Le emissioni inquinanti legate al sistema alimentare globale potrebbero mandare a monte gli obiettivi stabiliti nel 2015 con l’accordo di Parigi sul clima. Ad affermarlo è uno studio pubblicato di recente sulla rivista Science, e realizzato da un team di ricerca dell’Università di Oxford. L’accordo di Parigi è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante con lo scopo di contrastare i cambiamenti climatici, in particolare limitando il riscaldamento medio globale ben al di sotto dei 2ºC rispetto al periodo preindustriale e proseguendo con gli sforzi per mantenerlo a 1,5ºC.
Gli esperti concordano nell’affermare che per raggiungere questi obiettivi è necessario ridurre rapidamente e in maniera sensibile l’emissione di gas serra, il che finora si è tradotto nel tentativo di ridurre le emissioni legate alla produzione di energia elettrica, ai trasporti e all’industria. Il punto, però, è tutto questo non basta: secondo gli esperti “l’eliminazione di tutte le emissioni di questi settori non sarebbe comunque sufficiente per raggiungere gli obiettivi stabiliti con l’accordo di Parigi. Il sistema alimentare globale è una delle principali fonti di emissioni di gas serra, circa il 30% del totale globale“.
Nonostante questo, è ancora poca l’attenzione riservata al legame che il cambiamento climatico ha con la produzione alimentare, i cui numeri in termini di emissioni sono impressionanti: si calcola che, ogni anno, la produzione di cibo a livello globale porti a immettere nell’atmosfera 16 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Il problema riguarda tutta la filiera produttiva, partendo dalla deforestazione e dall’uso di fertilizzanti chimici, fino ad arrivare alle emissioni di metano derivanti dagli animali negli allevamenti.
Perfino l’ipotesi di un pianeta totalmente “green”, nel quale però il sistema alimentare rimanga invariato, porterebbe a risultati catastrofici: secondo gli esperti, infatti, il sistema alimentare da solo produrrebbe abbastanza gas dannosi tanto che il pianeta (quello ipotetico senza altre emissioni provenienti da altre fonti) probabilmente si riscalderebbe al di sopra dell’obiettivo di 1,5 °C tra il 2051 e il 2063. Ma non è tutto, perché al di là della fantasia c’è un dato molto concreto: se le attuali tendenze alimentari dovessero continuare, le emissioni di gas serra legate alla produzione di cibo supererebbero l’obiettivo di 1,5 gradi entro 30-45 anni.
La soluzione è un’alimentazione a base vegetale
Ancora una volta, la riflessione su questo tema porta a mettere in discussione il nostro sistema alimentare, e soprattutto a mettere in campo la necessità di un cambiamento nelle abitudini alimentari a livello globale. Non a caso, nel documento tra le azioni indicate come necessarie per fermare il cambiamento climatico – insieme alla riduzione degli sprechi alimentari e a un uso responsabile delle risorse – c’è proprio l’adozione di una dieta prevalentemente a base vegetale.
Ridurre sensibilmente il consumo di carne e derivati animali come latte, formaggi e uova, all’interno di una più ampia strategia di produzione volta alla sostenibilità ambientale: questo sembra ormai l’unico modo per fermare il cambiamento climatico e la scienza ce lo ricorda da tempo. Già nel 2018, infatti, gli studiosi dell’Università di Oxford avevano pubblicato una ricerca nella quale si afferma a chiare lettere che i prodotti di origine animale contribuiscono per il 58% alla produzione di gas serra legati al cibo.
È chiaro quindi come il vero cambiamento debba riguardare quello che scegliamo di portare in tavola ogni giorno, sia per una questione di sostenibilità ambientale che per motivazioni etiche e legate al nostro stato di salute. Sì, perché se da una parte il sistema di produzione di carne e derivati animali è quanto di più lontano da una produzione “umana” e rispettosa degli animali (leggi: Benessere animale, perché è fumo negli occhi?), allo stesso tempo è dimostrato come le proteine animali siano dannose per la salute. Va ricordato infatti che nel 2015 l’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha identificando le carni lavorate come come cancerogene e le carni rosse come probabilmente cancerogene, gruppo 2A della classificazione.
Incoraggiare un’alimentazione plant-based per salvare il pianeta è quindi la conclusione degli scienziati, e la conferma arriva anche dalle parole del dottor Michael Clark, l’autore principale della ricerca: “La buona notizia è che ci sono molte azioni attuabili nell’immediato per ridurre le emissioni di gas inquinanti legate all’alimentazione. Sicuramente l’aumento dei raccolti e la riduzione dello spreco di cibo, ma la cosa più importante è che le persone si orientino verso diete prevalentemente vegetali“.
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