che producono alternative plant-based si sono unite all’iniziativa: tra queste anche la Joy Food Srl, che con la linea Food Evolution propone tre tipologie di prodotti conformi allo standard VEGETALOK.

Chiediamo ai membri del Parlamento europeo di votare contro queste assurde restrizioni, il cui unico effetto sarebbe quello di ostacolare lo sviluppo e il consumo di alimenti a base vegetale, in forte contraddizione con gli stessi obiettivi dichiarati nel Green Deal europeo, il programma per rendere sostenibile l’economia dell’Unione europea e nella strategia Farm to Fork, la quale afferma esplicitamente la necessità di responsabilizzare i consumatori verso una dieta a base vegetale, per consentire scelte alimentari più sane e sostenibili”, afferma Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere Animali.

Noi come Osservatorio non possiamo che appoggiare questa posizione, che risulta l’unica sensata e condivisibile. Pensare inoltre che un consumatore al supermercato possa essere fuorviato da diciture come “bistecche di soia” o “burger vegano” è poco meno di un insulto nei confronti dell’intelligenza di chi acquista e con le sue scelte sposta il mercato in una determinata direzione. Più che un errore di acquisto indotto da una dicitura considerata “fuorviante”, ci aspettiamo che il consumatore sia incuriosito dall’alternativa vegetale e che, ben conscio di quello sta mettendo nel carrello, provi un prodotto diverso. E forse è proprio questo il problema.

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