No alla censura sulla denominazione dei prodotti vegetali alternativi ai latticini: questa è la richiesta di venti associazioni che, in una lettera indirizzata alla Commissione Europea, chiedono urgentemente lo stop all’emendamento 171 e 72.
Il Network VEGANOK- che fa parte della ONG SAFE (Safe Food Advocacy Europe) è attiva su questo fronte essendo coinvolta anche sul tema dell’etichettatura dei prodotti vegan, un tavolo di lavoro presieduto dal fondatore di VEGANOK, Sauro Martella.
“Chiediamo alla Commissione europea e agli Stati membri nel Consiglio di l’UE di mantenere la loro posizione originale in questa fase di Trialogue e di opporsi alla Emendamento 171 e emendamento 72 del Parlamento europeo.”
È fondamentale tutelare le alternative vegetali da una censura che potrebbe fermare l’espansione dei prodotti plant-based sul mercato europeo. Ma di cosa parliamo esattamente? Lo scorso ottobre, il Parlamento Europeo si è espresso sulla questione “milk sounding“, accogliendo gli emendamenti in questione, che modificano il punto 5 dell’allegato VII parte III del Regolamento (UE) n. 1308/2013. Il risultato è una restrizione ulteriore nella denominazione dei prodotti plant-based rispetto a quelle già in vigore. Si vieta ai produttori l’imitazione e persino “l’evocazione” dei prodotti lattiero-caseari, costringendo le aziende a cambiare il nome commerciale dei loro prodotti, ridefinendone le etichette. Un duro colpo per i produttori, ma anche un passo indietro rispetto alla tutela delle informazioni date al consumatore.
Che cosa significa?
Bisogna sapere che la normativa europea sul “milk sounding”, tutelava già i prodotti lattiero caseari di derivazione animale: termini come “latte”, “panna”, “burro” e “formaggio” erano già riservati ai prodotti derivati dal latte; denominazioni come “formaggio vegano” o “latte d’avena” risultavano già vietate.
L’approvazione dell’emendamento 171 limita ulteriormente la denominazione di alternative vegetali ai prodotti lattiero-caseari vietando termini come “simil yogurt” o “sostituto del formaggio” e più in generale qualsiasi riferimento o evocazione a termini riferiti a prodotti caseari. Lo stesso vale per un post sui social network o una pubblicità che menzioni dati scientifici che dimostrano che un prodotto provoca, ad esempio, “la metà delle emissioni di carbonio del latte vaccino”. Ma non basta, perché l’emendamento potrebbe persino vietare l’uso di foto sulle confezioni dei prodotti plant-based.
L’emendamento 72 risulta più fumoso, e riguarda la tutela legale delle denominazioni in questione:
Le definizioni, le designazioni o le denominazioni di vendita di cui all’allegato VII possono essere utilizzate nell’Unione solo per la commercializzazione e la promozione di un prodotto che sia conforme ai corrispondenti requisiti stabiliti in tale allegato. L’allegato VII può prescrivere le condizioni alle quali tali denominazioni sono protette, al momento in cui sono commercializzate o promosse, contro l’uso commerciale illecito, abuso, imitazione o evocazione.
In termini pratici, si riporta nella lettera congiunta, l’emendamento 171 potrebbe vietare:
- L’indicazione di informazioni essenziali sulla salute e sugli allergeni come “alternativa al latte senza lattosio ”: dicitura su cui i consumatori fanno affidamento per le proprie scelte alimentari e per le loro esigenze alimentari
- L’utilizzo di parole come “burroso” per informare il consumatore sulla consistenza e il sapore di un alimento a base vegetale.
- L’utilizzo di confezioni per alimenti a base vegetale che sono simili nello stile (forma, codici colore utilizzati) a quelli utilizzati per i latticini.
- L’indicazione sull’impatto sul clima degli alimenti, ad esempio includendo a confronto, in termini di impronta di carbonio, tra prodotti vegetali e latticini
Perché questi emendamenti frenano l’espansione del mercato plant-based?
Questi emendamenti soffocano la capacità del settore plant-based di commercializzare e vendere i propri prodotti e danneggerà anche i consumatori nel loro diritto di comprendere con immediatezza ciò che mettono nel carrello. A subirne le conseguenze saranno sia quei consumatori che scelgono queste referenze per motivi etici o di sostenibilità, sia i soggetti allergici o intolleranti che sceglieranno con più difficoltà.
L’imposizione di queste ulteriori restrizioni costituisce anche un’ingiustificabile barriera nei confronti dello sviluppo e dell’espansione di un settore alimentare innovativo nell’Unione Europea volto alla sostenibilità. Il Green Deal, la strategia politica faro della Commissione Europea progettata per rendere l’UE neutrale entro il 2050 in termini di emissioni, include l’obiettivo di creare un sistema alimentare più sostenibile e sano. E proprio agli inizi di ottobre, il Parlamento Europeo ha votato a favore di una nuova legge sul clima per ridurre le emissioni di gas serra del 60% entro il 2030.
La tutela del consumatore sembra essere la spinta alla lotta contro il “milk sounding”: i produttori di latte e latticini sostengono a gran voce che l’uso di “denominazioni fuorvianti” sui prodotti plant-based possa trarre in inganno i consumatori. La scritta “yogurt di soia” o “latte di avena”, secondo alcuni, potrebbe portare ad acquisti sbagliati: comprare lo yogurt vegetale al posto di quello a base di latte di capra, per esempio.
Riflettiamo però rispetto alla reale possibilità che terminologie ormai usate nel linguaggio quotidiano per fare riferimento a prodotti specifici, possano davvero trarre in inganno il consumatore. È possibile che qualcuno, dopo un giro al supermercato, torni a casa con dei prodotti a base di soia convinto di aver acquistato dei formaggi “veri”? Si può davvero scambiare del latte di riso con del latte vaccino? Dal nostro punto di vista no, così come è improbabile che qualcuno scambi del burro di arachidi per un derivato del latte o del latte detergente per un prodotto alimentare.
Innanzi tutto per una questione logistica: il più delle volte i prodotti vegetali sono collocati in un apposito reparto segnalato con tanto di cartelli, e molto spesso hanno un packaging differente rispetto ai prodotti di origine animale. Basti pensare ai brick di latte vegetale, confrontati con le bottiglie di plastica in cui è venduto solitamente il latte vaccino. In più, basta l’aggettivo “vegetale” o “vegan” a fugare qualsiasi dubbio, se mai ce ne fosse realmente bisogno. Il punto è proprio questo: non ce n’è bisogno, perché gli acquisti di prodotti vegetali aumentano grazie a consumatori consapevoli e informati, non “per sbaglio”, e questo forse inizia a preoccupare seriamente l’industria del latte.
Per questo motivo il Network VEGANOK, insieme alle altre associazioni, si oppone a quello che possiamo tranquillamente considerare un inganno per i consumatori. Diciamo “no” a un’ulteriore restrizione sui nomi dei prodotti vegetali, dei quali vogliamo innanzi tutto tutelare la dignità: privare un prodotto del proprio legittimo nome, equivale a privarlo del suo status sul mercato, e della sua competitività rispetto a prodotti analoghi.
Per approfondire questo argomento:
VIDEO: Come cambia la denominazione dei formaggi vegetali dopo il voto del Parlamento Europeo?
Il Parlamento Europeo attacca i produttori di formaggi vegetali
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