Meat sounding: la Francia torna sulla questione e dice “no” a bistecche, salsicce e cotolette vegetali

Con un decreto legge approvato a maggio, il Governo francese torna sulla questione del "meat sounding" e proibisce "l'uso di nomi usati per designare alimenti di origine animale, per descrivere, commercializzare e promuovere alimenti contenenti proteine ​​vegetali".

Si torna a parlare di “meat sounding” e questa volta in Francia: lo scorso 27 maggio il Governo d’oltralpe ha approvato il disegno di legge sulla “trasparenza delle informazioni sui prodotti agricoli e alimentari”, che rafforza tutte le disposizioni in vigore relative alla trasparenza e all’informazione per il consumatore. In particolare, l’articolo 5

proibisce l’uso di nomi usati per designare alimenti di origine animale, per descrivere, commercializzare e promuovere alimenti contenenti proteine ​​vegetali, oltre una soglia che sarà fissata con decreto. Questo decreto definisce inoltre le modalità di applicazione del presente articolo e le sanzioni in caso di non conformità”.

Ancora una volta una mossa apparentemente pensata per tutelare gli interessi dei consumatori: l’emendamento è infatti dichiaratamente inteso a vietare “pratiche commerciali ingannevoli” che associano termini come “steak” (bistecca), “saucisse” (salsiccia) ed “escalope” (cotoletta) a prodotti di origine vegetale. Un argomento di cui si discute da tempo in tutta Europa, dando per scontato che i consumatori non solo si lascino facilmente fuorviare da diciture come “cotoletta di tofu” o “bistecche di soia”, ma che siano anche in difficoltà nella lettura degli ingredienti di un determinato prodotto evidentemente di origine vegetale. Eppure la legge parla chiaro: fin dal 1990 la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che il consumatore medio è “normalmente informato e ragionevolmente attento e prudente“, il che significa che per applicare questo decreto è necessario trovarsi di fronte a una vera e propria truffa ai danni dei consumatori.

Cosa che, secondo associazioni come L’Unione Vegetariana Europea (EVU) e l’Associazione Végétarienne de France (AVF) – che sostengono e promuovono l’alimentazione plant-based in Europa e che sono intervenute sull’argomento – in questo caso non si è verificata. L’impiego di denominazioni come “hamburger” o “cotoletta” per definire alimenti vegetali è cosa comune ormai da diversi anni sul suolo europeo, ma finora non sono noti casi di reclami da parte di associazioni che tutelano gli interessi dei consumatori, “truffati” da questo espediente. Sono le prove fornite dagli stessi Stati membri dell’Unione a suggerirlo: per esempio, uno studio condotto dalla Federazione delle organizzazioni dei consumatori tedesche (VZVB), ha affermato che solo il 4% dei consumatori tedeschi ha mai acquistato involontariamente un prodotto plant-based al posto di uno di derivazione animale.

Inoltre, come sottolineano queste associazioni, cambiare nomenclature già note con altre alternative (per esempio “dischi” al posto di “hamburger”) potrebbe generare confusione, senza fornire ulteriore chiarezza per i consumatori che si apprestano all’acquisto. Per questo motivo, entrambe le associazioni esortano “la Francia e la Commissione Europea a riconsiderare questa legge, tenendo conto che sia da escludere l’inganno ai danni dei consumatori. Inoltre, Inoltre, l’approvazione della legge ostacolerebbe le attività economiche creando il pericolo di una nuova etichettatura, per la quale si dovrebbero stabilire denominazioni di vendita sconosciute e potenzialmente incomprensibili“.

“Meat sounding”: facciamo chiarezza

Come già detto, quella del “meat sounding” è una questione ampiamente discussa in Europa: la denominazione “carne” è disciplinata dall’allegato 1 del reg 853, che la definisce “tutte le parti commestibili degli animali di cui ai punti da 1.2 a 1.8, compreso il sangue”. I prodotti carnei, in Italia, sono tutelati dal Decreto Ministeriale 21 settembre 2005, che riserva alcune specifiche denominazioni ad alcuni specifici alimenti: “salame”, “prosciutto cotto”, “prosciutto crudo”, ma non esiste nessuna violazione di norme nazionali né europee se si commercializza un prodotto come “bistecca di tofu” o “scaloppine di soia”.

Anche nel nostro Paese la questione è aperta e ha generato nel tempo non pochi dibattiti. Gli Europarlamentari Paolo De Castro (PD) e Giovanni La Via (FI) nel 2017 hanno presentato un’ interrogazione che sosteneva che nel commercio dei prodotti vegani “pur non violando le regole, si riscontrano pratiche tese a promuovere la vendita di prodotti che si avvantaggiano di denominazioni chiaramente riferibili a prodotti a base di carne”, chiedendo alla Commissione di “predisporre una normativa in grado di salvaguardare determinate denominazioni riferibili a prodotti a base di carne, come peraltro avviene per i prodotti lattiero-caseari”.

La questione si risolse in un nulla di fatto, poiché la Commissione ritenne le regole vigenti sufficienti per tutelare i consumatori. “Ciò nonostante – ha spiegato laDott.ssa Paola Cane, consulente aziendale, esperta di compliance attività produttive e commerciali – il tema è piuttosto “gettonato” a Bruxelles, anche se forse è necessario chiarire ulteriormente che non esiste un “vuoto legislativo” e che, ad oggi, l’uso di denominazioni che richiamano le carni è disciplinato con precisione e, nei limiti dell’osservanza di tali norme, è legittimo”.

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